Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12465 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2021, (ud. 11/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15075/2018 R.G. proposto da:

Banca di Credito Cooperativo di Scafati e Cetara s.c.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, piazza Dalmazia 10, presso il Dott. Alfonso Menna,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Pasca e Filiberto

Pasca giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Campania

(Napoli – Sezione staccata di Salerno), Sez. 9, n. 9946/09/17, del

15 novembre 2017, depositata il 23 novembre 2017, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 gennaio

2021 dal Consigliere Raffaele Botta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Preso atto che il P.G. non ha depositato conclusioni scritte e che le parti non hanno depositato memoria;

1. La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di liquidazione per imposta di registro applicata su un decreto ingiuntivo esecutivo nella misura proporzionale in luogo di quella in misura fissa ritenuta conforme a diritto dalla Banca impugnante, trattandosi di corrispettivi soggetti ad IVA;

2. Il ricorso era respinto in primo e secondo grado con una sentenza avverso la quale la Banca propone ricorso per cassazione con due motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso;

3. Il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, – si palesa inammissibile in quanto trattasi di censura diretta all’atto impositivo e per difetto di autosufficienza in quanto tale atto non viene riportato nel ricorso per consentire al giudice di legittimità del valutarne il supposto vizio di motivazione. Va peraltro sottolineato che l’Ufficio deve considerarsi “esonerato dall’obbligo di allegazione L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 7, comma 1, con riguardo, come nel caso di specie, agli atti presupposti (negoziali, amministrativi o giudiziali) di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, sia stato destinatario ovvero sia stato parte (anche a mezzo di rappresentante legale o volontario), trattandosi di incombenza ridondante rispetto alla finalità di garantire un’informazione adeguata e commisurata ad un efficace esercizio del diritto di difesa in ordine all’incidenza degli atti impositivi” (Cass. n. 21713 del 2020);

4. Assume quindi carattere decisivo il secondo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 per l’avvenuta applicazione dell’imposta in misura proporzionale chiamando a conforto la sentenza n. 2696 del 2003 di questa Corte;

5. La censura non è fondata. Esso richiama un orientamento rimasto pressochè isolato nella giurisprudenza della Corte, nella quale si affermato in modo nettamente prevalente il principio espresso dalla sentenza n. 21775 del 2014 espressamente citata dalla sentenza impugnata a sostegno della propria motivazione: “Le somme dovute a titolo di interessi moratori, in forza del disposto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse – ove costituiscano oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA” (Cass. n. 22228/2015; n. 21702/2020).

6. Pertanto il ricorso va respinto con condanna alle spese della parte ricorrente liquidate in complessivi Euro 510,00 oltre spese forfettarie e oneri di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio liquidate in complessivi Euro 510,00 oltre spese forfettarie e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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