Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12465 del 16/06/2016

Cassazione civile sez. II, 16/06/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 16/06/2016), n.12465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27043-2011 proposto da:

ITALSUG TRADE S.r.l., c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO

VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

VACCARELLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO DE BOSIO;

– ricorrente –

contro

L’ALTRACARNE S.p.a., (già L’ALTRACARNE s.r.l.) c.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 24,

presso lo studio dell’avvocato ELISA SCOTTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI ANDREOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

uditi gli Avvocati ROMANO VACCARELLA e STEFANO DE BOSIO,

difensore della ricorrente, che si riportano agli atti depositati;

udito l’Avvocato GIOVANNI ANDREOLI, difensore della

controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con scrittura privata del 12/9/01 la società Italsug Trade srl –

ditta che si occupa di intermediazione import-export nell’ambito del commercio delle carni – e la società Altracarne snc (ora Altracarne spa) definirono un contenzioso tra loro insorto in ordine a forniture di carni precedentemente effettuate dalli Altracarne alla Italsug Trade, pattuendo, per quanto qui ancora interessa, che Altracarne:

1) avrebbe effettuato in favore di Italsug Trade una fornitura di carne tacchino “senza piuma”;

2) avrebbe ritirato 19 tonnellate di grasso di tacchino precedentemente fornite e, a seguito di contestazione del destinatario estero finale, riportate in Italia e custodite dalla Italsug Trade. Con atto di citazione del 23/2/02 Italsug Trade convenne in giudizio la società Altracarne lamentando diversi inadempimenti al contratto del 12/9/01; in particolare, per quanto qui rileva, l’attrice lamentava:

che la partita di 16 tonnellate di carne di tacchino consegnata il 24/9/01, in esecuzione dell’accordo di cui a precedente punto 1), difettava della qualità di assenza di piuma, come scoperto e denunciato in data 19/10/01 dalla ditta slovacca a cui essa Italsug Trade aveva rivenduto la merce;

– che la società Altracarne non aver provveduto al ritiro delle 19 tonnellate di grasso di tacchino contestate dal destinatario finale, di cui al precedente punto 2), che essa Italsug Trade aveva riportato in Italia;

che, dopo la consegna del 24/9/01, la società Altracarne non aveva effettuato altre consegne, così rendendosi inadempiente all’accordo di cui al precedente punto 1), che prevedeva la vendita di complessive 40 tonnellate di carne.

La Italsug Trade chiese quindi la risoluzione del contratto relativo alla fornitura di carne di tacchino “senza piuma” di cui al precedente punto 1) per mancanza di qualità promessa, ai sensi dell’art. 1497 c.c., nonchè la condanna della convenuta al risarcimento del danno, comprensivo de:

le spese del deposito in frigorifero della partita di carne consegnata il 24/9/01 in esecuzione del contratto di cui al precedente punto 1), restituita dal cliente slovacco per la presenza di piume;

le spese del deposito in frigorifero delle 19 tonnellate di grasso di tacchino di cui al precedente punto 2);

il lucro cessante per il mancato completamento, dopo la consegna del 24/9/01, della fornitura di 40 tonnellate di carne di cui al precedente punto 1).

Il tribunale di Teramo – nel contraddittorio della società Altracarne, regolarmente costituitasi rigettò le domande dell’Italsug Trade e la condannò a pagare alla Altracarne, in accoglimento della domanda riconvenzionale da quest’ultima proposta, il prezzo della partita di carne consegnata il 24/9/01.

La Corte di appello dell’Aquila, adita dalla Italsug Trade, ha confermato la sentenza di primo grado. Per quanto specificamente riguarda la partita di carne consegnata il 24/9/01, la Corte distrettuale ha affermato che la compratrice era decaduta dall’azione ex art. 1497 c.c. per aver denunciato la mancanza della qualità promessa dell’assenza di piume oltre otto giorni dopo la consegna della merce. In particolare, nella sentenza gravata si respinge l’assunto della Italsug Trade che ancorava la decorrenza del termine di denuncia della mancanza della suddetta qualità alla data della relativa scoperta, invece cha a quella della consegna della merce.

La Corte distrettuale poggia la propria decisione sulla seguente catena argomentativa (gli stralci virgolettati che seguono sono tutti tratti da pag. 8 della sentenza gravata):

a) Tanto all’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. quanto all’azione per mancanza di qualità ex art. 1497 c.c. “si applica il termine di decadenza ex art. 1495 c.c. (di otto giorni dalla scoperta del vizio o della mancanza di qualità) per la denuncia ai fini della domanda proposta (nel caso in esame, di risoluzione)”.

b) “Per il vizio apparente, cioè quello rilevabile attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza anche inferiore a quello ordinaria, il dies a quo decorre dal giorno del ricevimento della merce”.

c) La presenza di piume nella carne era “vistosa e generalizzata” e, pertanto, deve essere ricondotta alla categoria dei vizi apparenti (retius: mancanza di qualità apparenti).

d) La conclusione di cui al precedente punto c) viene sorretta, sul piano soggettivo, dal rilievo che “gli analoghi inconvenienti verificatisi per le forniture precedenti dovevano consigliare un controllo ed una verifica” e, sul piano oggettivo, dal rilievo che “il confezionamento della merce (in scatoloni) ed il suo stato di conservazione (congelata) non erano certo ostativi ad un esame di breve durata (stante l’evidenza del preteso vizio) previa apertura delle confezioni che, immediatamente dopo sigillate, avrebbero consentito il successivo trasporto della merce senza pregiudizio della qualità e freschezza”.

Il ricorso si articola su cinque motivi.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione di legge (art. 1491 c.c., art. 1497 c.c., comma 2, art. 1495 c.c., comma 1, e art. 1511 c.c.) in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che, nel caso di mancanza apparente di qualità promesse, il termine della relativa denuncia decorra dalla consegna della cosa venduta invece che dalla scoperta della mancanza di qualità. Secondo la ricorrente, nell’ipotesi di qualità espressamente promesse, l’acquirente non avrebbe alcun onere di verificare la merce alla consegna e, pertanto, la natura palese od occulta della loro mancanza risulterebbe irrilevante, giacchè il termine di denuncia decorrerebbe in ogni caso dalla relativa scoperta.

Con il secondo motivo, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, si denuncia il vizio di contraddittorietà e insufficienza della motivazione, nonchè il vizio di violazione falsa applicazione dell’art. 1491 c.c., art. 1497 c.c., comma 2, art. 1495 c.c., comma 1, e art. 1511 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa giudicando apparente la mancanza di qualità dell’assenza di piume in una partita di 16 tonnellate di carne congelata e confezionata in scatoloni sigillati da 10 chili ciascuno che la compratrice – mera intermediaria – avrebbe dovuto spedire al cliente finale slovacco.

Rileva in proposito la ricorrente che il riferimento della sentenza gravata ad “un esame di breve durata (stante l’evidenza del preteso vizio) previa apertura delle confezioni che, immediatamente dopo sigillate, avrebbero consentito il successivo trasporto della merce senza pregiudizio della qualità e freschezza” risulterebbe palesemente illogico in relazione all’apertura di 1.600 cartoni di carne congelata.

Con il terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione di legge (art. 1491 c.c., art. 1497 c.c., comma 2, art. 1495 c.c., comma 1, e art. 1511 c.c.) in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa non uniformando la propria interpretazione di tali disposizioni al precetto contenuto nell’art. 38, comma 3, della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili, ratificata con la L. n. 765 del 1985, laddove si dispone che, se il compratore rispedisce i beni acquistati “senza aver avuto una ragionevole possibilità di esaminarli”, il relativo esame può essere differito fino al momento del loro arrivo alla nuova destinazione. Si argomenta al riguardo in ricorso che una difforme interpretazione della normativa interna si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. per la irragionevole disparità di regolazione tra le vendite interne e quelle transfrontaliere.

Con il quarto motivo, riferito all’art. 360, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., si denuncia l’omissione di pronuncia della sentenza gravata sulla domanda con cui l’odierna ricorrente aveva chiesto la condanna della controparte alla rifusione delle spese di deposito frigorifero delle 19 tonnellate di grasso di tacchino che nella scrittura privata del 12/9/01 l’Altracarne si era impegnata a ritirare.

Con il quinto motivo, riferito all’art. 360, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., si denuncia l’omissione di pronuncia della sentenza gravata sulla domanda con cui l’odierna ricorrente aveva chiesto la condanna della controparte al risarcimento del danno da lucro cessante per la mancata, esecuzione delle consegne ulteriori, dopo quella del 24/9/01, previste dall’accordo sulla vendita di complessive 40 tonnellate di carne di tacchino risultante dalla scrittura privata del 12/9/01.

La società Altracarne spa si è costituita con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza dell’8.3.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso è fondato.

La Corte territoriale ha ritenuto che il disposto dell’art. 1511 c.c., alla cui stregua il termine per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti delle cose da trasportare da un luogo ad un altro decorre dal giorno del ricevimento, si applichi indifferentemente alla denunzia dei vizi, alla denunzia del difetto di qualità promesse e alla denunzia del difetto di qualità essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata.

Tale opinione non può essere condivisa, per le seguenti ragioni.

Al riguardo va premesso che, come chiarito in risalenti precedenti di questa Corte (sentenze n. 500/68 e n. 3695/69), in tema di compravendita, alle due distinte categorie dei vizi e della mancanza di qualità corrispondono, a tutela del compratore, due diverse azioni, rispettivamente la redibitoria (art. 1492 c.c.) e quella di risoluzione per inadempimento contrattuale (art. 1497 c.c., comma 1).

Solo la prima appresta una garanzia in senso tecnico, mentre l’altra, salva l’unificazione dell’onere della denuncia e dei termini di decadenza e di prescrizione (art. 1497 c.c., comma 2), rientra nella disciplina ordinaria degli inadempimenti contrattuali.

Questa Corte ha altresì precisato (sentenze n. 3695/69, cit., e n. 3803/78) che l’esclusione della garanzia per la facile riconoscibilità dei vizi, prevista nella seconda parte dell’art. 1491 c.c., concerne, appunto, la garanzia per i vizi, ma non il diritto di chiedere la risoluzione del contratto per mancanza di qualità, in relazione al quale l’art. 1497 c.c. non richiama l’art. 1491 c.c., limitando all’art. 1495 c.c. il riferimento alla normativa dettata dal codice in materia di vizi della cosa venduta.

Da tale inquadramento sistematico, da cui il Collegio non ha ragione di discostarsi, discende che, in materia di mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, trova applicazione esclusivamente la regola, fissata dall’art. 1495 c.c. (richiamato dall’art. 1497 c.c.), della decorrenza del termine di denuncia dalla scoperta, mentre non opera la regola, dettata dall’art. 1491 c.c. per i vizi, secondo cui la facile riconoscibilità esclude la tutela del compratore.

Tanto premesso, è necessario focalizzare il nesso che lega sistematicamente le disposizioni dettate dall’art. 1491 c.c. e dall’art. 1511 c.c..

L’art. 1491 c.c. fissa due regole: la prima è che la garanzia non è dovuta per i vizi noti al compratore e la seconda è che la garanzia non è dovuta per i vizi facilmente riconoscibili; il testo normativo inserisce poi un’eccezione alla seconda regola, stabilendo che, anche per i vizi facilmente riconoscibili, la garanzia è dovuta qualora il venditore abbia dichiarato che le cose erano esenti da vizi. La prima regola trova la sua ragione nel rilievo che, in caso di vizi noti al compratore, la cosa venduta non è difforme da quella su cui le parti hanno contrattato, cosicchè nessun inadempimento è ascrivibile al venditore; la seconda regola costituisce applicazione del principio di autoresponsabilità del compratore, alla cui stregua quest’ultimo è gravato di un onere di diligenza in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione; l’eccezione alla seconda regola, infine, costituisce applicazione del principio di affidamento, in quanto la specifica assicurazione sull’assenza di vizi determina un particolare affidamento del compratore, che viene indotto a soprassedere all’esame della cosa e quindi a non scoprirne gli eventuali vizi (si vedano, in termini, le sentenze di questa Sezione nn. 2862/97, 695/00, 2981/12).

L’art. 1511 c.c., a propria volta, fissa la regola che, nella vendita di cose da trasportare da un luogo a un altro, il termine per la denunzia dei vizi e difetti di qualità apparenti decorre dal giorno del ricevimento. Anche questa regola, al pari della seconda regola dettata dall’art. 1491 c.c., costituisce applicazione del principio di autoresponsabilità, alla cui stregua sul compratore grava un onere di diligenza consistente nel dovere di esaminare con tempestività la cosa, ponendosi così in grado di rilevarne gli eventuali difetti (si vedano, in termini, le sentenze di questa Sezione nn. 2747/82, 49/96, 4496/00).

Dal sistema normativo così delineato emerge con chiarezza, per quanto riguarda la garanzia per i vizi ex art. 1490 c.c., che il compratore è gravato dell’ onere di diligenza di verificare la merce acquistata; che l’inosservanza di tale onere determina la perdita della garanzia per i vizi facilmente riconoscibili, o apparenti, tanto nella vendita tra presenti (art. 1491 c.c.) quanto nella vendita tra assenti (art. 1511 c.c.); che, tuttavia, per il coordinamento operato nell’art. 1491 c.c. tra il principio di autoresponsabilità ed il principio di affidamento, la garanzia opera anche in relazione ai vizi facilmente riconoscibili qualora il compratore ne abbia dichiarato l’insussistenza. Per quanto invece riguarda il diritto alla risoluzione contrattuale ex art. 1497 c.c. per le mancanze di qualità promesse o essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, bisogna distinguere tra la vendita tra presenti e la vendita tra assenti. Nel primo caso, non essendo l’art. 1491 c.c. richiamato dall’art. 1497 c.c., il diritto alla risoluzione contrattuale va riconosciuto anche in relazione alle mancanze di qualità facilmente riconoscibili. Nel secondo caso, invece, l’espresso richiamo dell’art. 1511 c.c. alla ipotesi di “difetti di qualità” apparenti impone di ritenere che anche per i difetti di qualità sussista, in applicazione del principio di autoresponsabilità del compratore, l’onere di quest’ultimo di procedere alla verifica della merce al momento della consegna; ma il coordinamento normativo tra il principio di autoresponsabilità ed il principio di affidamento impone altresì di ritenere che detto onere sussista ai fini della possibilità di domandare la risoluzione del contratto per la mancanza di qualità essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata ma non ai fini della possibilità di domandare la risoluzione del contratto per la mancanza di qualità promesse. La promessa, da parte del venditore, di una qualità della cosa venduta genera infatti, in capo al compratore, un affidamento sulla presenza di tale qualità che è del tutto sovrapponibile all’ affidamento sull’assenza di vizi generato in capo al compratore dalla dichiarazione del venditore che la cosa è esente da vizi. Pertanto, come la dichiarazione del venditore che la cosa venduta è esente da vizi solleva il compratore, tanto nella vendita tra presenti quanto nella vendita tra assenti, dall’onere di procedere alla verifica della sussistenza di vizi facilmente riconoscibili, così la promessa di una determinata qualità, apparente, della cosa solleva il compratore dall’onere di procedere alla verifica della relativa mancanza nella vendita tra assenti (nella vendita tra presenti il problema non si pone, perchè, come sopra evidenziato, l’art. 1491 c.c. non è richiamato dal’ art. 1497 c.c.).

Tale conclusione risulta ulteriormente confortata dal rilievo che il diritto del compratore alla risoluzione del contratto ex art. 1497 c.c. sorge, in relazione al difetto di una qualità essenziale per l’uso a cui la cosa è destinata, solo nel caso che il difetto ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi, mentre tale limitazione non ricorre nel caso di difetto di una qualità promessa; infatti, come questa Sezione ha più volte affermato, la qualità della cosa compravenduta, qualora sia espressamente promessa, assume, per volontà dei contraenti, un carattere di essenzialità di per se stesso incompatibile con la tollerabilità della sua mancanza, la quale quindi comporta sempre il diritto del compratore di ottenere la risoluzione del contratto (in termini, senti. 4923/77, 3550/95).

Appare dunque evidente che, in caso di qualità promessa, proprio la essenzialità alla stessa convenzionalmente attribuita dai contraenti impone di ritenere, sul presupposto della esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 c.c., la legittimità dell’affidamento del compratore sul fatto che la cosa consegnata non ne difetti; con conseguente insussistenza di alcun onere, in capo al compratore medesimo, di procedere alla verifica della merce al momento della consegna.

Il primo motivo di ricorso va dunque accolto.

Il secondo e il terzo motivo restano assorbiti dall’accoglimento del primo.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza gravata per omessa pronuncia sulla domanda avente ad oggetto la rifusione delle spese del deposito in frigorifero di 19 tonnellate di grasso di tacchino vendute dalla Altracarne alla Italsug Trade e successivamente contestate dal destinatario finale estero (dal quale Italsug Trade le ritirò, riportandole in Italia e custodendole fino a quando, a seguito di sequestro liberatorio, ne fu giudizialmente autorizzata la vendita).

Al riguardo la ricorrente, precisato che il contratto in forza del quale la società Altracarne aveva venduto il grasso di tacchino alla Italsug Trade era stato consensualmente risolto con la scrittura transattiva del 21/9/01, lamenta che la Corte d’appello, rigettando la domanda di rifusione delle spese di deposito di detta merce sul rilievo che la menzionata scrittura transattiva non prevedeva tale obbligo a carico della Altracarne, avrebbe eluso la causa petendi della domanda di rimborso della Italsug Trade, giacchè quest’ultima si fondava non su un obbligo contrattualmente assunto dalla Altracarne ma sull’obbligo del proprietario della merce (che, a seguito della risoluzione del contratto di vendita Altracarne/Italsug Trade, era tornato ad essere Altracarne) di farsi carico delle spese della relativa custodia.

Il motivo non può trovare accoglimento, perchè il denunciato vizio di omessa pronuncia non sussiste.

Nel terzo capoverso della pagina 7 della sentenza gravata, infatti, si legge, con riferimento alla scrittura transattiva 21/9/01: “Come si vede, dovendosi evincere da tale documento (solo da esso, per il vincolo formale posto richiamato art. 1967 c.c.) i termini del regolamento convenzionale voluto dalle parti, osserva la Corte che non v’è traccia in esso di alcuna previsione relativa alle spese di prelievo e di deposito del grasso (mentre al rigo precedente si dispone per le spese di trasporto dell’altra fornitura)”. E’ dunque palese che la Corte distrettuale si è pronunciata sulla domanda di cui si discute e l’ha respinta, in base al duplice rilievo – di fatto – che nella transazione inter partes non era previsto l’obbligo della società Altracarne di farsi carico delle spese di custodia del grasso e – di diritto – che, per il disposto dell’art. 1967 c.c., il regolamento convenzionale voluto dalle parti dovesse evincersi solo dal testo di detta transazione. Quand’anche la Corte abbia errato nell’attribuire alla scrittura transattiva inter partes l’efficacia di escludere il diritto della Italsug Trade al rimborso delle spese di custodia de quibus, si tratterebbe di un errore di giudizio ma non di una omissione di pronuncia.

Con il quinto motivo si denuncia l’omissione di pronuncia della sentenza gravata sulla domanda con cui la l’odierna ricorrente aveva chiesto la condanna della controparte al risarcimento del danno da lucro cessante per la mancata esecuzione delle consegne ulteriori, dopo quella del 24/9/01, previste dal contratto di vendita di complessive 40 tonnellate di carne di tacchino stipulato con la scrittura privata del 12/9/01.

Anche tale motivo va disatteso. Dallo stralcio dell’atto di appello della Italsug Trade trascritto a pag. 37 (nota 8) del ricorso per cassazione, emerge che l’appellante chiedeva il risarcimento del danno “derivante dalla mancata esecuzione delle vendite riparatrici (le 40 tonnellate di cui all’accordo di settembre 2001)”. Su tale domanda la Corte distrettuale si è pronunciata nel penultimo capoverso di pagina 7 della sentenza gravata, laddove si legge: “si deve concordare con la impostazione del primo giudice che ha ristretto la residua materia del contendere alle sole contrapposte domande delle parti (di risoluzione e di adempimento) aventi per oggetto la cosiddetta terza vendita: quella cioè alla quale si era obbligata – con l’atto transattivo – l’Altracarne e che era stata effettuata con emissione della fattura n. (OMISSIS) per il prezzo complessivo di Euro 253388,41 del quale la stessa Società pretende il pagamento.” Con tale statuizione la Corte territoriale ha affermato che “la cosiddetta terza vendita” era stata “effettuata” (rectius: eseguita) con la consegna di cui alla fattura n. (OMISSIS) ed ha quindi implicitamente escluso che la stessa avesse ad oggetto (e, quindi, la Italsug Trade potesse vantare pretese risarcitorie per la mancata consegna di) quantitativi di carne ulteriori rispetto a quello di cui a detta fattura n. (OMISSIS). L’eventuale errore nell’identificazione dell’oggetto della “cosiddetta terza vendita” non è riconducibile all’ipotesi di omissione di pronuncia.

In definitiva si deve accogliere il primo mezzo di ricorso, dichiarando assorbiti il secondo ed il terzo e rigettando il quarto ed il quinto; la sentenza gravata va cassata con rinvio perchè il giudice di merito si attenga al seguente principio di diritto:

Ai sensi dell’art. 1497 c.c., comma 2, e art. 1491 c.c., anche nella vendita di cose da trasportare il termine per la denuncia dei difetti di qualità apparenti della cosa venduta decorre, ove si tratti di qualità promesse, dalla scoperta dei difetti di qualità e non dalla consegna della cosa; ciò in quanto l’affidamento del compratore sulla promessa del venditore solleva il primo dall’onere di verificare al momento della consegna della cosa che nella stessa sia presente la qualità promessa; il riferimento dell’art. 1511 c.c. ai “difetti di qualità apparenti” concerne quindi le qualità essenziali per l’uso a cui è destinata la cosa venduta e non le qualità promesse.

Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo ed il terzo e rigetta il quarto ed il quinto.

Cassa la sentenza gravata e rinvia alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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