Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12456 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.17/05/2017),  n. 12456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28723/2015 proposto da:

D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V. PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso

per cassazione;

– ricorrente –

POSTE ITALIANE S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in persona del Responsabile

della Funzione Risorse Umane, Organizzazione e Servizi,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso

lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI che la rappresenta e difende,

in virtù di procura spceiale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 8718/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata i128/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 28.11.2014, in parziale accoglimento del gravame proposto dalla società Poste Italiane s.p.a, ed in riforma della decisione di primo grado per quanto di ragione, rigettava la domanda proposta da D.L.A., intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto – “ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio di recapito presso la Filiale di (OMISSIS)… assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro”- al contratto di lavoro intercorso tra essa ricorrente e Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal 12.4.2003 al 30.6.2003 ed all’accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, con condanna della società alla riammissione in servizio di essa lavoratrice ed al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto fino alla effettiva ricostituzione dello stesso;

che la Corte territoriale rilevava che la clausola appositiva del termine era sufficientemente specifica e che la società aveva provato la sussistenza in concreto, cioè con riferimento all’ufficio postale di (OMISSIS) cui era stato destinato il lavoratore, delle esigenze indicate in contratto.

che di tale sentenza chiede la cassazione il D.L., affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste con controricorso la s.p.a. Poste Italiane, che propone ricorso incidentale condizionato;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2.1. che, con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e della Direttiva Comunitaria n. 70/99 in relazione agli artt. 1362 c.c. (nullità del contratto), dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto sufficientemente specifica la clausola appositiva del termine;

2.2. che, con il secondo motivo, viene denunciata violazione di plurime disposizioni di legge (art. 2699 c.c. artt. 115 e 118 c.p.c., artt. 2727 e segg., in relazione agli artt. 2697 c.c. e segg. ed al D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2, in quanto il giudice del gravame avrebbe ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sulla società sulla scorta delle deposizioni dei testi escussi del tutto incoerenti e contraddittorie – e di documentazione del tutto inidonea perchè proveniente dalla parte;

2.3. che, con il terzo mezzo, viene dedotta violazione dell’art. 2110 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2, sul rilievo che era stata dedotta la mancata sostituzione di lavoratore assente essendo stata occupata una posizione lavorativa vacante con adibizione nell’ambito dell’ufficio ai più disparati compiti (copertura del posto di “scorta” e copertura delle “areole” che di volta in volta si rendevano vacanti) e che non era stata provata la sussistenza del nesso causale tra l’assenza di un lavoratore in organico e l’assunzione di altro lavoratore a termine per la relativa sostituzione. Si assume che la causa del termine non possa essere astratta ossia connessa all’eventualità del verificarsi di un’assenza, dovendo, al contrario, la stessa essere concreta e riferibile ad una situazione che si verificherà con certezza, con indicazione del nominativo del lavoratore sostituito e necessità di prova dell’assenza di carenze di organico;

2.4. che, con il quarto motivo, si lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte di appello erroneamente sostenuto che era stata confermata la ricorrenza delle esigenze sostitutive indicate in contratto dai testi escussi e dalla documentazione prodotta;

2.5. che, con il quinto motivo, si denunzia error in procedendo in relazione all’art. 132 ed all’art. 118 disp. att. c.p.c., per mancanza dei requisiti previsti dalle indicate norme con riguardo alla mancata esplicitazione di un percorso logico argomentativo che desse contezza della valutazione che aveva condotto al rigetto dei rilievi del ricorrente;

3. che il ricorso è qualificabile come inammissibile alla luce della recente pronunzia di questa Corte in relazione alla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c. (Cass. s. u. 7155/2017);

3.1. che, quanto al primo ed al terzo motivo – da trattarsi congiuntamente in quanto connessi – deve premettersi che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa e che il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli “a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza”, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione e di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato;

che, per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando “tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti” (art. 2), e che il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede, al comma 1, che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e, al comma 2, che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 7”; che è stata altresì disposta, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, L. n. 79 del 1983, art. 8 bis e della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1) e che il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate;

che, con riguardo ad ipotesi quali quella oggetto della presente controversia, questa Corte ha più volte affermato il principio, che va qui ribadito (v. in particolare, fra le altre, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576), secondo cui “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori – da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”;

che è’ stato anche precisato che tale principio non si pone in senso contrario Corte cost. n. 214/09 laddove, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 e art. 11, afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2, impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, atteso che, come questa S.C. ha già chiarito nelle proprie precedenti sentenze, il passo della sentenza della Corte Cost. sopra citato deve essere letto nel relativo contesto argomentativo, che individua la ratio legis proprio nell’esigenza di assicurare trasparenza e veridicità della causa che si pone a monte dell’apposizione del termine e la sua immodificabilità nel corso del rapporto;

che ne discende che, nell’ampia casistica offerta dall’esperienza concreta, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori deve passare necessariamente attraverso la specificazione dei motivi, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma. In questi termini, le due opzioni interpretative (quella della cit. sentenza n. 214/09 della Corte cost. e quella accolta nella summenzionata giurisprudenza di questa S.C.) risultano coerenti (v. fra le altre, Cass. 17-1-2012 n. 565, Cass. 4-6-2012 n. 8966, Cass. 20-4-2012 n. 6216, Cass. 30-5-2012 n. 8647, Cass. 26-7-2012 n. 13239, Cass. 2-5-2011 n. 9602, Cass. 6-7-2011 n. 14868);

che, in base allo stesso principio, d’altro canto, Cass. 1577/2010 ha confermato la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto esistente il requisito della specificità con l’indicazione nell’atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine, dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire, e, quanto al riscontro fattuale del rispetto della ragione sostitutiva, ha ritenuto correttamente motivato, e come tale incensurabile, l’accertamento effettuato dal giudice di merito che, con riferimento all’ambito territoriale dell’ufficio interessato, aveva accertato il numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del contratto a termine, confrontandolo con il numero delle giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, etc. del personale a tempo indeterminato, pervenendo alla valutazione di congruità del numero dei contratti stipulati per esigenze sostitutive (v. Cass. 15-12-2011 n. 27052, Cass. 16-12-2012 n. 27217);

che in tale quadro, caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità della apposizione del termine è sufficiente quindi l’accertamento della congruità del rapporto tra le assenze del personale stabile e il numero dei contratti a termine conclusi per tale esigenza, in un determinato periodo, non essendo, peraltro, affatto necessario un carattere di temporaneità ex se dell’esigenza stessa e neppure un carattere di straordinarietà ovvero un superamento di un (non meglio identificato) tasso fisiologico di assenteismo (v. fra le altre Cass. 14-2-2013 n. 6979);

che nel caso in esame la Corte di merito ha correttamente applicato i sopra enunciati principi tenendo conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma riferite alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato giustamente considerando specifica una clausola in cui venivano indicate le mansioni (servizio di recapito) cui era destinato il lavoratore assunto a termine, l’ufficio di applicazione ((OMISSIS)) ed il fatto che andava a sostituire lavoratori aventi diritto alla conservazione del posto;

3.2. che, con riferimento al secondo motivo, si osserva che nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo, le censure prospettate si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti. Orbene, va qui ribadito il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 7/08/2003).

3.3. che, con riguardo al quarto motivo, è sufficiente ricordare che, con riferimento al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5 – come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012 n. 134, con riguardo all’interpretazione fornitane da Cass., S.U., n. 8053 del 7 aprile 2014, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c. e che, a seguito della riforma del 2012, scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta), potendo poi il vizio attenere solo alla questio facci (in ordine alle questio juris non è configurabile un vizio di motivazione) e dovendo lo stesso essere testuale, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, consistere in un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e rivestire carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, al contrario il motivo all’esame finisce con il lamentare non l’omessa valutazione di un fatto storico, nella accezione sopra indicata, bensì di risultanze istruttorie (la prova testimoniale e la documentazione prodotta dalla società) che finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia inammissibile in questa sede per le ragioni già sopra esposte;

3.4. che, con riferimento al quinto motivo, si osserva che, perchè la violazione invocata sussista si deve essere in presenza di un vizio così radicale da comportare la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, anche nel caso in cui la stessa formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e che nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame, atteso che, al di là di ogni valutazione sulla conformità ai principi applicabili in materia, la valutazione delle circostanze processuali effettuata è idonea a dare contezza dell’iter logico argomentativo seguito dalla Corte del merito nel pervenire alla soluzione adottata;

che, infatti, la dedotta contraddittorietà ed apparenza della motivazione non trova riscontro negli atti, sicchè il vizio denunziato deve ritenersi insussistente;

4. che, nella specie, il decisum della Corte territoriale è coerente con i principi giurisprudenziali richiamati e che non giova il richiamo a Cass. 27201/2016, quale precedente utilmente richiamabile perchè attinente a fattispecie asseritamente sovrapponibile, per essere l’ipotesi ivi considerata diversa da quella qui esaminata (addetti all’attività di trasporto e generico rinvio nella causale del contratto a tale figura professionale), con ciò dovendo ritenersi ogni altro rilievo formulato in memoria (anche quello relativo alla erronea valutazione della prova documentale, in assenza di valida tempestiva contestazione delle precise allegazioni difensive della resistente attinenti alla concreta sussistenza delle dedotte esigenze sostitutive) inidoneo a scalfire le conclusioni di segno sfavorevole al ricorrente;

5. che, pertanto, il ricorso principale, va dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 360 bis, c.p.c.;

6. che a tanto consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

7. che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente principale e si liquidano come da dispositivo;

che sussistono, per il ricorrente principale, le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generai in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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