Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12446 del 16/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12446 Anno 2015
Presidente:
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA

sentenza con
motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:
RAFFAELE Antonino (RFF NNN 67T31 G699G), rappresentato e
difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Pietro L. Frisani, presso lo studio del
quale in Roma, Piazza del Popolo n. 18, è elettivamente
domiciliato;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi 12, è domiciliato per legge;
– resistente –

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Data pubblicazione: 16/06/2015

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di
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Reggio Calabria nY 391/2013, depositato il 10 maggio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17 dicembre 2014 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 6 settembre
2012 presso la Corte d’appello di Reggio Calabria,
Raffaele Antonino chiedeva la condanna del Ministero della
giustizia all’equa riparazione per la eccessiva durata di
un processo penale al quale egli era stato sottoposto,
iscritto al RGNR nel 1997 e definito con sentenza della
Corte di cassazione depositata il 21 agosto 2012;
che la Corte d’appello, rilevato che il procedimento
poteva considerarsi iniziato per il ricorrente prima
dell’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti per
effetto dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia in
carcere avvenuta il 31 marzo 2000, riteneva che il
procedimento penale, in considerazione della sua
eccezionale complessità, dovesse avere una durata
ragionevole di cinque anni e sei mesi, ivi comprese anche
le indagini preliminari e l’udienza preliminare, mentre
non vi erano ragioni per discostarsi dagli ordinari
criteri di determinazione della durata ragionevole per il
giudizio di appello e per quello di cassazione;

Stefano Petitti.

che, quindi, accertata una durata irragionevole di tre
anni, nove mesi e quattro giorni, la Corte d’appello
liquidava un indennizzo di 3.761,00, oltre agli interessi
legali dalla domanda al saldo, applicando il criterio di

compensava per metà le spese del procedimento, in
considerazione del sensibile ridimensionamento della
pretesa;
che per la cassazione di questo decreto Raffaele
Antonino ha proposto ricorso sulla base di due motivi;
che il Ministero della giustizia non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai
fini della eventuale partecipazione all’udienza di
discussione.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo il ricorrente deduce
violazione dell’art. 2, comma 3, della legge n. 89 del
2001, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia
ritenuto di potersi discostare in misura rilevante dagli
standard di durata ragionevole del giudizio di primo grado
adducendo elementi di fatto che in realtà erano riferibili
proprio alla organizzazione giudiziaria (dalle questioni

liquidazione di 1.000,00 euro per anno di ritardo, e

di connessione alle difficoltà di composizione del
collegio, alle istanze di rimessione);
che quindi, prosegue il ricorrente, essendosi il
giudizio protratto dal 31 marzo 2000 al 4 luglio 2012, la

sei anni e due mesi;
che con il secondo motivo il ricorrente, denunciando
violazione dell’art. 2, comma 3, della legge n. 89 del
2001 e dell’art. 6, par. l, della CEDU, censura il
provvedimento impugnato per avere adottato un criterio di
liquidazione inadeguato in considerazione della
specificità dl caso, delle imputazioni ascritte, poi
escluse all’esito del giudizio irragionevolmente
protrattosi, e delle misure cautelari alle quali egli era
stato sottoposto;
che il primo motivo di ricorso è infondato;
che questa Corte ha affermato il principio, condiviso
dal Collegio, per cui «in tema di diritto all’equa
riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, per la
valutazione della ragionevole durata del processo deve
tenersi conto dei criteri cronologici elaborati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art.
6, par. l, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, richiamato dalla norma interna, deve

-4-

durata irragionevole avrebbe dovuto essere determinata in

riconoscersi soltanto il valore di precedente, non
sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi
che ne prevedano la diretta vincolatività per il giudice
italiano. Anche in tale prospettiva, l’accertamento della

riparazione ovvero, la complessità del caso, il
comportamento delle parti e la condotta dell’autorità così come la misura del segmento, all’interno del
complessivo arco temporale del processo, riferibile
all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve
essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa
durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto,
appartiene alla sovranità del giudice di merito e può
essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi
attinenti alla motivazione» (Cass. n. 24399 del 2009);
che la Corte d’appello ha dato ampiamente conto (vedi
pagg. 6 e 7 del decreto impugnato) delle ragioni per le
quali ha ritenuto di particolare complessità il giudizio
di primo grado (l’unico rispetto al quale vengono proposte
censure, anche perché per i successivi gradi di giudizio
la Corte territoriale ha applicato i criteri ordinari di
due anni per l’appello e di un anno per il giudizio di
cassazione), comprendendo in tale fase processuale sia
quella delle indagini preliminari, che quella della

sussistenza dei presupposti della domanda di equa

udienza preliminare, che, infine, il dibattimento vero e
proprio;
che, d’altra parte, posto che il provvedimento
impugnato è stato depositato il l ° luglio 2013, ed è

360, n. 5, cod. proc. civ., deve rilevarsi che, in
relazione a tale disposizione, le Sezioni Unite di questa
Corte hanno affermato il principio per cui il nuovo testo
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
introdotto dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere
interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 delle preleggi, come «riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia
si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque

-6-

quindi soggetto all’applicazione del nuovo testo dell’art.

rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione»(Cass., S.U., n. 8053 del 2014); e, nella
specie, la motivazione del decreto impugnato non può, sul
punto, essere considerata apparente;

che, infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che
la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha adeguatamente
illustrato le ragioni in base alle quali ha proceduto alla
individuazione del parametro di liquidazione in 1.000,00
euro per anno di ritardo, espressamente escludendo di

-7-

che anche il secondo motivo è infondato;

applicare la riduzione per i primi tre anni in
considerazione della natura del giudizio presupposto,
della gravità delle imputazioni elevate a carico del
ricorrente e del maggior grado di sofferenza causato

detentivo;
che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
che, non avendo l’amministrazione intimata svolto
attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle
spese del giudizio di cassazione;
che, risultando dagli atti del giudizio che il
procedimento in esame è considerato esente dal pagamento
del contributo unificato, non si deve far luogo alla
dichiarazione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del
testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, introdotto dall’art. l, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.
PER QUESTI

moTrvI

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

dall’aver affrontato la prima parte del processo in stato

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