Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12466 del 17/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12466 Anno 2015
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 9100-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
ROSEO GIANGIACOMO, THURNWALDER HELGA, ROSEO
IRENE, ROSEO DIANA;

intimati

avverso la sentenza n. 114/45/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 04/10/2012;

Data pubblicazione: 17/06/2015

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CARACCIOLO.

Ric. 2013 n. 09100 sez. MT – ud. 22-04-2015
-2-

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

osserva:
La CTR di Milano ha accolto l’appello Roseo Giangiacomo ed altri, siccome eredi di
Roseo Benvenuto (condannando l’Agenzia alla rifusione delle spese di entrambi i
gradi di giudizio) -appello proposto contro la sentenza n.95/43/2011 della CTP di
Milano, che aveva già respinto il ricorso di Roseo Benvenuto- ed ha così annullato la
cartella di pagamento con cui —in sede di controllo ex art.36 ter DPR n.600/1973
della dichiarazione dei redditi per l’anno 2005- era stata considerata indebita la
detrazione di imposta ex art.1 della legge n.449/1997 calcolata sulla quota parte (in
proporzione alla partecipazione societaria competente alla parte contribuente, pari al
16,5%) delle spese di ristrutturazione edilizia sostenute dalla “Immobiliare Benadello
sas” (avente ad oggetto sociale, tra l’altro, la locazione di immobili), e ciò sulla
premessa che dette spese si riferissero ad immobili di proprietà della menzionata
società che erano stati poi concessi in locazione a privati.
La pronuncia della CTR è motivata nel senso che —premesso che il primo giudice
erroneamente aveva considerato detti appartamenti come “beni strumentali”, atteso
che gli stessi non venivano utilizzati direttamente dalla proprietaria società per
l’esercizio della propria attività di impresa- gli appartamenti medesimi non potevano
essere considerati “beni merce”, cioè immobili alla cui produzione e scambio è diretta
l’attività di impresa, sicchè li si doveva considerare attinenti al patrimonio sociale, sul
presupposto che il reddito da essi rinveniente “è stato giustamente inserito dalla sas
nel quadro RF che riguarda i beni non strumentali e nessuna detrazione ai fini IVA
risulta effettuata in relazione alla loro locazione abitativa ovvero nessun
ammortamento risulta indicato in relazione a questi beni non strumentali”
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letti gli atti depositati,

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione e falsa

duole in sostanza che il giudice di appello abbia obliterato la ratio che sorregge la
disposizione or ora citata (da ricercarsi nella tutela dell’esigenza abitativa), sicchè poi
la legge esclude l’applicabilità del beneficio in favore delle unità edilizie ad uso
strumentale e ad uso commerciale. In quest’ultima categoria dovevano
ricomprendersi gli appartamenti qui in argomento, dal momento che la locazione
degli stessi costituiva oggetto sociale della “Benadello sas” di cui il contribuente era
socio. Per quanto il possessore o detentore dell’unità immobiliare residenziale possa
anche essere imprenditore, ai fini del godimento delle agevolazioni in favore di
quello occorre che l’immobile non costituisca né bene strumentale dell’impresa né
bene alla cui produzione e scambio è diretta l’attività di impresa, secondo la
destinazione d’uso di fatto inveratasi.
Il motivo appare manifestamente fondato e da accogliersi.
La prima parte del comma 1 dell’art. l della legge n.449/1997 (nella sua formulazione
vigente all’epoca di cui si tratta) prevede invero che: “Ai fini dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche, si detrae dall’imposta lorda, fino alla concorrenza del
suo ammontare, una quota delle spese sostenute sino ad un importo massimo delle
stesse di lire 150 milioni ed effettivamente rimaste a carico, per la realizzazione degli
interventi di cui alle lettere a), b), c) e d) dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978,
n. 457, sulle parti comuni di edificio residenziale di cui all’articolo 1117, n. 1), del
codice civile, nonche’ per la realizzazione degli interventi di cui alle lettere b), c) e
d) dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, effettuati sulle singole unita’
immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, possedute o
detenute e sulle loro pertinenze”.
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applicazione dell’arti della legge n.44911997 e dell’art.5 del TUIR) la ricorrente si

Detta norma non può che essere letta in combinazione con la generale disciplina
dettata dal TUIR a proposito dei proventi immobiliari (art.57, ora 90, del DPR n.9917
del 1986), a mente della quale “i redditi degli immobili che non costituiscono beni
strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio
è diretta l’attività dell’impresa concorrono a formare il reddito nell’ammontare

territorio dello Stato ed a norma dell’art.70 per quelli situati all’estero…..Le spese e
gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono
ammessi in deduzione”.
L’anzidetta norma, in sostanza, prevede, in relazione ai redditi rinvenienti
nell’esercizio di una attività di impresa e per la sola tipologia dei beni patrimoniali,
(ossia dei beni non strumentali nonché estranei al novero dei beni alla cui produzione
o scambio è diretta l’attività d’impresa), una deroga all’ordinario criterio fissato
nell’articolo 95 del TUIR (ora art.81) secondo il quale “il reddito complessivo delle
società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73,
da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa”.
A questa stregua, nella sola ipotesi dei beni patrimoniali, la determinazione del
reddito avviene (per gli immobili situati nel territorio dello Stato) secondo i criteri
catastali, in base alle disposizioni del capo II del titolo I, e perciò con le modalità di
determinazione dei redditi fondiari (redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e
redditi dei fabbricati), appunto diversamente da ciò che è previsto per i redditi di
impresa che sono regolati nel capo II-sezione I del medesimo testo unico. Per effetto
di ciò l’art.90 Tuir, attuale numerazione, prevede che le spese e gli altri componenti
negativi concernenti i detti beni immobili “patrimoniali” non siano deducibili, non
potendosi applicare —per conseguenza logica- la disciplina (prevista negli artt.83 e
sgg., nuova numerazione) che tiene conto degli utili e delle perdite.
Per effetto di quanto sopra, la norma di agevolazione introdotta dall’articolo 1 della
legge n.449/1997 non può che riferirsi alla sola ipotesi di determinazione del reddito
immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, proprio perché in questa ipotesi
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determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel

i costi sostenuti (in particolare, per gli interventi di ristrutturazione) non concorrono
già, come componenti negativi, alla determinazione del reddito ma costituiscono un
onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto l’agevolazione di cui qui si
discute. Al contrario, nella specie dei redditi derivanti dagli immobili che sono da
considerarsi strumentali o beni merce, il reddito (d’impresa) è il risultato di una

l’imprenditore non risente concettualmente degli oneri sostenuti per procurarsi il
reddito, avendone già fatto deduzione dall’imponibile. In diversa ipotesi,
l’agevolazione si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e perciò in una
indebita locupletazione, non essendo correlata ad un costo effettivamente rimasto a
carico.
Né può alterare questa ricostruzione la circostanza che il reddito in relazione al quale
si invoca la deduzione sia quello personale del socio, in applicazione dell’art.5 del
TUIR, poiché questo è il risultato di operazioni contabili che sono già state effettuate
a monte (in capo alla società), seppure la sua “imputazione” è trasferita in capo ai
singoli soci ai fini della tassazione diretta delle persone fisiche.
Neppure si potrebbe supporre che la qualificazione della natura dell’immobile sia
condizionata da una valutazione di fatto che —come risulta effettuato dal giudicante
nella pronuncia qui impugnata- spetta al giudice del merito compiere (anche in
ragione della scelta effettuata dalla società in ordine alla concreta iscrizione nei
registri societari e della conseguente contabilizzazione dei redditi rinvenienti
dall’utilizzo del bene, alla luce del fatto che gli immobili patrimoniali non debbono
necessariamente rimanere improduttivi, ma sono idonei a rendere frutti secondo la
loro naturale destinazione) al fine di riconnettervi poi il riconoscimento o il diniego
della detrazione dei costi prevista dal menzionato art.1 .
Ed invero è giurisprudenza pacifica di codesta Corte quella secondo cui:”In tema di
imposte sui redditi, l’art. 40 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che al comma primo
dispone che , letto in unione con l’art. 77 dello stesso d.P.R. () comporta che in presenza di una
società in nome collettivo l’immobile che le appartiene non può essere comunque
considerato produttivo di reddito fondiario, sussistendo una presunzione assoluta di
strumentalità à fini dell’impresa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12393 del 09/12/1998; in
12386

del 06/07/2004).

Consegue da ciò che, in difetto di una contraria prova di cui la stessa parte era
onerata, il giudicante non avrebbe potuto che considerare gli immobili qui in
argomento come inidonei alla produzione di reddito fondiario e perciò inidonei a
costituire presupposto per l’applicazione dell’agevolazione di cui qui si discute.
Non resta che concludere che il giudicante di merito ha fatto erronea applicazione
della regola di diritto desumibile dal combinato disposto dell’art. l della legge
447/997 e degli art.90, 40 e 77 del DPR n.917/1986 sicchè la pronuncia impugnata
merita cassazione.
Potrà conseguirne poi una diretta decisione da parte della Corte, anche nel merito
della lite, con il rigetto dell’impugnazione del provvedimento impositivo, non
ravvisandovi esigenza di acquisire ulteriori elementi di fatto.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta fondatezza.
Roma, 30 novembre 2014

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
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termini analoghi Cass. Sez. 5, Sentenza n.

rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la
parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in € 800,00
oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma il 22 aprile 2015

Il President

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