Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1246 del 19/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 19/01/2018, (ud. 12/04/2017, dep.19/01/2018),  n. 1246

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Il Giudice di pace di Napoli, in accoglimento della domanda proposta da R.S., ha condannato la società G.M. S.r.l. al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 1.000,00 a titolo di risarcimento del danno subito a causa della mancata restituzione dell’orologio marca Montres Tudor, che il R. aveva consegnato alla indicata società affinchè fossero eseguite delle riparazioni.

A seguito di impugnazione da parte della società M. il Tribunale di Napoli, a modifica della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda, compensando le spese tra le parti.

Avverso questa sentenza propone ricorso R.S. con tre motivi. Resiste con controricorso la società G.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il giudice di appello ha affermato che la circostanza che l’orologio è stato trafugato insieme ad altri preziosi non è stata oggetto di contestazione da parte del R., risultando peraltro la stessa comprovata dal verbale di denuncia verbale di G.M. in data 20 gennaio 2009, nonchè dalla certificazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, relativa all’avvenuta archiviazione del procedimento penale a carico di ignoti.

Risulta accertato che la rapina ebbe luogo durante l’orario di apertura dell’esercizio commerciale, quando degli sconosciuti si introdussero con effrazione all’interno del locale armati di pistole con le quali minacciarono i presenti.

2. Il giudice dell’impugnazione, affermata perciò la non imputabilità al depositario della perdita della detenzione dell’oggetto prezioso richiamando Cass. 13359 del 2004, con conseguente impossibilità di adempiere all’obbligazione di restituzione nella prospettiva di cui all’art. 1780 c.c., comma 1, in relazione all’art. 1218 c.c., pur dando atto che la società M. non aveva assolto all’obbligo di denunciare tempestivamente al depositante il fatto per cui aveva perduto la detenzione ex art.1780 1 cc, escluso che tale inadempimento comporti per ciò solo automaticamente il diritto al risarcimento del danno, ha interpretato l’orientamento di legittimità secondo il quale l’inadempimento a detto obbligo determina il risarcimento del danno, comprensivo in ogni caso del valore del bene in custodia a favore del depositante, in linea con i principi in materia di nesso di causalità, nel senso che quel danno comprende esclusivamente i pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell’omessa o ritardata denuncia. Sicchè l’indicato danno può identificarsi con il valore della cosa depositata solo se il depositante dimostri che la perdita di essa sia dipesa dall’inosservanza dell’obbligo di denunzia.

3. Nella fattispecie in esame, avendo il R. omesso ogni allegazione difensiva o probatoria atta evidenziare che, ove tempestivamente edotto della sottrazione, sarebbe stato in grado di evitare la perdita definitiva del bene, essendosi limitato a chiedere il ristoro del pregiudizio in relazione al valore di esso, non poteva affermarsi la responsabilità della M. avuto riguardo al lungo tempo intercorso tra la consegna dell’orologio per la riparazione e quello della rapina, atteso che il depositante si recò a chiedere informazioni soltanto due mesi dopo la rapina, per cui l’azione risarcitoria doveva essere rigettata.

4. Con il primo motivo si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 1655,1665,1176,1218 e 1375 c.c..

Sostiene il ricorrente che, in considerazione della struttura e delle dimensioni della società M., quello stipulato con quest’ultima era un contratto di appalto e pertanto il rapporto negoziale doveva essere inquadrato ai sensi dell’art. 1655 c.c. e ss..

Il giudice d’appello non si è soffermato sull’obbligazione principale e non ha applicato le norme dettate in tema di obblighi e doveri di diligenza,correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto a carico del contraente (appaltatore o prestatore d’opera). Infatti ha disatteso la norma dell’art. 1665 c.c., comma 3, che prevede a carico dell’appaltatore l’onere di invitare il committente alla verifica dell’opera o del servizio e, soltanto se egli non verifica senza giusti motivi, l’opera si ha per accettata; dell’art. 1176 c.c., che prevede che nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e dell’art. 1218 c.c., che dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

5. Nella specie il ricorrente per 18 mesi non aveva ricevuto dalla M. alcuna comunicazione circa lo stato della riparazione, nè l’invito alla verifica della riparazione o ritiro dello stesso, nè alcuna comunicazione dell’evento criminoso del 19 gennaio 2009, mentre l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza impone obblighi di informazione e di avviso il cui inadempimento può riflettersi sul risultato finale perseguito dai contraenti.

6. Il motivo è inammissibile.

Infatti da un lato prospetta per la prima volta in questa sede questioni giuridiche concernenti le conseguenze del ritardo nell’adempimento del contratto – per la prima volta qualificato appalto – e quindi di riconsegna del bene ricevuto quale concausa della sopravvenuta impossibilità di adempimento dell’uno e dell’altro obbligo; dall’altro non censura la ratio decidendi secondo cui le “modalità della rapina configurano una fattispecie di esonero da responsabilità del depositario per non imputabilità dell’inadempimento, senza che rilevi che egli abbia adottato particolari accorgimenti nella custodia.

7. Con il secondo motivo si denunzia l’errore in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c., (omessa pronunzia su eccezioni di parte) e dall’articolo 116 c.p.c. (libera valutazione delle prove legali).

Violazione falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il giudice d’appello ha liberamente valutato le prove legali, e dell’art. 2697 c.c..

Sostiene il ricorrente che fin dal giudizio di primo grado aveva dedotto che la M. non aveva dimostrato che la detenzione dell’orologio le era stata tolta nel corso della rapina del gennaio 2009 ed aveva eccepito l’inesistenza di un inventario degli oggetti rubati. Inoltre, se fosse stato tempestivamente notiziato, il ricorrente avrebbe potuto ottenere il ristoro del danno direttamente dalla società assicuratrice.

Il Tribunale non solo non si è pronunziato su l’eccezione del R. in ordine alla mancanza di prova che l’orologio era stato sottratto nel corso della rapina, ma addirittura l’ha considerata non formulata in violazione dell’art. 1780 c.c., invocato anche in appello – omessa prova della perdita della detenzione per fatto non imputabile al depositario – e dell’art. 112 c.p.c..

8. Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha affermato che la circostanza della rapina non è stata contestata da parte del R., e da tale circostanza ha dedotto la perdita della detenzione del prezioso de quo con conseguente impossibilità di adempiere all’obbligo di restituzione, risultando peraltro la stessa comprovata dal verbale di denuncia orale di G.M. in data 20 gennaio 2009, nonchè dalla certificazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, relativa all’avvenuta archiviazione del procedimento penale a carico di ignoti nel marzo del 2009. E poichè la rapina ebbe luogo durante l’orario di apertura dell’esercizio commerciale, quando degli sconosciuti si introdussero con effrazione all’interno del locale armati di pistole con le quali minacciarono i presenti, il fatto non era imputabile al depositario.

9. Non ricorre quindi il denunziato vizio di omessa pronunzia, mentre per la parte in cui la censura attinge gli accertamenti in fatto del Tribunale in ordine alla circostanza che l’orologio fu trafugato in occasione della rapina del 20 gennaio 2009, sono accertamenti ampiamente argomentati e non più rivalutabili in sede di legittimità, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che riduce sensibilmente la possibilità di introdurre il vizio di motivazione in sede di legittimità (S.U. 8053 del 2014).

10.Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1780, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene il ricorrente che il giudice d’appello, in contrasto con il dettato dell’art. 1780 c.c., comma 1, ha circoscritto la responsabilità del depositario ai soli casi in cui il depositante provi che, informato immediatamente del fatto – nella specie la denuncia non vi è proprio stata – sarebbe stato in grado di recuperare il bene.

Al riguardo nella Corte di legittimità coesistono due orientamenti: secondo il primo il depositario che omette di denunciare al creditore il fatto che ha reso impossibile l’adempimento del contratto d’opera deve rispondere della mancata restituzione del bene risarcendone i danni comprensivi del valore, anche se il fatto non gli è imputabile;

per il secondo indirizzo i danni sono soltanto quelli conseguenti all’inadempimento dell’obbligo di immediata denuncia che il depositante deve dimostrare.

Entrambi gli orientamenti sono stati disattesi, perchè la Corte di merito ha escluso il risarcimento in quanto il depositante non ha dimostrato che, se fosse stato immediatamente avvisato della rapina, avrebbe potuto recuperare il bene.

Perciò il giudice d’appello non solo ha posto a carico del depositante un onere probatorio impossibile, ma ha finito con il negare l’applicazione della norma in tutti quei casi in cui il recupero del bene è impossibile o improbabile e la perdita inevitabile, come nel caso della rapina.

Con siffatta interpretazione l’obbligo di tempestiva denunzia diventerebbe pleonastico e la norma inutile in quanto il depositario potrebbe attendere, sine die, in conflitto di interessi con il depositante, l’istanza di riconsegna e poi eccepirgli di aver perduto il bene per fatto non imputabile.

L’omessa denuncia da parte della società M. indubbiamente aveva impedito al R. di surrogarsi nei diritti del depositario ai sensi dell’art. 1780 c.c., comma 2, e di ottenere il ristoro dei danni dalla società RAS, assicuratrice dei M..

11. Il motivo è fondato.

L’art. 1780 c.c., dispone “Se la detenzione della cosa tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa, ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione.

Il depositante ha diritto di ricevere ciò che, in conseguenza del fatto stesso, il depositario abbia conseguito, e subentra nei diritti spettanti a quest’ultimo”.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, l’ambito oggettivo di cui all’art. 1780 c.c., si estende anche ai contratti nei quali l’obbligo di custodia, come quello in oggetto, non costituisce l’obbligazione principale. Infatti “L’art. 1780 c.c., in forza del quale il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, trova applicazione anche quando l’obbligazione della custodia e della riconsegna formi parte di un contratto misto nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto, come nel caso dell’affidamento di un’autovettura ad un’officina per la riparazione, in cui l’obbligo di custodia e di restituzione assume funzione accessoria, in quanto finalizzato all’adempimento dell’obbligazione principale” (Cass. n. 10956/2010).

12. Non essendo in questa sede soggetto a nuova valutazione l’accertamento che l’orologio è stato oggetto di rapina, rimangono controverse le conseguenze giuridiche della mancata denunzia al depositante del fatto sul diritto al risarcimento del danno.

Sul punto sia in dottrina che in giurisprudenza si sono avuti contrastanti orientamenti.

13. Secondo un primo orientamento prevalente in dottrina il depositario che non proceda tempestivamente alla denunzia è responsabile solo dei danni che il depositante ha subito per causa specifica della mancata denunzia.

Logico presupposto di tale assunto è che la denuncia al depositante non costituisce condizione di liberazione del depositario dalla responsabilità per la restituzione della cosa, ma oggetto di un’ulteriore obbligazione che deriva dal rapporto di deposito come conseguenza dell’estinzione dell’obbligazione primaria.

14. Un secondo orientamento dottrinario ritiene che il depositario, che perda la detenzione della res depositata per causa a lui non imputabile, è tenuto a versare al depositante il valore della stessa, qualora non abbia tempestivamente denunciato a quest’ultimo il fatto per cui non ha più la detenzione. In tal modo la liberazione dall’obbligo della restituzione è subordinato, oltre che al fatto non imputabile, anche alla tempestiva denuncia della sottrazione da parte di quest’ultimo, pena il risarcimento del danno per equivalente.

15. Tale ricostruzione è stato oggetto di critica da altra parte della dottrina che ha posto in rilievo che accedere ad una simile interpretazione significherebbe da un lato, configurare un caso eccezionale di responsabilità, in quanto l’art. 1780 c.c., comma 1, detterebbe una regola contraria ai criteri generali che disciplinano la materia dell’inadempimento, secondo cui l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, viene meno la prestazione (art. 1256 c.c.); dall’altro, inverare un’eccezione al principio del nesso di causalità previsto all’art. 1223 c.c., perchè, facendo nascere dall’obbligo di immediata denuncia una responsabilità per danni comprensiva, in ogni caso, del tantundem, si finisce con lo spezzare il nesso fra il fatto colposo, cioè la mancata denunzia, e l’evento dannoso.

16. Anche in giurisprudenza si sono susseguite nel tempo interpretazioni contrastanti sugli effetti della previsione normativa dell’obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto che ha determinato la perdita del bene.

Secondo la giurisprudenza di legittimità più risalente (ex multis Cass. civ. n. 775/1948; Cass. Civ. 339/1959; Cass. civ. 658/1966; Cass. civ. 2193/1974) il depositario, che perda la detenzione della res per causa a lui non imputabile, è tenuto a versare al depositante il valore della stessa, qualora non abbia tempestivamente denunciato a quest’ultimo il fatto per cui non ha piu la detenzione.

La sentenza capostipite di tale orientamento afferma – Cass. Civ. n. 775/1948-: “il depositarlo che ha perduto la detenzione della cosa affidata per fatto a lui non imputabile, è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa, ma deve prestare l’equivalente ove abbia omesso l’immediata denuncia dell’evento al depositante”.

In tal modo il giudice di legittimità subordinava la liberazione dall’obbligo della restituzione, oltre che al fatto non imputabile, anche alla tempestiva denuncia della sottrazione da parte di quest’ultimo, pena il risarcimento del danno per equivalente.

Secondo le argomentazioni poste alla base del risalente indirizzo della Cassazione, la disposizione di cui all’art. 1780 c.c., sarebbe unica e inscindibile, nel senso che per l’esonero del depositario da ogni responsabilità richiederebbe, oltre alla prova della non imputabilità della perdita, che libera il custode dall’obbligo di restituire il bene, anche l’immediata denuncia del fatto al depositante come requisito oggettivo, cui è subordinata l’esenzione dal risarcimento del danno rappresentativo della restituzione per equivalente.

Secondo Cass. 04-02-1959, n. 330 “Sebbene la perdita della cosa non sia imputabile al depositario ed indipendentemente dal fatto che il depositante sia, o meno, in grado di svolgere alcuna azione per il recupero della cosa perduta, l’art. 1780 c.c., sancisce a carico del depositario l’obbligo di denunciare immediatamente al depositante la perdita della cosa, cosicchè, qualora il depositario non adempia al predetto obbligo di denuncia, egli deve al depositante il risarcimento del danno”.

17.Un significativo cambiamento si rinviene con la sentenza n. 203 del 17.1.1978 e la sentenza n. 8541 del 1991 che hanno affermato che l’art. 1780 c.c., comma 1, ove stabilisce che il depositarlo, perduta la detenzione della cosa per fatto a lui non imputabile, è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui non provveda a denunciare immediatamente al depositante il predetto fatto, va inteso nel senso che quel danno comprende esclusivamente i pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell’omessa o ritardata denuncia. E ciò perchè questa interpretazione si armonizza con il principio generale sul nesso di causalità in materia di danni posto dall’art. 1223 c.c., laddove invece, facendo nascere dall’osservanza dell’obbligo dell’immediata denunzia una responsabilità per danni comprensiva, in ogni caso, del valore della cosa in custodia, si verrebbe a spezzare il rapporto causale tra il fatto colposo (costituito dalla mancata denuncia) e l’evento dannoso, il che contrasta anche con il significato logico del citato primo comma dell’art. 1780. Pertanto l’indicato danno può identificarsi con il valore della cosa depositata solo se il depositante dimostri che la perdita definitiva di esso sia dipesa dall’inosservanza dell’obbligo di denuncia, come avviene in qualsiasi azione per danni, che richiede appunto la prova non solo del fatto colposo o doloso, ma anche del nesso eziologico tra il fatto stesso ed il danno.

18.Successivamente con la sentenza n. 16950 del 2003 questa Corte ha affermato che l’art. 1780 c.c., comma 1, dispone che se la detenzione è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa, ma deve sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione. La norma, nel caso in cui il depositario perde la detenzione della cosa per causa a lui non imputabile, mentre lo esonera dal doversi attivare per recuperarla, alla obbligazione di restituirla, che altrimenti avrebbe, sostituisce quella di rendere edotto immediatamente il depositante del fatto per cui ha perso la detenzione. Il depositarlo, dunque, ha l’obbligo contrattuale di dare al depositante le notizie necessarie per porlo in condizioni di rientrare nella materiale disponibilità della cosa e se non lo fa è soggetto a risarcirgli i danni che dal proprio inadempimento gli possono derivare.

Orbene, quando l’obbligato non tiene il comportamento atteso e si verifica per l’altra parte una situazione pregiudizievole che il comportamento dovuto avrebbe reso possibile evitare, in tanto è possibile escludere che il danno sia conseguenza del comportamento mancato, in quanto si possa ritenere che il danno si sarebbe prodotto egualmente.

19. Questa Corte ritiene non rilevante nella specie optare per l’uno o l’altro orientamento perchè, anche alla luce dell’indirizzo a cui il tribunale ha affermato di volersi attenere, il motivo merita accoglimento.

La norma contenuta nell’art. 1780 c.c., comma 1, obbliga il depositario a denunciare al depositante immediatamente il fatto in conseguenza del quale ha perduto il bene depositato presso di lui e se non lo adempie è soggetto a risarcirgli i danni che dal proprio inadempimento gli sono derivati.

Questo “dovere di avviso” è stato configurato come un obbligo di protezione del depositante, particolarmente esposto ai rischi del contratto, accessoria o principale che sia l’obbligazione di custodia, avuto riguardo al suo interesse all’adempimento del contratto e alle modificazioni dell’originaria situazione di fatto in conseguenza di fatti non imputabili – nella specie impossibilità sopravvenuta della prestazione, art. 1256 c.c. – in modo da consentirgli, in attuazione del generale principio di buona fede, in tempo utile di compiere gli atti necessari al recupero del bene ovvero di agire contro il responsabile della sottrazione.

20. Nella specie è pacifico che il depositante ha chiesto come conseguenza dell’inadempimento all’obbligo di denuncia di perdita del bene per fatto non imputabile, l’equivalente del valore di esso. Il Tribunale però, pur dichiarando di aderire al secondo indirizzo giurisprudenziale, ed in particolare a Cass. 17 gennaio 78 n. 203 e 8541 del 03/08/1991, volendo coordinare la seconda parte dell’art. 1780 c.c., comma 1, con l’art. 1223 c.c., poichè il depositante non aveva provato che se il depositario gli avesse immediatamente denunciato la rapina “sarebbe stato in grado di evitare la perdita definitiva della collana”,ha rigettato la domanda risarcitoria. Ma in tal modo ha violato sia le norme sia i principi di legittimità richiamati.

Ed infatti ha sganciato le une e gli altri dal petitum e dai fatti costitutivi di esso, tra cui la pacifica circostanza evidenziata ripetutamente dal ricorrente, anche in questa sede, secondo cui ebbe notizia dell’avvenuta rapina in occasione della visita di suo figlio al negozio per chiedere se la riparazione dell’orologio era stata eseguita, nel marzo del 2009, e quindi ad archiviazione avvenuta o quantomeno prossima, senza trarne nessuna conseguenza di danno immediato e diretto per violazione dell’obbligo di denuncia immediata non solo per non aver potuto il depositante accertare che il suo orologio fosse tra i preziosi indicati nella denuncia di rapina in mancanza di un inventario dei beni – circostanza pacifica, cfr. pag. 12 del ricorso – ma neppure coadiuvare le autorità inquirenti prima dell’archiviazione della notitia criminis – ovvero di opporsi ad essa – nonchè, come dedotto dal depositante nei gradi di merito, di surrogarsi nei diritti del depositarlo, secondo la disposizione contenuta nell’art. 1780 c.c., comma 3.

21.Ne consegue che la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata per nuovo esame delle circostanze di fatto alla luce del seguente principio di diritto:

“Anche nel contratto di prestazione di opera in cui l’obbligo di custodia è accessorio e strumentale all’adempimento della prestazione, il mancato adempimento dell’obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione – art. 1780 seconda parte primo comma cod. civ. – anche qualora non interferisse con l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore della prestazione, ma fosse fonte di un autonomo obbligo risarcitorio in sostituzione dell’originario di restituzione del bene, obbliga il depositante a risarcire al depositario i danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene e che perciò possono anche consistere nel valore dello stesso, avuto riguardo a tutte le circostanze dedotte nel caso concreto ed all’art. 1780 c.c., comma 3, che prevede che il depositante ha diritto di ricevere ciò che in conseguenza del fatto stesso il depositario abbia conseguito e subentra nei diritti spettanti a quest’ultimo”.

Il Tribunale di Napoli provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso,rigetta il secondo e accoglie il terzo;cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione del Tribunale di Napoli che provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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