Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12468 del 10/05/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 10/05/2019), n.12468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 13388 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia.

– ricorrente –

contro

s.p.a. Vodafone Italia, (già Vodafone Omnitel N. V.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta

procura speciale a margine del controricorso, dagli avvocati Mario

Libertini e Giuliano Tabet, elettivamente domiciliatosi presso lo

studio del secondo in Roma, alla via di villa Emiliani, n. 11.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, depositata in data 10 febbraio 2012, n.

15/26/12;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

21 febbraio 2019 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Kate Tassone, che ha concluso per l’accoglimento del primo

e del secondo motivo, assorbiti i restanti;

sentiti per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Paolo Gentili e per la

contribuente l’avv. Giuliano Tabet.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si legge nella narrativa della sentenza impugnata, relativamente al profilo ancora d’interesse, che l’Agenzia delle entrate, in relazione agli anni d’imposta 2001, 2002, 2003 e 2004, ha contestato l’impiego, da parte della contribuente, del meccanismo della rettifica previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, in esito all’inadempimento da parte di clienti che si erano abbonati a servizi di telefonia mobile prestati da Vodafone, dell’obbligo di pagare i canoni di abbonamento.

In particolare, la contribuente si era avvalsa della clausola risolutiva espressa prevista in contratto e, nei casi nei quali i crediti vantati erano d’importo superiore a 775 Euro, aveva altresì chiesto e ottenuto l’emissione di decreti ingiuntivi nei confronti degli inadempienti. Per l’Ufficio, tuttavia, per un verso l’operatività della risoluzione non era idonea a estenderne gli effetti alle prestazioni già eseguite e, per l’altro, il ricorso al procedimento monitorio era insufficiente, in mancanza di prova d’infruttuosità dello svolgimento di procedure esecutive.

La società ha impugnato i relativi avvisi di accertamento, senza esito in primo grado.

Di contro, la Commissione tributaria regionale ne ha accolto gli appelli: ha considerato, in primo luogo, che nei contratti a esecuzione periodica o continuata come quello in esame la retroattività della risoluzione si estende al momento dell’inadempimento; laddove l’esito dei procedimenti di recupero dei corrispettivi non versati non è presupposto di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, che affida a sei motivi, cui la contribuente replica con controricorso, che illustra con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in quanto il giudice d’appello, là dove ha ritenuto non tempestivamente contestate da parte dell’Agenzia le circostanze che la Vodafone avesse inviato le raccomandate contenenti l’esercizio del diritto potestativo presidiato dalla clausola risolutiva espressa, che i destinatari le avessero ricevute e che la società avesse esperito le procedure di recupero dei crediti d’importo superiore rispettivamente a Euro 775,00 e, a partire dal 2003, di Euro 1550,00, avrebbe assunto una ricostruzione di fatto diversa da quella prospettata dalle parti.

Dunque, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, scaturirebbe da quella degli artt. 112 e 115 c.p.c..

1.1.- Il motivo è inammissibile, in base al principio secondo cui, in tema di valutazione delle allegazioni e delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (vedi, tra varie, Cass. 6 aprile 2018, n. 8473).

2.- Inammissibili sono, peraltro, anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, proposti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, coi quali l’Agenzia lamenta l’omessa o insufficiente motivazione relativa alle circostanze di fatto sopra indicate (secondo motivo), nonchè il difetto di motivazione sul fatto che Vodafone, allorquando ha esercitato il diritto di risoluzione, considerasse, o no, come dovuti a titolo contrattuale i pagamenti relativi al periodo antecedente alla risoluzione per i quali v’erano stati gli inadempimenti (terzo motivo).

Ciò perchè essi vertono su fatti o irrilevanti o non congruenti col contenuto della decisione impugnata.

2.1.- Sono senz’altro irrilevanti i fatti concernenti l’invio e la ricezione delle raccomandate e l’atteggiamento soggettivo di Vodafone circa la qualificazione dei corrispettivi dovuti nel periodo antecedente alla risoluzione.

Da un lato, difatti, l’Agenzia ha calibrato la propria contestazione, come emerge dagli avvisi di accertamento, stralcio di una parte comune dei quali è trascritto in controricorso, sulla mancanza di “…specifica documentazione attestante l’avvio e l’infruttuosità delle procedure giudiziali…”, riferendo della pregressa procedura di “attivazione” della risoluzione dei contratti; ha assunto quindi, per necessaria inferenza logica, che la risoluzione vi sia stata.

E anche in sentenza si ribadisce che “pilastro attorno al quale ruota la vertenza in esame è l’operatività dell’art. 1458 c.c., comma 1, riguardo ai contratti di durata, e segnatamente a quelli di public utilities comportanti fatturazione anticipata”.

D’altro lato, il fatto che la contribuente considerasse “come contrattualmente dovuti i pagamenti insoluti relativi ai servizi prestati” è indifferente in ordine all’operatività del meccanismo risolutivo, che ha portata oggettiva, impermeabile alle convinzioni soggettive.

Lo si evince dall’art. 1453 c.c., comma 2, che rende irrilevante l’adempimento tardivo intervenuto dopo la richiesta di risoluzione (Cass. 24 luglio 2012, n. 12895), soprattutto al cospetto della condotta di chi si valga della clausola risolutiva espressa e, quindi, manifesti incondizionatamente la propria volontà risolutoria: una tale condotta, alla luce del principio di buona fede oggettiva, è valutata dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva (Cass. 19 gennaio 2005, n. 1077).

L’esperimento delle procedure di recupero non è poi pertinente rispetto al contenuto della decisione impugnata, in cui si fa parola soltanto dell’emissione di decreti ingiuntivi, affermando l’indifferenza del ricorso a “eventuali successivi recuperi”, dello svolgimento dei quali il giudice d’appello si è disinteressato.

3.- Con i restanti tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, l’Agenzia denuncia:

– la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3, 6,21 e 26, e art. 1458 c.c., commi 1 e 2, giacchè, sostiene, contrariamente a quanto affermato in sentenza, se è resa e comunque fatturata una prestazione di servizi derivante da un contratto di somministrazione, anche se il committente inadempiente diviene obbligato, per effetto dell’intervenuta risoluzione, a corrispondere al prestatore l’equivalente pecuniario, l’imposta derivante dalla fatturazione resta comunque dovuta (quarto motivo);

– la violazione e falsa applicazione della sesta Dir., artt. 2 e 22, e del principio di neutralità dell’iva perchè, rimarca, l’iva sulle prestazioni di servizi telefonici resta neutrale anche in regime di sistematica fatturazione anticipata, a meno che non si dimostri che il relativo peso non vada a ricadere sull’utente consumatore finale, anche in considerazione della possibilità riconosciuta al prestatore di ottenere lo storno dell’iva qualora l’inadempimento sia definitivo, in virtù dell’esito infruttuoso delle procedure esecutive (quinto motivo);

– la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, là dove il giudice d’appello, quanto agli inadempimenti dei crediti d’importo superiore a 775 Euro, ha reputato sufficiente l’esercizio delle azioni monitorie, accontentandosi della valutazione di economicità delle procedure esecutive che si sarebbero dovute intraprendere e che non sono state intraprese (sesto motivo).

3.1.- Va chiarito, in fatto, che, contrariamente a quanto prospettato dall’Agenzia nel corso della discussione, è accertato che Vodafone ha esercitato il diritto a essa riconosciuto dalla clausola risolutiva espressa, sia a fronte degli inadempimenti d’importo inferiore alla soglia indicata in narrativa, sia a quelli d’importo superiore; per questi secondi, oltre a valersi della clausola risolutiva espressa, la contribuente ha promosso i procedimenti monitori.

Si legge difatti in sentenza, sul punto, che “…correttamente Vodafone si è avvalsa della clausola risolutiva contrattualmente prevista con tempestiva comunicazione all’utente…dopo aver sollecitato il pagamento agli utenti morosi. Tale procedura per i crediti superiori a 775 Euro è stata altresì completata con decreti ingiuntivi…”.

3.2.- Si tratta quindi di verificare la sussistenza dei presupposti di operatività del meccanismo di variazione previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, e delle modalità di applicazione di esso, alla luce del principio di neutralità, al cospetto della risoluzione di un contratto, come quello di abbonamento del quale si discute, a esecuzione continuata o periodica.

Occorre poi stabilire, in relazione agli inadempimenti d’importo superiore alla soglia indicata, la rilevanza dell’espletamento dei soli procedimenti monitori.

4.- Il meccanismo di rettifica è posto a presidio della neutralità dell’iva.

Esso mira ad aumentare la precisione delle detrazioni, così da assicurare la neutralità dell’imposta, in modo che le operazioni eseguite allo stadio anteriore continuino a originare il diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui esse servano a fornire prestazioni soggette a iva.

La base imponibile dell’iva è difatti costituita dal corrispettivo realmente ricevuto, sicchè l’amministrazione tributaria non può riscuotere a tale titolo un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo.

Di qui scaturisce la sesta Dir., art. 11, parte C, par. 1, che disciplina la riduzione della base imponibile, applicabile all’epoca dei fatti, che dispone quanto segue:

“In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o di riduzione di prezzo dopo che l’operazione è stata effettuata, la base imponibile viene debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

Tuttavia, in caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare a questa norma”.

Di queste ipotesi, quella ancorata all’omesso pagamento totale o parziale del prezzo “…contrariamente alla risoluzione o all’annullamento del contratto, non pone nuovamente le parti nella situazione iniziale” ed è per conseguenza l’unica suscettibile di deroga: “tale facoltà di deroga, strettamente limitata ai casi di non pagamento totale o parziale, si fonda sull’assunto che, in presenza di determinate circostanze e in considerazione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il non pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio” (Corte giust. 23 novembre 2017, causa C-246/16, Di Maura, punti 16-17).

4.1.- Il legislatore italiano ha esercitato la facoltà di deroga, di modo che, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 comma 2, dispone che:

“Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa ((…)) di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19, l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.

5.- Sono quindi due gli ordini dei presupposti di operatività della rettifica in base alla normativa unionale:

– uno, inderogabile, perchè ancorato alla caducazione, originaria o sopravvenuta, dell’operazione;

– l’altro, derogabile, in quanto volto a incidere sugli effetti dell’operazione, che resta ferma, in quanto “effettuata”, al cospetto dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligo di pagarne il prezzo.

I due ordini di presupposti sono autonomi (Corte giust. 12 ottobre 2017, causa C-404/16, Lombard Ingatlan Lizing Zrt., punto 40); e ciascuno di essi è costruito per operare in maniera autosufficiente, perchè sorretto da autonoma ratio.

5.1.- Nel caso in esame, si è visto, Vodafone li invoca entrambi in relazione agli inadempimenti superiori alla soglia sopra specificata; fa leva soltanto sul meccanismo della risoluzione per gli altri.

6.- In linea di principio, risoluzione e annullamento del contratto determinano la caducazione dell’operazione perchè recidono il vincolo contrattuale.

La caducazione opera diversamente per l’annullamento e per la risoluzione: “…i termini annullamento, recesso e risoluzione, contenuti nella Dir. Iva, art. 90, par. 1, – corrispondente al richiamato art. 11, parte C, par. 1-, si riferiscono a situazioni nelle quali, a seguito di un annullamento con effetto retroattivo o di una risoluzione, che produce effetti solo futuri, l’obbligo di un debitore di saldare il suo debito è completamente estinto o bloccato ad un livello definitivamente determinato, con le conseguenze che ne discendono per il creditore (Corte giust. in causa C-404/16, cit., punto 30).

Il punto è che la vocazione della risoluzione a operare soltanto per il futuro subisce inevitabili limitazioni, sia in generale, sia con riguardo ai contratti a esecuzione continuata o periodica.

Dispone difatti l’art. 1458 c.c., comma 1, che “la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, rispetto ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”.

6.1.- Il creditore dev’essere difatti arbitro di chiedere la risoluzione dal momento dell’inadempimento della controparte (e, nel caso di pattuizione di clausola risolutiva espressa, di ottenerla di diritto qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite): e ciò perchè la scelta per la risoluzione implica sì la rinuncia allo scambio delle future prestazioni, ma certamente non la rinuncia al lucro che il contratto induceva a sperare. Quindi, pronunciata la risoluzione, in linea di principio per ciascuno dei contraenti si verifica, a prescindere dall’imputabilità dell’inadempimento, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum (tra varie, Cass. 20 febbraio 2015, n. 3455), unico argine alla quale è costituito dall’avvenuta esecuzione delle prestazioni.

7.- Nella fattispecie in esame, in cui si discute di un contratto di abbonamento a servizi di telefonia, nei confronti del prestatore, ossia di Vodafone, il momento impositivo della prestazione, ai fini dell’obbligo di assolvere l’iva, si verifica antecedentemente al pagamento.

7.1.- In generale la prestazione di servizi si deve considerare effettuata quando sia stata eseguita (Cass., sez. un., 21 aprile 2016, n. 8059; conf., tra varie, ord. 7 dicembre 2017, n. 29371 e 15 ottobre 2018, n. 25653) e non già al momento del pagamento del corrispettivo. Ciò perchè il fatto generatore di norma coincide con l’esigibilità, ma ne rimane ontologicamente distinto, giacchè esso in realtà s’identifica col materiale espletamento dell’operazione.

E’ questo a determinare l’insorgenza del presupposto impositivo e, quindi, la rilevanza fiscale dell’attività ai fini dell’iva, come si legge anche nella giurisprudenza unionale: “conformemente a tale Dir., art. 63, – ossia della Dir. n. 112 del 2006-, il fatto generatore dell’imposta si verifica, e l’imposta diviene esigibile, nel momento in cui viene effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi” (Corte giust. 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 38).

7.2.- Ve n’è conferma giustappunto nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, il quale prevede, si è visto, che l’omessa riscossione del corrispettivo non comporta la caducazione dell’obbligazione tributaria, della quale il presupposto impositivo si sia già verificato e se ne rinviene copertura costituzionale negli artt. 3 e 53 Cost., in particolare nell’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, in dipendenza di eventi correlati a scelte (quelle concernenti la fatturazione o il pagamento del corrispettivo) casuali e soggettive.

7.3.- Nel caso in esame, tuttavia, come segnalato dall’Agenzia, quando l’operatore mette a disposizione la linea telefonica, non sono predeterminabili nè l’entità degli impieghi della linea, nè la durata di essi; ma essi sono liquidati in base al consumo.

Si attaglia quindi alla fattispecie l’ipotesi prevista dalla sesta Dir., art. 10, par. 2, (corrispondente alla Dir. n. 112 del 2006, art. 64), secondo cui “Le cessioni di beni diverse da quelle di cui all’art. 5, paragrafo 4, lettera b), e le prestazioni di servizi che comportano successivi versamenti di acconti o pagamenti, si considerano effettuate all’atto della scadenza dei periodi cui si riferiscono tali acconti o pagamenti”: fatto generatore ed esigibilità si verificano alla scadenza del periodo cui si riferiscono i pagamenti (secondo le precisazioni di Corte giust. 29 novembre 2018, causa C-548/17, punto 31, e 3 settembre 2015, causa C-463/14, Asparuhovo Lake Investment Company 00D, punto 50) e, qualora sia previsto un corrispettivo forfetario, sono irrilevanti la quantità e la natura di servizi effettivamente forniti durante il periodo al quale si riferisce il corrispettivo convenuto (Corte giust. in causa C-463/14, cit.).

7.4.- Il punto è che nel caso in esame v’è fatturazione anticipata rispetto ai pagamenti: la contribuente riferisce difatti che “…i servizi telefonici in abbonamento sono resi anticipatamente rispetto al pagamento ma fatturati (sempre anticipatamente rispetto al pagamento…) in base al consumo. Le prestazioni della Società telefonica per le quali sorge il diritto alla restituzione per equivalente…sono…solo quelle già consumate…”.

E allora, la fatturazione anticipata comporta l’anticipazione a quel momento dell’imponibilità dell’operazione, poichè il contenuto economico dell’operazione si è già realizzato, dando vita al presupposto per la sua imponibilità: lo stabilisce del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, secondo cui “Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura…, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento…”.

Sufficiente è, in tal caso, che siano già noti alle parti tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore d’imposta e, in particolare, che sia già specificamente individuato il bene oggetto della cessione oppure il servizio oggetto della prestazione (Cass. 22 maggio 2015, n. 10606; Cass. n. 25653/18, cit., nonchè Corte giust. in cause C-660 e 661/16, cit.).

Il che si evince dalle stesse affermazioni della contribuente.

7.5.- Indifferente è poi il fatto che per effetto della risoluzione si maturi per il contraente adempiente il credito restitutorio per equivalente.

Utile è al riguardo il chiarimento (reso dalla Corte di giustizia in causa C-295/17, MEO) in base al quale l’importo predeterminato dovuto a titolo d’indennità in caso di risoluzione anticipata da parte del cliente di un operatore economico, o per un motivo al cliente imputabile, che corrisponda a quello che tale operatore avrebbe percepito in assenza della risoluzione, deve essere considerato come la remunerazione di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e soggetta in quanto tale a iva.

7.6.- In definitiva, le prestazioni compiute da Vodafone antecedentemente alla risoluzione sono da ritenere imponibili anche se non ancora remunerate; il che rende coerente la disciplina dell’iva con quella dei limiti alla retroattività posti dall’art. 1458 c.c., che sottrae alla retroattività appunto le prestazioni già eseguite.

Il meccanismo di rettifica parrebbe quindi destinato a non poter trovare applicazione, perchè si riferirebbe a operazioni non già caducate per effetto della risoluzione, ma destinate a restar ferme.

8.- Nè potrebbe fungere da correttivo, come vorrebbe l’Agenzia, l’applicazione del secondo ordine di presupposti per la rettifica, sia pure limitatamente ai crediti d’importo superiore alle soglie indicate, qualora fosse raggiunta la prova in ordine alla certezza della definitività dell’inadempimento, ossia del mancato incasso totale o parziale del prezzo.

Anche in relazione a quei crediti, si è visto, la contribuente ha comunque fatto ricorso al meccanismo della risoluzione.

E allora, le azioni di recupero promosse al fine di ottenere l’adempimento sono da ritenere precluse in base all’art. 1453 c.c., comma 2: si legge in sentenza che la “procedura – di risoluzione – per i crediti superiori a 775 Euro è stata altresì completata con decreti ingiuntivi…”, sicchè le azioni di adempimento mediante procedimenti monitori si devono ritenere proposte dopo l’esercizio del diritto scaturente dalla clausola risolutiva espressa.

La stessa giurisprudenza invocata dalla contribuente si riferisce, coerentemente, al caso in cui “il non pagamento totale o parziale del prezzo di acquisto interviene senza che vi sia stata risoluzione o annullamento del contratto”: è in questo caso che l’acquirente o committente resta debitore del prezzo convenuto e il venditore o prestatore dispone sempre del suo credito, che può far valere in sede giurisdizionale. Ed è quindi in questo caso che si valorizza il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri, ai quali il legislatore dell’Unione ha inteso lasciare la scelta di determinare se la situazione di mancato pagamento del corrispettivo attribuisca, o no, e a quali condizioni, il diritto alla riduzione della base imponibile (CGUE 12 ottobre 2017, in causa C404/16, cit., punti 28-30; vedi anche Corte giust. in causa C246/16, Di Maura, e 6 dicembre 2018, causa C-672/17, Tratave, punto 38).

Non sono per conseguenza ravvisabili, già in tesi, i presupposti di operatività della rettifica ancorati all’omesso pagamento, totale o parziale, del prezzo.

9.- In questo contesto, tuttavia, a L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 126, ha novellato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, introducendovi, tra l’altro, il 9 comma, in virtù del quale “Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2, non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.

Il che comporta che in un caso, come quello in esame, in cui soltanto una delle due parti, ossia il prestatore, abbia eseguito la propria prestazione (o comunque si siano determinati i presupposti per l’imponibilità di essa) è possibile, a fronte dell’inadempimento dell’altra, esercitare la facoltà di rettifica, mediante registrazione della variazione.

E’, questa, l’unica opzione idonea a dare senso alla norma: la diversa soluzione prospettata dall’avvocatura dello Stato, secondo cui la disposizione si limiterebbe a disciplinare il caso del reciproco adempimento, senza alcun effetto per l’ipotesi dell’inadempimento di una parte sola, renderebbe la novella del tutto inutile, perchè ovvia, come ha correttamente osservato la società. Sicchè va scelta l’opzione interpretativa che evidenzi la natura precettiva della disposizione, anzichè quella che ne sottolinei la superfluità.

9.1.- La disposizione si autoqualifica come interpretativa, come si legge nella successiva L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 127.

9.2.- Sterile è sul punto la verifica dell’effettività di tale natura.

La qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – di là dal carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime difatti l’intento del legislatore d’imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore. Sicchè va escluso, ancora in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (da ultimo, Cass., sez. un., ord. 28 dicembre 2016, n. 27074), poichè il giudice, chiamato ad applicarla, finirebbe per non farlo, valicando il confine oltre il quale l’operazione ermeneutica deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (Cass., sez. un. pen., ord. 19 aprile 2012, Ercolano).

9.3.- Quel che occorre è, invece, verificare la non irragionevolezza della scelta di retroattività operata dal legislatore.

Nel caso in esame, la scelta, in quanto concernente non già l’art. 1458 c.c., ma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, è ragionevole, in base al diritto unionale.

Essa difatti ripristina la simmetria tra le parti, garantendo la neutralità dell’iva, il peso della quale altrimenti finirebbe col gravare sul prestatore soggetto passivo, in caso di risoluzione di un contratto di abbonamento per l’inadempimento del consumatore finale.

9.4.- E ciò perchè, si è visto, Vodafone ha reso la propria prestazione, imponibile e insuscettibile di restituzione, nei confronti del consumatore finale, sul quale non è riuscita a rivalersi dell’iva, a causa del suo inadempimento.

Di contro, l’iva deve gravare unicamente sul consumatore finale ed essere perfettamente neutrale nei confronti dei soggetti passivi che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede la fase di imposizione finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute.

E’ per questa ragione che non è consentito al soggetto passivo “…di ridurre la propria base imponibile allorchè quest’ultimo ha effettivamente percepito la totalità dei pagamenti come contropartita della prestazione che ha fornito ovvero allorchè, senza che il contratto sia stato risolto o annullato, l’altra parte contrattuale non è più debitrice, nei confronti del soggetto passivo, del prezzo convenuto” (Corte giust. 2 luglio 2015, causa C207/14, NLB Leasing d.o.o., punto 38).

10.- In definitiva, il ricorso va respinto, con l’applicazione del seguente principio di diritto:

“In tema di iva, a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore, in base alla norma sopravvenuta introdotta dalla L. n. 208 del 2015, art. 1,comma 126, ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell’iva in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione”.

Ne risulta assorbita la richiesta di proposizione della questione pregiudiziale avanzata in controricorso.

10.1.- Le spese vanno, tuttavia, compensate, in considerazione dell’operatività del diritto sopravvenuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019

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