Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1245 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2019, (ud. 10/10/2018, dep. 17/01/2019), n.1245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29827-2017 proposto da:

D.D.L.G., V.S., V.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, via VAL D’OSSOLA 25, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELE LEONTI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ALFIO FRANCO AMATO;

– ricorrenti –

contro

P.B.D.D. e avv. P.S.

rappresentati e difesi da quest’ultimo ed elettivamente domiciliati

in Roma via Giuseppe Pisanelli 2 presso l’avv. Francesca Romana

Fuselli;

– controricorrenti –

e

VI.GI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2007/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’Appello di Catania, con sentenza 3.11.2017, ha rigettato l’appello proposto da Pi.Fl., V.S., V.A. e D.D.L.G. contro la decisione di primo grado (Tribunale di Catania n. 2305/2014) che, nel giudizio contro di essi promosso da P.B.D.D. e P.S., aveva dichiarato la natura comune del sottotetto sito nell’edificio di (OMISSIS) in San Giovanni La Punta.

Per giungere a tale conclusione la Corte di merito ha accertato, sulla scorta dei rilievi peritali, che il sottotetto in questione era oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio nell’interesse comune e quindi, nel silenzio del titolo, secondo la giurisprudenza di legittimità, doveva operare la presunzione di condominialità, come correttamente affermato dal primo giudice, rivelandosi quindi errata la tesi degli appellanti che, dal silenzio del titolo facevano discendere la riserva di proprietà esclusiva dei costruttori.

2 Contro tale decisione ricorrono per cassazione i V., anche quali eredi della Pe., frattanto deceduta.

Resistono con controricorso i P., mentre Vi.Gi. (litisconsorte necessario, già contumace in appello), non ha svolto difese neppure in questa sede.

Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., e omessa o quanto meno insufficiente e per certi versi contraddittoria motivazione circa un punto deciso della controversia”: i ricorrenti ritengono del tutto insufficiente la motivazione a supporto della decisione e negano che nel caso di specie il sottotetto possegga le caratteristiche richieste dall’art. 1117, per poter essere definito comune, non essendo stata fornita nessuna prova al riguardo. Richiamano le risultanze di una consulenza tecnica svoltasi in altro procedimento ove era stata evidenziata la pericolosità della collocazione di vasche nel sottotetto sia per il sovraccarico delle strutture che per ragioni legate alla legislazione antisismica.

Il ricorso è inammissibile per due ordini di ragioni.

Innanzitutto, perchè, per come si dirà a breve, non offre alcun elemento per modificare il costante orientamento di questa Corte, rettamente applicato dal giudice di appello.” (v. su tale formula decisoria, Sez. U -, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017 Rv. 643549).

Infatti, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, in tema di condominio, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicchè, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., comma 1; viceversa, allorchè il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (v. tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 6143 del 30/03/2016 Rv. 639396; Sez. 2, Sentenza n. 2571 del 2016 non massimata; v. altresì Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17249 del 12/08/2011 Rv. 619027; Sez. 2, Sentenza n. 18091 del 19/12/2002 Rv. 559309; Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002 Rv. 555189).

E’ stato altresì affermato in giurisprudenza che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 – Ordinanza n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione).

Ebbene, nel caso in esame il giudice di merito, partendo proprio dai principi dettati per l’individuazione della natura del sottotetto, ha accertato, sulla scorta dei rilievi svolti dal consulente, con apprezzamento in fatto certamente qui non sindacabile che il locale in questione non assolve certo all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità gli appartamenti dell’ultimo piano, ma è in teoria utilizzabile come vano autonomo (mq 280) cui si accede dalle scale condominiali, seppur non a destinazione abitativa data l’altezza, precisando che le vasche di raccolta idrica con relativo motorino rinvenute in sede di sopralluogo dal CTU, a prescindere dalla loro successiva rimozione, rivelavano una oggettiva destinazione (anche solo potenziale) all’uso comune o all’esercizio di interesse comune, salvo a dimensionare la capacità di carico che può sopportare in concreto, che però non esclude a priori qualsiasi potenzialità di utilizzazione a fini comuni (v. sentenza impugnata pag. 3).

Altra ragione di inammissibilità del ricorso discende dal fatto che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non consente più di censurare i vizi di insufficiente o contraddittoria motivazione ed al riguardo si rimanda alla sentenza delle Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 n. 8053 ove si è ben chiarita la portata dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, evidenziandosi i ristrettissimi limiti di operatività del sindacato sulla motivazione, certamente qui non ricorrenti perchè non si discute certamente nè di omesso esame di fatto storico decisivo nè di motivazione al di sotto del cd minimo costituzionale.

Il ricorso, in definitiva, lamenta – senza porre alcun problema interpretativo della fattispecie astratta – unicamente un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, risolvendosi in una critica tipicamente fattuale finalizzata (peraltro attraverso il richiamo a vicende rilevanti solo sotto il profilo della sicurezza, ma non ai fini che qui interessano) a sollecitare una alternativa ricostruzione della natura giuridica del sottotetto questione che però, come si è visto, il giudice di appello ha valutato in maniera adeguata e giuridicamente corretta.

L’inammissibilità del ricorso comporta inevitabile addebito di spese alla parte soccombente.

Considerato infine che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (disposizione per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-L. di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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