Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12459 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.17/05/2017),  n. 12459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29723-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., – C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA MAZZI che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato DORA

DE ROSE, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5070/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 15.6.2015, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame proposto da R.A., e in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dal predetto con la spa Poste Italiane il 14.12.2007 ed accertava l’intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con diritto dell’appellante alla riammissione in servizio con mansioni di portalettere junior, condannando la società al pagamento di un’indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32 pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

ritenuta infondata l’eccezione preliminare di risoluzione del rapporto per mutuo consenso e che, quanto al primo contratto, era stato rispettato il limite percentuale imposto dalla clausola di contingentamento, laddove per il secondo stipulato il 14.12.2007 in riferimento alla causale “picchi di più intensa attività”, la società non aveva assolto all’onere della relativa prova a fronte di specifica e puntuale contestazione contenuta nel ricorso introduttivo;

che di tale sentenza chiede la cassazione la s.p.a. Poste Italiane s.p.a., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui ha non ha opposto difese il R., rimasto intimato;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2.1. che viene denunziata, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, in relazione allo scioglimento del rapporto di lavoro per mutuo consenso;

2.2. che, con il secondo, è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 2697 c.c. in relazione alla presenza nel contratto stipulato per esigenze produttive connesse a picchi di più intensa attività dei requisiti di specificità richiesti dalla legge;

2.3. che, con il terzo, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6 in relazione alla determinazione della misura dell’indennità risarcitoria per la presenza di accordi di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6;

3. che ritiene il Collegio che il ricorso è qualificabile come inammissibile alla luce della recente pronunzia di questa Corte in relazione alla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c. (Cass. s. u. 7155/2017);

3.1. che, con riguardo al primo motivo, la Corte di cassazione ha costantemente affermato che il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto deve essere espresso, oppure, salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, deve essere desumibile da comportamenti concludenti (Cass. 26 ottobre 2015, n. 21764, nonchè Cass. 15264 del 2006);

che, con riferimento al caso dei contratti a tempo determinato, la mancata impugnazione della clausola che fissa il tetinine viene considerata indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti a condizione che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti, ad indicare, in modo univoco ed inequivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le parti e che il relativo giudizio attiene al merito della controversia (da ultime, Cass. 1 gennaio 2016, n. 1841 e 11 febbraio 2016, n. 2732, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti, e Cass. s. u. 21691/2016);

che, nel caso in esame la Corte d’appello ha applicato i principi di diritto fissati dalla giurisprudenza di legittimità, considerando la durata del comportamento omissivo e la consistenza e convergenza degli altri elementi prospettati dalla società e che, in applicazione di questi principi ha ritenuto, con valutazione congruamente motivata, che non è stata fornita la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto;

3.2. che, quanto al secondo motivo, parte ricorrente incorre innanzitutto nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno ex 2697 c.c. può porsi solo quando il giudice abbia invertito gli oneri probatori, situazione non rappresentata nel motivo anzidetto, sicchè la relativa doglianza è mal posta, non senza aggiungere che, quanto ai profili di violazione di legge, è altrettanto costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare i fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13);

che è di tutta evidenza, pertanto, che pur con un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità, riportando, tra l’altro, i documenti richiamati in ricorso con un sistema – la fotoriproduzione – che non soddisfa il requisito dell’autosufficienza espresso nell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 e la cui osservanza è prescritta a pena di inammissibilità, restando affidata alla Corte di cassazione verificarne la conformità a quelli facenti parte degli atti e operare la selezione delle parti rilevanti nella prospettiva di chi ha proposto il ricorso, ossia operare una individuazione e valutazione dei fatti, come se nel giudizio di legittimità fosse possibile la ripetizione del giudizio di fatto (in termini, Cass. 7.2.2012, n. 1716, 24.7.2013 n. 18020);

che, in ogni caso nel motivo si critica nella parte conclusiva la valutazione effettuata con riguardo al requisito di specificità della causale, laddove la sentenza si incentra sulla questione della verifica di effettività della esigenza produttiva dedotta, che è stata esclusa sul rilievo che l’asserito incremento del traffico in periodo natalizio negli anni 2007 e 2008 era stato escluso dall’istruttoria compiuta, al di là della considerazione che l’argomento del notorio aumento del traffico in detto periodo non poteva ritenersi fatto notorio alla stregua del consolidarsi di nuove forme di comunicazione;

3.3 che infine, quanto alla censura posta nel terzo motivo, la stessa va disattesa sul rilievo che non sussiste alcuna erronea applicazione della disposizione di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, in base alla quale “in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”;

che la ricorrente deduce genericamente di avere dedotto di avere sottoscritto tali accordi i termini attraverso i quali la questione sarebbe stata introdotta in giudizio, ma non sono forniti elementi a sostegno della rilevanza e della decisività degli accordi nella fattispecie concreta, con riferimento alla posizione del R. e che la presenza di contratti o accordi collettivi “che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta e non già ipotetica o astratta, posto che, come già affermato da Cass. n. 7458 del 31 marzo 2014, una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto attribuirebbe un uguale trattamento a situazioni del tutto differenti, come, da un lato, quella dei lavoratori che sono in condizione dì optare per la stabilizzazione e, dall’altro, quella dei lavoratori che non possono esercitare tale opzione;

che ciò che rileva, al fine della riduzione alla metà del limite massimo previsto dalla norma, è la possibilità di un’applicazione, in concreto, dei citati contratti o accordi collettivi e la possibilità, alla data (del ricorso) di emissione della sentenza impugnata, dell’adesione della lavoratrice agli accordi di stabilizzazione.

4. che, nella specie, il decisum della Corte territoriale è coerente con i principi giurisprudenziali richiamati e che, pertanto, essendo nella sostanza da condividere la proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

5. che nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo il R. rimasto intimato;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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