Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12444 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1071/2014 proposto da:

I.N.P.G.I. ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI

“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO

69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO;

– ricorrente principale –

contro

PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

e contro

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 388,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MARIA PAPPALARDO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA TORNAMBE’, SALVATORE

VINCENZO GRECO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

CASAGIT CASSA AUTONOMA ASSISTENZA INTEGRATIVA GIORNALISTI ITALIANI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1581/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/07/2013 R.G.N. 2386/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato BRUNO DEL VECCHIO;

udito l’Avvocato PATRIZIA TORNAMBE’;

udito l’Avvocato SALVATORE VINCENZO GRECO;

udito l’Avvocato ALFONSO PELUSO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.M., dipendente della Regione Sicilia, ha agito nei confronti della medesima esponendo di essere iscritto, dal maggio 2003, all’albo dei giornalisti e di avere svolto, dal luglio 2001, attività informative presso il Dipartimento della Programmazione Regionale e poi, a partire dal 2002, per il Programma Operativo Regionale (POR), di cui, dal 2004, aveva operato come capo ufficio stampa e, dal 2005, anche quale direttore responsabile del relativo periodico mensile.

Egli ha quindi chiesto, con ricorso dell’agosto 2006, l’accertamento del diritto ad essere reinquadrato quale coordinatore Ufficio Stampa del predetto Dipartimento, con qualifica di redattore capo ed applicazione del c.c.n.l. dei giornalisti o, in subordine, l’accertamento del diritto alla novazione del proprio inquadramento con nomina a giornalista dell’Ufficio Stampa della Presidenza della Regione, sempre nella qualifica di redattore capo, il tutto con condanna della controparte al pagamento delle connesse differenze retributive e previdenziali, oltre al risarcimento del danno per i comportamenti tenuti dall’Amministrazione.

Nel giudizio, instaurato nei riguardi anche della Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani (Casagit) e dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), si costituiva quest’ultimo Istituto, formulando domanda nei confronti della Regione per il pagamento in proprio favore dei contributi obbligatori.

2. La Corte d’Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato tali domande.

La Corte territoriale riteneva infondato l’assunto secondo cui la declaratoria di illegittimità costituzionale della L.R. n. 2 del 2002, art. 127, comma 2 (norma in forza della quale, in sede di prima applicazione delle nuove regole, ai giornalisti componenti degli uffici stampa presso gli enti locali era da applicarsi il trattamento di redattore capo, in applicazione del c.c.n.l. giornalistico, poi dichiarata illegittimo da Corte Cost. 189/2007 per contrasto con la L. n. 150 del 2000, che prevedeva la regolamentazione dei rapporti di lavoro presso gli uffici stampa della P.A. sulla base di specifica contrattazione collettiva di diritto pubblico) sarebbe stata da riferire soltanto agli “enti locali” e non alla Regione e ciò sul presupposto che la legislazione fosse stata valutata dalla Corte con riferimento alla potestà normativa di cui all’art. 14, lett. “o” dello Statuto Regionale (inerente gli enti locali) e non quella di cui alla lett. “q” (inerente l’ordinamento del personale della Regione).

Secondo la Corte d’Appello nulla avrebbe potuto far ritenere che la declaratoria di illegittimità costituzionale non riguardasse la normativa anche in quanto applicabile alla Regione, stante il fatto che la norma espunta dall’ordinamento, facendo riferimento agli enti di cui alla L.R. n. 10 del 1991, art. 1, ricomprendeva al proprio interno anch’essa.

La Corte riteneva altresì infondato l’assunto secondo cui ai giornalisti avrebbe comunque dovuto applicarsi la contrattazione collettiva regionale di cui alla L.R. n. 2 del 2002, art. 127, comma 1, destinata a regolamentare i profili e gli inquadramenti contrattuali presso gli enti controllati dalla Regione, in quanto la declaratoria di illegittimità del comma 2 avrebbe trascinato con sè anche la contrattazione collettiva stipulata ai sensi del comma 1.

Inoltre, la Corte affermava che il ricorrente sarebbe stato onerato della prova di un suo “organico inserimento quale componente di un ufficio stampa già esistente e costituito presso l’amministrazione regionale”: prova che a dire della Corte non sussisteva, non apparendo adeguata a tal fine la “durevole attività di giornalista curata nel tempo”, trattandosi di mansioni rispetto alle quali non era stato allegato “l’indefettibile parametro contrattuale” e che dovevano pertanto “intendersi adempiute nel contesto di una sorta di distacco funzionale” che non aveva “comportato alcuna variazione della posizione di ruolo e del profilo professionale di appartenenza”.

E’ stata poi respinta anche la domanda dell’INPGI di pagamento dei contributi affermando che, una volta disconosciuto il diritto del lavoratore all’inquadramento nella categoria professionale dei giornalisti, non potrebbe affermarsi il diritto dell’ente previdenziale alla riscossione di essi.

Infine, è stata ugualmente rigettata la domanda di risarcimento del danno, ritenendosi assente qualunque dolo o colpa in capo all’Amministrazione appellata.

3. L’I.N.P.G.I. ha proposto ricorso principale avverso la predetta sentenza con due motivi, cui, nel contesto di un controricorso sostanzialmente adesivo alle tesi dell’istituto di previdenza, si sono aggiunti motivi di ricorso incidentale del T..

La Regione Sicilia ha resistito con controricorso, mentre Casagit è rimasta intimata.

La causa è stata dapprima avviata a trattazione camerale, per la quale I.N.P.G.I. ed il T. hanno depositato memorie illustrative.

Alla luce del rilievo delle questioni dibattute, si disponeva la rimessione a pubblica udienza, in cui, udite le conclusioni del Pubblico Ministero, le parti costituite procedevano a discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’I.N.P.G.I. afferma, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 150 del 2000, art. 9, comma 5 e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

Sul presupposto che chi svolge attività giornalistica debba essere obbligatoriamente iscritto alla gestione sostitutiva da esso gestita, anche per l’ormai generalizzata previsione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 76, l’istituto di previdenza rimarcava come Corte Costituzionale 14 giugno 2007, n. 189 avesse dichiarato illegittime le norme della Regione Sicilia che avevano previsto l’applicazione ex lege di profili demandati dalla prevalente disciplina statale alla contrattazione collettiva, ma non aveva espunto dall’ordinamento la contrattazione collettiva, sicchè, in particolare, non poteva disattendersi il contratto collettivo regionale del 24 ottobre 2007, il quale prendeva le mosse proprio dalla L. n. 150 del 2000, ovverosia dalla normativa statale di riferimento per gli uffici stampa delle Pubbliche Amministrazioni.

Con il secondo motivo I.N.P.G.I. sostiene che vi sarebbe stata violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 1 del proprio Statuto, dell’art. 1 del proprio Regolamento di previdenza, della L. n. 67 del 1987, art. 26,L. n. 416 del 1981, art. 38, come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 76 e per la ricorrenza di tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, propri dell’iscrizione all’Istituto, i quali avrebbero rilievo indipendentemente dal contratto applicato e dall’inquadramento conferito dal datore di lavoro.

2. Il ricorso incidentale del T. assume la violazione e falsa applicazione e interpretazione dell’art. 14, lett. Q dello Statuto regionale siciliano, in combinato disposto con la L.R. Sicilia n. 10 del 2000, art. 1, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 2,L. n. 150 del 2000, art. 10, artt. 12 e 15 preleggi (primo motivo), nonchè infine della L.R. Sicilia n. 2 del 2002, art. 127, comma 2 e L.R. Sicilia n. 41 del 1985, art. 72, in combinato disposto con il Contratto Collettivo per l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali negli uffici stampa di cui alla L.R. Sicilia n. 33 del 1996, art. 58 ed ancora degli artt. 12 e 15 preleggi (secondo motivo), oltre all’omessa o errata valutazione di prove documentali e testimoniali prodotte ed escusse in giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione art. 115 c.p.c.).

Secondo il ricorrente incidentale (primo motivo) la L.R. n. 2 del 2002, art. 127, comma 2, resisterebbe, quanto al personale degli uffici stampa della Regione, alla declaratoria di illegittimità di cui a Corte Cost. 14 giugno 2007, n. 189, non a caso delimitata nella propria statuizione alla normativa nella parte inerente gli enti locali, categoria cui non apparteneva la Regione ed il tutto in coerenza con il fatto che il contrasto era stato rilevato rispetto a materie rientranti nella previsione dell’art. 14 lett. “o” dello Statuto (ordinamento enti locali) e non per quelle di cui all’art. 14 lett. “q” (organizzazione uffici dell’Amministrazione Regionale ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze della Regione e degli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza della stessa.

Inoltre (secondo motivo), il T. sottolinea come la menzionata contrattazione collettiva del 2007, dando attuazione alla normativa regionale che non era stata interessata dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, doveva essere ritenuta idonea a regolare la fattispecie.

Con il terzo e riconnesso motivo il ricorrente incidentale sostiene l’omessa ed errata valutazione di prove documentali e testimoniali prodotte ed escusse in giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione dell’art. 115 c.p.c., per non essersi correttamente valutata l’esistenza di un ufficio stampa del P.O.R. Sicilia, così come lo svolgimento da parte sua delle corrispondenti attività informative, oltre al provvedimento di sua nomina quale responsabile di Ufficio Stampa del predetto P.O.R. e di Direttore responsabile della corrispondente testata.

Con un ulteriore motivo (numerabile come quarto) il T. sostiene l’erroneità della sentenza impugnata anche nella parte in cui essa ha ritenuto insussistente la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione, la quale aveva a suo dire agito consapevolmente in palese violazione del dettato normativo, negandogli l’inquadramento economico e giuridico previsto dalla normativa di regolazione della fattispecie, determinando a suo carico pregiudizi, tra l’altro, anche sul piano esistenziale.

Infine, un ultimo motivo (quinto) rileva l’omessa pronuncia su di un motivo di appello consistente nella censura rispetto alla mancata pronuncia, in primo grado, sulla domanda, originariamente proposta in via subordinata, di accertamento del diritto alla novazione della propria posizione contrattuale con relativa nomina a giornalista di Ufficio Stampa della Regione, con qualifica di redattore capo ed applicazione sempre del c.c.n.l. dei giornalisti.

3. In sede di discussione, la Regione Sicilia ha eccepito l’inammissibilità del ricorso incidentale tardivo proposto dal T., sostenendo che non si potesse affermare che il suo interesse in proposito sorgesse dall’impugnazione principale dell’I.N.P.G.I..

L’eccezione, logicamente preliminare, è infondata.

3.1 Il ricorso I.N.P.G.I. ripropone in sede di legittimità un duplice fondamento della pretesa al pagamento in suo favore della contribuzione previdenziale.

Per un verso l’Istituto ritiene che tale diritto deriverebbe dalla necessità di applicare al lavoratore la contrattazione collettiva regionale del 2007, con cui si sarebbe attuato, nell’ordinamento speciale siciliano, la L. n. 150 del 2009, art. 5, comma 5 (primo motivo).

Per altro verso si afferma che, anche a prescindere dall’inquadramento e dalla contrattazione collettiva applicabile, il solo fatto dello svolgimento di attività giornalistica comporterebbe la sottoposizione al regime previdenziale I.N.P.G.I., anche se il rapporto di lavoro intercorra con una P.A. (secondo motivo).

3.2 Il ricorso incidentale del T. è invece finalizzato a rivendicare il diritto, disconosciuto dalla Corte di merito, all’inquadramento come coordinatore o in via subordinata quale giornalista dell’Ufficio Stampa della Regione Sicilia, con la qualifica di redattore-capo secondo il c.c.n.l. dei giornalisti e con corresponsione degli emolumenti consequenzialmente dovuti, secondo il medesimo C.C.N.L..

3.3 Ciò posto, si rileva che con l’originaria domanda il lavoratore ha chiesto anche la condanna della Regione al pagamento della contribuzione ad I.N.P.G.I. e Casagit.

Questa Corte ha in proposito recentemente affermato che “il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale, purchè entrambi siano stati convenuti in giudizio” atteso che la condanna a favore di terzo, in cui si risolve tale azione (qualora la legge non preveda diversamente, come non accade rispetto ai crediti previdenziali) postula la partecipazione al giudizio anche di tale terzo (Cass. 30 giugno 2019, n. 14853; Cass. 15 settembre 2014, n. 19398).

Tali pronunce sono state formulate sul piano della legittimazione passiva, ma evidenti ragioni di evitare la formazione di giudicati contrastanti tra le parti di tale unitario processo, in cui il regime del rapporto di lavoro si riflette inevitabilmente sul regime del rapporto previdenziale (per spunti in tal senso, pur nella diversità della materia, v. anche Cass. 12 aprile 2017, n. 9394) non consentono di ritenere ammissibile la definizione in senso diverso delle diverse posizioni giuridiche in tal modo connesse.

Anzi, in ambito di lavoro pubblico privatizzato, poichè la P.A. è vincolata a stringenti parametri di legalità nella propria azione, non si può neppure ipotizzare che la regolazione del rapporto di lavoro e del connesso rapporto previdenziale possano conoscere, nei tratti ad essi comuni, assetti tra loro differenziati per effetto di eventuali pronunce giudiziali tra loro non univoche.

Pertanto, quando vi sia domanda del lavoratore nei riguardi sia del datore, sia dell’ente di previdenza, per questioni attinenti al rapporto di lavoro destinate ad avere effetti sul rapporto previdenziale o comunque quando sia dibattuta in causa una qualificazione del rapporto di lavoro di cui si assuma la rilevanza anche ai fini dell’inquadramento previdenziale, una volta che il processo di primo grado si sia svolto nel contraddittorio sia del datore di lavoro, sia dell’ente di previdenza presso il quale si assuma debbano confluire i contributi, sorge quanto meno un litisconsorzio necessario c.d. processuale, che impedisce di considerare la causa scindibile nelle successive fasi di impugnazione.

Da ciò deriva l’applicazione dell’art. 334 c.p.c., che, rispetto alle parti che siano litisconsorti necessari ai sensi dell’art. 331 c.p.c., consente senza condizioni la proposizione di ricorso incidentale tardivo.

L’impugnazione di uno dei litisconsorti rimette infatti in discussione l’assetto sostanziale determinato dalla sentenza impugnata, fino alla definizione dell’impugnazione, verso tutte le parti, sicchè si giustifica, in linea con la previsione dell’art. 334 c.p.c., la possibilità, per le altre parti così evocate in giudizio, di aggiungere motivi ulteriori a quelli addotti da altro ricorrente. Anche perchè il giudicato, per legge unitario stante l’inscindibilità delle controversie, prevarrebbe comunque, anche rispetto alle parti originariamente non impugnanti, su ogni altra precedente statuizione ad esso contraria.

Questa Corte ha del resto già espresso il principio per cui “sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, il ricorso incidentale tardivo è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il litisconsorte abbia prestato acquiescenza; conseguentemente, nelle cause inscindibili esso è ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal litisconsorte”, al punto che “il gravame incidentale tardivo è ammissibile anche se proposto contro una parte diversa da quella che ha introdotto l’impugnazione principale e su un capo di sentenza diverso da quello oggetto di questa impugnazione” (Cass. 22 aprile 2011, n. 9308; Cass. 17 marzo 2009, n. 6444).

In definitiva, l’incertezza che rispetto all’assetto sostanziale deriva dall’impugnazione di uno dei litisconsorti e l’unitarietà del processo, oltre al tenore letterale dell’art. 334 c.p.c., non permettono di assumere un’interpretazione restrittiva.

I motivi proposti dal ricorrente principale e da quello incidentale sono dunque tutti ammissibili.

3.4 Va altresì fissato il seguente principio: “in tema di impiego pubblico privatizzato, le controversie sul rapporto di lavoro che coinvolgano questioni destinate ad avere effetto sull’inquadramento previdenziale individuano, qualora introdotte contestualmente nei riguardi del datore di lavoro e dell’ente di previdenza presso il quale si assume debbano avvenire i versamenti contributivi, una causa inscindibile in sede di impugnazione. Conseguentemente il lavoratore che riceva l’impugnazione proposta dall’ente di previdenza è legittimato a proporre impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell’art. 334 c.p.c., anche nei confronti di parte diversa dall’impugnante principale e quindi del datore di lavoro, con riferimento alle ragioni sostanziali comuni al rapporto di lavoro ed a quello previdenziale”.

4. La decisione sui motivi di ricorso (principale e incidentale), da sviluppare congiuntamente stante la stretta connessione esistente tra le diverse censure addotte, presuppone la ricostruzione del complesso sistema normativo entro cui la controversia si inserisce.

L’Ufficio Stampa è, per nozione di comune evidenza, destinato a fungere da tramite di notizie relative all’operare della P.A. e verso la generalità del pubblico.

Esso si pone dunque al centro di un delicato snodo ordinamentale, tra l’esigenza di attività informativa rispetto all’operare della P.A. e la garanzia di riservatezza che parimenti caratterizza l’attività interna, tale da impedire che la trasparenza sia ragione di indiscriminata divulgazione di qualsiasi possibile notizia del formarsi dell’azione amministrativa.

Trasparenza e riservatezza che, nel loro concorrere, sono entrambe espressione del principio di buon andamento, in un equilibrio che la legge, nazionale o regionale, è chiamata a comporre, in attuazione del principio di legalità che parimenti deriva dal comune formante costituzionale (art. 97 Cost.).

Il tema coinvolge due aspetti, concernenti, l’uno le modalità di inserimento dell’Ufficio Stampa nell’ambito dell’organizzazione amministrativa e l’altro, consequenziale e connesso, la natura dell’attività professionale svolta da chi sia addetto al medesimo.

5. Iniziando dai tratti organizzativi, è indubbio che ci si trovi di fronte ad un ufficio che, per quanto speciale, si inserisce nell’ambito dell’organizzazione della P.A., sia dal punto di vista strutturale, sia sotto il profilo gerarchico e ciò non solo sulla base della disciplina generale di cui alla L. n. 150 del 2000, ma anche secondo la previgente e meno articolata legislazione regionale siciliana.

5.1 Già la L.R. Sicilia n. 7 del 1971 (art. 82) nel prevedere la costituzione di “uffici stampa” ne demandava organizzazione e regolamentazione ad un’apposita successiva legge di “organizzazione e regolamentazione”.

La L.R. Sicilia n. 79 del 1976 (art. 10), istituendo l’Ufficio Stampa presso la Presidenza della Regione, ne aveva previsto le dimensioni (non oltre tre giornalisti professionisti) e scarne disposizioni strutturali (preposizione di un caposervizio che ne coordina l’attività: art. 11, comma 1), contrattuali (applicazione del c.c.n.l. di lavoro dei giornalisti: art. 11, comma 2) e previdenziali (applicazione della previdenza ed assistenza dei giornalisti), poi implementate con la espressa sottoposizione (L.R. n. 145 del 1980, art. 36) dell’Ufficio “alle dirette dipendenze” del Presidente della Regione.

La L.R. Sicilia n. 41 del 1985, art. 72, nell’incrementare dapprima a 4 il numero dei componenti dell’Ufficio Stampa regionale e nel confermare ad essi il trattamento economico del redattore capo, ha quindi previsto la possibilità di utilizzo dei componenti presso gli assessorati regionali.

La pur scarna disciplina regionale preesistente è dunque chiara nel prevedere la necessità di istituzione di un apposito Ufficio Stampa, costituito da giornalisti iscritti all’albo e con a capo un coordinatore.

Ma pur sempre un ufficio “alle dirette dipendenze del Presidente della Regione”, con relazione funzionale in cui si esprime, secondo linee poi riprese in via generale anche dalla L. n. 150 del 2000, il coordinamento tra notizie divulgabili e riservatezza di cui si è detto.

Ancor più a fondo le esigenze sopra menzionate trovano poi sviluppo nella sopravvenuta legislazione nazionale.

5.2 La L. n. 150 del 2000, art. 9, nell’introdurre una disciplina organica degli uffici stampa delle Pubbliche Amministrazioni prevede in particolare che:

– gli Uffici Stampa, come gli altri uffici di informazione e comunicazione, siano appositamente istituiti, quali “strutture” definite nell’ambito dell’ordinamento degli uffici e del personale (art. 6, comma 2, prima parte), con rinvio (art. 6, comma 1) al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 12 e, attraverso esso, all’art. 31 del medesimo D.Lgs. e quindi alla definizione di tale ufficio in pianta organica;

– i predetti uffici siano costituiti da personale necessariamente iscritto all’albo nazionale dei giornalisti (art. 9, comma 2, primo inciso);

– il personale addetto sia (art. 9 comma 2, in prosieguo) dipendente della P.A., anche in posizione di comando o fuori ruolo (con provenienza quindi da altra Amministrazione), come anche è ammesso il ricorso a personale estraneo sulla base di “incarichi individuali” ad “esperti di provata competenza” e con determinazione preventiva di “durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione” (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 7, comma 6, ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6);

– l’ufficio sia diretto da un coordinatore, con qualifica di capo ufficio stampa, il quale “sulla base delle direttive impartite dall’organo di vertice dell’amministrazione” cura i collegamenti con gli organi di informazione, assicurando “il maggior grado di trasparenza, chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire” (comma 3);

– il divieto per gli addetti all’ufficio di esercitare, per tutta la durata dell’incarico, attività professionali nel settore del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche, salvo deroghe previste dalla speciale contrattazione collettiva di cui infra (comma 4);

– i profili professionali degli addetti all’ufficio stampa sono affidati, per la loro “individuazione” e “regolamentazione” ad una “speciale area di contrattazione collettiva” da svolgere “con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti” (comma 5).

Il fulcro della normativa si incentra quindi nella previsione del collegamento con l’esterno come facente capo ad una specifica figura (il coordinatore o capo ufficio stampa), a sua volta vincolata all’osservanza delle direttive da impartirsi a cura del vertice stesso della P.A. interessata, profili attorno ai quali ruota appunto l’equilibrio fra trasparenza e riservatezza alla cui regolazione le norme sono destinate.

Ciò con un nesso gerarchico destinato inevitabilmente ad influire sull’intera caratterizzazione dell’ufficio e degli addetti ad esso.

Non a caso la L. n. 150 del 2000, rimanda ad un’apposita contrattazione collettiva la definizione di specifici profili professionali, destinati ad essere elaborati in coerenza con la tipologia di prestazioni e con l’inserimento di esse, nei termini sopra detti, all’interno di una Pubblica Amministrazione.

5.3 Riepilogando, dall’insieme delle discipline sopra esaminate si delineano alcune caratteristiche dell’ordinamento degli Uffici Stampa presso la P.A., consistenti: nel riferirsi di tale Ufficio ad una specifica articolazione organizzativa degli enti pubblici, da istituire espressamente e specificamente in pianta organica; nell’adibizione ai predetti Uffici, a soddisfazione dei posti in pianta organica così destinati, di personale con una pregressa professionalità (iscrizione all’albo dei giornalisti) al fine dello svolgimento di attività da riportare a profili professionali specifici, propri dell’attività richiesta ed ora da definirsi in sede di contrattazione collettiva secondo le regole del pubblico impiego privatizzato; nell’inserirsi dell’attività in una linea gerarchica interna agli enti, attraverso la mediazione di un coordinatore-capo ufficio stampa.

Il complesso coordinamento di interessi che, come si è detto, la legge è chiamata a realizzare, si attua dunque attraverso regole rigorose che identificano l’Ufficio Stampa come organizzazione a sè stante, da prevedere in pianta organica sulla base di atti c.d. di macroorganizzazione, in cui inserire personale munito di uno speciale inquadramento, con profili professionali parimenti speciali e non attraverso estemporanee o indiscriminate attribuzioni di funzioni informative, assunte in forza di provvedimenti singolari comunque denominati, ma appartenenti alla sfera della c.d. microorganizzazione interna di un qualsivoglia ufficio della P.A..

6. Ciò pone le basi per meglio apprezzare anche il tema della natura dell’attività professionale svolta in ambito di uffici stampa.

L’inserimento organico nell’ambito della P.A. e la espressa sottoposizione a direttive (propria dell’art. 9 cit., ma già anche della legislazione regionale, come si è visto) esprimono infatti caratteristiche autonome rispetto alla figura del giornalista di cui alla L. n. 69 del 1963, caratterizzata dal “diritto insopprimibile” ad una piena “libertà di informazione e di critica” (art. 2), che invece può soffrire limitazioni in ragione delle direttive, nell’interesse della riservatezza dell’Amministrazione, cui soggiace l’attività dell’Ufficio Stampa.

Non diversamente è improponibile l’applicazione all’addetto all’ufficio stampa pubblico, della disciplina in ordine all’obbligo di assicurare il “segreto professionale sulla fonte delle notizie” in ragione di un ipotetico “carattere fiduciario di esse”, per la semplice ragione che l’Ufficio Stampa non può operare ricercando notizie all’interno dell’Amministrazione che non sia legittimato a trattare sulla base delle direttive di cui sopra.

Così come è difficilmente declinabile per il giornalista pubblico l’obbligo di “promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti”, di cui all’art. 2 cit., u.p..

In sostanza mancano, nell’addetto all’ufficio stampa pubblico, quei tratti di spiccata autonomia (Cass. 16 gennaio 1993, n. 536) anche nell’acquisizione delle conoscenze (Cass. 1 febbraio 2016 n. 1853; Cass. 29 agosto 2011 n. 17723; Cass. 22 novembre 2010, n. 23625) e nel diritto di critica che caratterizzano la figura secondo la connotazione di essa elaborata in sede giurisprudenziale.

La figura professionale delineata, la cui migliore definizione, nel rispetto delle linee di fondo insite nella normativa primaria, è ora rimessa alla contrattazione collettiva dedicata ivi parimenti prevista, individua quindi una posizione di “addetto all’ufficio stampa pubblico”, rispetto alla quale la necessaria iscrizione all’albo esprime soltanto un requisito fondante di professionalità, ma non consente l’assimilazione alla figura tradizionale del giornalista.

7. Venendo, su tali premesse, ai tratti intertemporali, non può esservi dubbio che il personale già stabilmente incardinato presso gli Uffici Stampa al 30.6.2000, secondo le regole transitorie di cui alla L. n. 150 del 2000, art. 6, comma 2 e L.R. n. 2 del 2002, art. 127, comma 6, dovesse proseguire nell’attività, sulla base di disciplina economica (su cui v. anche il comma 5-bis, aggiunto dalla recentissima L. n. 160 del 2019, art. 9) e previdenziale del rapporto che non mette conto qui approfondire, perchè non oggetto di causa.

La L.R. n. 2 del 2002, art. 127, comma 6, ha previsto anche un percorso stabilizzante, prevedendo che “in sede di predisposizione degli appositi regolamenti, gli enti di cui alla L.R. 30 aprile 1991, n. 10, art. 1, confermano, in base alle disposizioni della L. 7 giugno 2000, n. 150, art. 6, comma 2, le funzioni di comunicazione e di informazione svolte dal personale a qualsiasi titolo alla data del 30 giugno 2000. Il predetto personale, di ruolo (o non di ruolo, inciso soppresso in esito ad impugnazione del Commissario del Governo, n.d.r.), frequenta appositi corsi di qualificazione per la definitiva stabilizzazione della funzione ricoperta”.

La norma regionale, nel testo quale definitivamente promulgato in esito all’impugnativa del Commissario e dunque vigente senza l’inciso sopra detto (Corte Costituzionale 1 febbraio 1983, n. 13), va dunque intesa nel senso che il personale di ruolo della P.A., pur all’epoca non inquadrato nell’Ufficio Stampa, ma addetto a funzioni informative, avrebbe potuto essere stabilizzato in quest’ultima funzione, previo svolgimento di “appositi” corsi.

Pertanto, l’effetto di tali disposizioni è quello di assicurare interinalmente la prosecuzione delle mansioni in atto, mentre in quegli enti siciliani presso i quali già esistevano Uffici Stampa con personale di ruolo ad essi specificamente destinato, l’inserimento di altri addetti in quei ruoli, numericamente definiti (v. la L.R. n. 41 del 1985 cit., art. 72, con unità progressivamente portate da 4 a 8 e infine a 24), necessitava del menzionato o di eventuale altro percorso stabilizzante.

In sostanza, nulla autorizza a ritenere che lo svolgimento di fatto di mansioni informative a cavallo o dopo il 30.6.2000 giustifichi l’inquadramento di diritto degli interessati presso gli Uffici Stampa.

Il ragionamento vale anche rispetto al T., per il quale viene in evidenza un tratto particolare, consistente nell’essere stato egli incaricato dell’attività informativa propria del Programma Operativo Regionale (P.O.R.) espressamente prevista dal Regolamento CE 1159/2000.

Non vi è dubbio che tale attività informativa, destinata ad individuare anche specifiche posizioni di responsabilità (punto 3.1.3 dell’allegato al Regolamento) possa essere svolta attraverso personale addetto all’Ufficio Stampa della Regione, quale sopra tipicamente delineato, anche per coerenza con l’attività richiesta dalla normativa Eurounitaria (informative al pubblico, pubblicità etc.) ed anzi deve ritenersi che tale dovrebbe essere la regola.

Tuttavia, l’attribuzione di fatto di quelle specifiche mansioni e compiti non ha incidenza rispetto all’assetto delle regole che disciplinano l’inquadramento formale presso i ruoli degli Uffici Stampa, nei termini sopra delineati.

Nè si pongono, in questa causa, questioni di esercizio di mansioni superiori o di parità di trattamento, che sollecitano questioni diverse, anche di prevalenza (Cass. 22 novembre 2019, n. 30580) o di raffronto quali-quantitativo, sulla base dell’intera attività svolta dal singolo interessato, che sono dunque del tutto estranee alla presente controversia.

7.1 Le norme relative agli Uffici Stampa della Regione (ovverosia citate L.R. n. 7 del 1971, art. 82,L.R. n. 79 del 1976, artt. 10 e 11, L.R. n. 145 del 1980, art. 36 e L.R. n. 41 del 1985, art. 72) sono state infine esplicitamente abrogate nella loro interezza dalla L.R. n. 16 del 2017, art. 12, il quale ha anche previsto una corsia preferenziale per la stabilizzazione, in misura del 50% dei posti, a favore di quei soggetti, in possesso dei richiesti requisiti, che abbiano prestato servizio all’Ufficio di cui al presente articolo per almeno tre anni, anche non continuativi, negli ultimi otto a far data dall’entrata in vigore della presente legge.

Ma tale ultima possibilità, derivando da ius superveniens rispetto alla pronuncia impugnata e non retroattivo, oltre che attraverso l’introduzione di una fattispecie stabilizzante del tutto autonoma, non rientra nell’ambito del presente giudizio (v. anche Cass., S.U., 27 ottobre 2016, n. 21691).

8. Su tali premesse possono quindi affrontarsi le ulteriori questioni oggetto di causa.

8.1 Rispetto al versante lavoristico, la Corte territoriale ha svolto un duplice accertamento in fatto, consistente nella rilevazione dell’assenza di prova rispetto all’inserimento del ricorrente in un “ufficio stampa” preesistente, riconoscendo poi lo svolgimento di durevole attività giornalistica e concludendo però che, in assenza di elementi che imponessero di argomentare diversamente, le predette prestazioni dovessero intendersi svolte “in una sorta di distacco funzionale, che non ha comportato alcuna variazione della posizione di ruolo e del profilo professionale di appartenenza”.

Vale a dire, alla luce di quanto sopra detto, che il lavoratore, pur adibito a svolgere attività informativa propria dell’Ufficio Stampa era da ritenere a ciò meramente distaccato (ovverosia addetto in una forma non definitiva destinazione, provenendo da altro settore della stessa P.A.), mantenendo nel frattempo il regime giuridico ed i trattamenti propri del persistente inquadramento formale.

Del resto, la stessa domanda del lavoratore di ottenere il “reinquadramento” o la “novazione dell’inquadramento” con nomina quale componente di esso, attesta che, al di là dell’attività di fatto svolta, quel particolare inquadramento in pianta organica non vi era stato formalmente mai stato.

Si è però visto che anche lo svolgimento di attività di tipo informativo, alla data del 30.6.2000 o successivamente, non determina di per sè il sorgere del diritto all’inquadramento in quei ruoli, come sostanzialmente ritenuto dalla Corte territoriale, allorquando essa ha riportato l’attività svolta ad un mero “distacco funzionale”, ovverosia allo svolgimento di mansioni proprie dell’Ufficio Stampa, pur senza un formale inquadramento all’interno di esso.

Ne consegue altresì l’irrilevanza delle questioni sollecitate rispetto alla contrattazione collettiva regionale del 2007 ed alla propugnata applicabilità della L.R. Sicilia n. 2 del 2002, art. 127, comma 1 o 2, non influenti rispetto al ricorrente perchè formalmente inquadrato in ruoli diversi da quelli propri dell’Ufficio Stampa.

Così come ininfluente è l’asserita omessa pronuncia (quinto motivo) sulla domanda subordinata di “novazione” dell’inquadramento (presso l’Ufficio Stampa della Presidenza Regione), rispetto a quella principale di “reinquadramento” (come coordinatore di un Ufficio Stampa del Dipartimento della programmazione): l’Ufficio Stampa della Presidenza della Regione Sicilia è quello delineato dalla legislazione regionale di riferimento e l’appartenenza ad esso è regolata dalla rigorosa disciplina di cui si è detto. Nessun rilievo può attribuirsi ad articolazioni o incarichi amministrativi diversamente conferiti, seppur riguardanti attività informative e tanto meno un pubblico dipendente può ottenere, sulla sola base di tali incarichi, il riconoscimento del diritto (ferma l’estraneità alla presente causa di questioni sullo svolgimento di fatto mansioni che impongano – in via di mera ipotesi – il riconoscimento pro tempore di trattamenti economici migliori di quello in atto) all’applicazione di un contratto collettivo privatistico o all’inserimento nei ruoli dell’Ufficio Stampa al di fuori delle forme e procedimenti sopra delineati.

Infine, ancora estraneo alla presente causa è il richiamo, di cui al terzo motivo, alla disciplina della L.R. n. 33 del 1996, art. 58, ed all’adeguamento delle piante organiche in esso previsto con le modifiche apportate dalla L.R. n. 17 del 2004, trattandosi di norma che ha riguardo ad enti (Comune, Province, Amministrazioni sottoposte a vigilanza della Regione) diversi dalla Regione in sè considerata.

8.2 Quanto ai profili previdenziali, si è già detto come le professionalità interessate dalla disciplina della L. n. 150 del 2000, art. 9 e più in particolare dalla partecipazione ad Uffici Stampa delle Pubbliche Amministrazioni abbiano una loro autonomia rispetto alla nozione di giornalista su cui si muovono le norme di disciplina della relativa specifica professione e del conseguente regime contributivo.

Ne deriva che il mero svolgimento di fatto, pur se protratto nel tempo, di quelle attività, non potrebbe comunque determinare, poichè la legge non lo prevede, il sorgere di un diritto all’inquadramento previdenziale dei lavoratori quali addetti di ruolo agli Uffici Stampa della Pubblica Amministrazione presso i quali pur il ricorrente possa avere lavorato.

Non diversamente, così come l’ipotesi del comando (o del fuori ruolo) da altra amministrazione (espressamente prevista dalla L. n. 150 del 2000, art. 9, comma 2) non potrebbe comportare alterazioni nel rapporto c.d. organico (da ultimo, Cass. 29 maggio 2018, n. 13482) e quindi nei profili previdenziali, neppure può essere l’esercizio di fatto di quelle attività, da parte di personale altrimenti inquadrato presso la P.A., a determinare (in via di mera ipotesi, non dovendosi qui stabilire quale sia il regime previdenziale del personale di ruolo degli Uffici Stampa) una diversa iscrizione previdenziale rispetto a quella ordinariamente propria dei dipendenti pubblici.

Pertanto, anche il ricorso dell’I.N.P.G.I. va disatteso.

9. E’ infine evidente che l’assenza di comportamenti illegittimi, quanto all’inquadramento strettamente inteso, da parte della Regione manda assorbito il motivo attinente al risarcimento del danno.

10. La notevole complessità giuridica ed il trattarsi di questioni sostanzialmente nuove in sede di legittimità giustifica l’integrale compensazione, tra tutte le parti, anche delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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