Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12468 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 16/06/2016, (ud. 23/03/2016, dep. 16/06/2016), n.12468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15223-2011 proposto da:

P.U., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANASTASIO II n. 80, presso lo studio dell’avvocato

ADRIANO BARBATO, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati RENATO OSTINELLI, CARLO BRESCIANI;

– ricorrente –

contro

B.D., (OMISSIS), C.M.

(OMISSIS), CI.FR. (OMISSIS), D.

G.S. (OMISSIS), M.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERULANA

234, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO BOLOGNA, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIO LAVATELLI,

VINCENZO LATORRACA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2803/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato ADRIANO BARBATO, difensore del ricorrente, che

preliminarmente fa presente che il signor P. è deceduto e si

riporta al ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il 20 ottobre 2010, che ha accolto l’appello proposto da B.D., C.M., Ci.Fr., D.G. S. e M.S. avverso la sentenza del Tribunale di Como n. 962 del 2007, e nei confronti di P.U..

1.1. – Il Tribunale aveva accolto la domanda, proposta nel 2003 dal sig. P., di rimozione dei manufatti (autorimesse e ripostigli) realizzati dai convenuti in violazione delle distanze legali dal muro di confine, e la domanda riconvenzionale di rimozione del recinto e del pollaio di proprietà dell’attore.

2. – La Corte d’appello, in accoglimento del gravame principale proposto dai sigg. B., D.G., C., Ci. e M., accertava che costoro avevano acquistato per usucapione il diritto a mantenere i manufatti a distanza inferiore a quella legale, e riformava la sentenza impugnata sul punto, mentre rigettava l’appello incidentale.

3. – Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso P.U., sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso B.D., C.M., Ci.Fr., D.G.S. e M.S., che hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1158 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta l’erronea valutazione delle risultanze probatorie con riferimento alla individuazione dell’epoca di costruzione dei manufatti. Il ricorrente assume che le controparti avevano affermato nei loro atti di aver costruito nel 1976, ma la tesi era smentita dal fotogramma della Regione Lombardia realizzato nel 1978, che escludeva la presenza dei manufatti in oggetto, sicchè il dato era rimasto sostanzialmente incerto e correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto infondata la domanda riconvenzionale di usucapione.

1.2. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha rilevato che dalle dichiarazioni testimoniali era emerso che i manufatti erano stati realizzati non più tardi del 1980 – quindi oltre venti anni prima della domanda giudiziale di rimozione – e la circostanza non era smentita dal fotogramma della Regione Lombardia, che risultava eseguito nel 1978, nè assumevano rilievo, in senso contrario, la mancata presentazione della richiesta di condono e il tardivo accatastamento, trattandosi di scelte degli interessati, mentre la mancata produzione delle fatture relative ai lavori edili non era in alcun modo sanzionabile, in assenza di un obbligo di conservazione.

Non si riscontra nel ragionamento svolto dalla Corte d’appello la denunciata violazione di legge, e la motivazione risulta esaustiva e immune da vizi logici, sicchè non residua spazio per il sindacato di legittimità che non consiste nel potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo in quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex plurimis, Cass., sez. 6-5, ordinanza n. 7921 del 2011).

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione ed errata applicazione degli artt. 1163, 1165 e 1167 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta che il possesso ultraventennale esercitato dalla controparte avesse le caratteristiche per realizzare l’effetto acquisitivo del corrispondente diritto di servitù.

Il ricorrente richiama, in particolare, il provvedimento di demolizione dei manufatti in oggetto, emesso dal Sindaco del Comune di Maslianico in data 3 aprile 1996, mai impugnato e quindi efficace fino alla sanatoria ottenuta dalle controparti nel 2001.

2.1. – La doglianza è infondata.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il possesso utile all’usucapione può essere esercitato in contrasto con un provvedimento della Pubblica amministrazione. In particolare, si è ritenuto che la mancanza di concessione edilizia non può costituire impedimento all’acquisto per usucapione, in presenza dei presupposti di cui all’art. 1158 c.c., vale a dire del possesso ultraventennale della costruzione, con opere visibili e permanenti, e in presenza, inoltre, di un possesso continuo, non interrotto, non viziato da violenza o clandestinità (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza 3979 del 2013).

Il provvedimento amministrativo – nella specie, l’ordine di demolizione dei manufatti nella specie emanato dal Comune di Maslianico – esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto tra la PA ed il privato che ha realizzato la costruzione abusiva, ma non incide sui requisiti del possesso ad usucapionem.

3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione ed errata applicazione degli artt. 1031, 1058, 1061, 1145, 1158 c.c., della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 nonchè vizio di motivazione.

Il ricorrente evidenzia le conseguenze, a suo dire inaccettabili, dell’acquisto del diritto per decorso del tempo a fronte di una situazione di illegittimità per contrasto con la normativa sulle distanze legali, di valore pubblicistico e segnala che, dopo la sentenza di questa Corte n. 4240 del 2010, che ha affermato l’usucapibilità del diritto a mantenere le costruzioni a distanza inferiore a quella legale, è seguita la sentenza n. 9751 del 2010, che ha ribadito l’inderogabilità delle norme in tema di distanze. Lo stesso ricorrente rileva, inoltre, che l’affermata usucapibilità non sarebbe conciliabile con il principio della incommerciabilità dei beni abusivi.

3.1. – La doglianza è in parte infondata e in parte inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata al riconoscimento della usucapibilità del diritto a mantenere le costruzioni a distanza inferiore a quella legali. Alla sentenza n. 4240 del 2010 hanno fatto seguito altre pronunce (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenze n. 22824 del 2012, n. 3979 del 2013, n. 14902), concretando un orientamento persuasivo e condivisibile, dal quale non sussistono ragioni per discostarsi.

Risulta invece nuova, come tale inammissibile in questa sede, la questione della incommerciabilità dei beni abusivi, della quale non vi è cenno nella sentenza impugnata, e che pertanto avrebbe dovuto essere dedotta indicando l’atto e/o il momento nel quale era stata sottoposta alla Corte d’appello (ex plurimis, Cass., sez. 1, sentenza n. 23675 del 2013).

4. – Con il quarto motivo è dedotta violazione ed errata applicazione degli artt. 812 e 873 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta la decisione di rigetto dell’appello incidentale in quanto il manufatto di legno prefabbricato, adibito a pollaio, non presenterebbe le caratteristiche della costruzione.

4.1. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha argomentato la decisione rilevando che il manufatto adibito a pollaio, non infisso al suolo bensì appoggiato su lastra di calcestruzzo, costituiva costruzione, come tale soggetta al rispetto delle distanze legali, in quanto era prevalente il carattere di stabilità sull’astratta rimovibilità, in considerazione sia della destinazione del manufatto sia della struttura di appoggio realizzata appositamente. Si tratta di apprezzamento di fatto, motivato esaustivamente e congruamente, che valorizza l’unitarietà funzionale del manufatto e della struttura di appoggio, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui, ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali, la nozione di costruzione si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (Cass., sez. 2, sentenza n. 15972 del 2011).

5. – Il ricorso è rigettato, e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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