Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12443 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 08/06/2011), n.12443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui

Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono domiciliati,

– ricorrenti –

contro

C.M.T. e P.O., in proprio e quali soci

della s. di f. Colosio Maria Teresa e Paderni Osvaldo;

– intimati –

AVVERSO la sentenza n. 71/30/2005 della Commissione Tributaria

Regionale di Firenze – Sezione n. 30, in data 28/07/2005, depositata

il 27 ottobre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 30

marzo 2011 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Sentito l’Avv. Diana Ranucci, dell’Avvocatura Generale dello Stato,

per i ricorrenti;

Presente il P.M. dott. BASILE Tommaso che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I contribuenti in epigrafe indicati impugnavano in sede giurisdizionale gli avvisi di accertamento, relativi ad IVA, IRPEF ed ILOR, per gli anni dal 1991 al 1994, contestando l’esistenza, tra loro, di una società di fatto e la ricorrenza dei presupposti impositivi.

L’adita CTP di Firenze, previa riunione dei ricorsi, separatamente proposti, li accoglieva parzialmente, mentre i Giudici di secondo grado, con la decisione in questa sede impugnata, pronunciando sugli appelli proposti dai contribuenti e dall’Agenzia Entrate, rigettavano il secondo ed accoglievano il primo, annullando gli avvisi di accertamento.

In particolare, questi ultimi, affermavano che gli elementi in atti erano inidonei a supportare probatoriamente la pretesa fiscale.

Con ricorso notificato alla C. il 28.03.2006 ed al P. il 29.03.2006, il Ministero e l’Agenzia Entrate hanno chiesto l’annullamento della decisione impugnata. Gli intimati non hanno svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto non è stato parte nel giudizio di appello ed il ricorso risulta notificato il 28/29 marzo 2006, quindi, dopo la data dell’1 gennaio 2001, a decorrere dalla quale l’Agenzia delle Entrate è subentrata all’Amministrazione delle Finanze nei rapporti giuridici già facenti capo a quest’ultima. Nulla va disposto per le spese del giudizio, tra il Ministero e gli intimati, in assenza dei relativi presupposti.

La decisione di appello è pervenuta all’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati, ritenendo, per un verso, che fosse da escludere l’esistenza di una società tra i coniugi C. – P., e d’altronde, opinando che alle dichiarazioni rese da terzi alla Guardia di Finanza, non potesse riconoscersi alcuna valenza probatoria.

Il ricorso dell’Agenzia Entrate risulta affidato a cinque mezzi.

Con il primo motivo, l’impugnata decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e ss. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30 e ss., art. 112 c.p.c., ed omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Con il secondo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e ss., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e ss. art. 2697 e ss. c.c. ed omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Con il terzo mezzo, la sentenza viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 1, artt. 2247 e 2082 c.c., art. 2697 e ss. c.c. ed omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Con il quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, lett. b), art. 2082 e ss. c.c., art. 2697 e ss. c.c., art. 112 c.p.c., ed omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Con l’ultimo mezzo, si prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 3, lett. b) e art. 6, comma 3 TUIR, art. 112 c.p.c., ed omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che data la intima connessione si trattano congiuntamente, sono fondati.

Ritiene, infatti, il Collegio che la CTR, statuendo e motivando nei termini anzi riferiti, abbia fatto malgoverno del quadro normativo di riferimento e di principi, consolidati e condivisi.

E’ stato, infatti, affermato che “In tema di I.V.A., il rinvenimento di singoli dati ed elementi, risultanti dai conti bancari non transitati nelle scritture dell’imprenditore (e rilevati ai sensi della L. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63 costituisce il presupposto di una presunzione legale ( anche se relativa, in quanto è ammessa la prova del contrario da parte del contribuente) a favore del Fisco, utilizzabile ai fini della ricostruzione della base imponibile e la cui configurabilità non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa” (Cass. n. 9946/2000, n. 6232/2003, n. 4987/2003).

E’ stato, altresì, puntualizzato che “Il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che e1 necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da “terzi”, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportare da riscontri oggettivi” (Cass. n. 903/2002, n. 5957/2003, n. 14474/2000).

Si è, pure, precisato che “In tema di imposte sui redditi, ai fini della configurabilità di un reddito d’impresa non è necessario, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 1, che l’attività commerciale – rientrante tra quelle indicate nell’art. 2195 cod. civ. – sia organizzata in forma di impresa, essendo espressamente esclusa dal legislatore, a tal fine, la rilevanza della natura dell’organizzazione, tanto con riferimento ad un soggetto individuale, quanto con riguardo ad un soggetto collettivo. Qualora, poi, l’amministrazione ipotizzi la costituzione di una società di fatto esercente attività commerciale, l’indagine sulla sussistenza dei presupposti per l’imposizione non va condotta con riguardo ai requisiti dell’abitualità”, sistematicità e continuità dell’attività, assunti dall’art. 2082 cod. civ. quali indici della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore individuale, ma con riferimento a quelli richiesti dall’art. 2247 c.c. (intenzionale esercizio in comune era i soci di un’attività commerciale a scopo ci lucro e conferimento a tal fine dei necessari beni o servizi), atteso che la disciplina tributaria (del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 3, lett. b, e art. 6, comma 3) non richiede, ai fini della tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilita nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche. (Cass. 15538/2002, n. 17013/2002).

L’impugnata decisione fa, evidente, malgoverno di tali principi, ove, fra l’altro, si consideri che entrambi gli odierni intimati, erano evasori totali, non avendo presentato le prescritte dichiarazioni, nè ai fini IVA e neppure ai fini delle II.DD., e che, quindi, i competenti Uffici, erano stati nella necessità di procedere alla determinazione del reddito induttivamente, tenendo conto, peraltro, dei dati emersi dai controlli dei conti bancari e degli elementi indiziari desunti dalle dichiarazioni rese da terzi. L’operato della CTR si rivela, altresì, erroneo, sia per non avere considerato che la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed il legittimo ricorso al metodo di accertamento induttivo, ponevano una presunzione legale a favore del Fisco, che era onere dei coniugi intimati contestare e vincere con idonee prove, sia pure per avere valutato singolarmente, e non – come era doveroso – nel loro complesso, gli elementi indiziari, così escludendone, irragionevolmente, l’eventuale portata probatoria.

Ancora, a dir poco, incomprensibile si rivela la mancata considerazione degli elementi ricavabili dagli accertamenti bancari, che, invece, era doverosa, stante la imponente rilevanza dell’attività svolta da entrambi gli intimati, sotto il profilo della durata, quantitativo, economico e giuridico e che lasciava presumere, fra l’altro, il rapporto societario, reso palese, nel caso, dalla ristretta base familiare e dal vincolo di solidarietà, conclamato da una gestione sociale, caratterizzata dall’insieme delle operazioni poste in essere, promiscuamente, da ambedue i coniugi. Il Collegio ritiene che le espressioni utilizzate per accogliere l’appello dei contribuenti e riformare la decisione di primo grado non assolva all’obbligo motivazionale, non risultando in linea con i richiamati principi, non dando contezza dell’iter decisionale seguito, sia pure per discostarsene, e d’altronde, omettendo di prendere in esame elementi, quali le risultanze dei conti bancari, movimentati e nella disponibilità di entrambi i coniugi, che erano di per sè rilevanti ai fini decisionali.

La motivazione si rivela, ancora più, carente ed incongrua, in quanto ha esaminato, separatamente ed autonomamente, gli elementi indiziar relativi alla movimentazione bancaria ed alle dichiarazioni resa dai terzi, utilizzando i primi solo al fine di escludere l’esistenza della contestata società di fatto, e le seconde per rilevarne l’inammissibilità nel processo tributario. Non hanno, fra l’altro, considerato i Giudici di appello che tutti gli elementi indiziar offerti dalla fattispecie (indagini bancarie, dichiarazioni dei terzi, movimentazioni plurimiliardarie numerose, ripetute e protratte per un considerevole periodo di tempo, operate, con pieni poteri decisori, da entrambi i coniugi, il vincolo derivante dal rapporto di coniugio), ove valutati, come doveroso, (Cass. n. 24589/2005) nel loro complesso, tenuto conto della articolata attività svolta dai coniugi, estrinsecatasi in mediazione immobiliare, compravendita di beni, concessione di prestiti, determinazione di interessi, riscossione di somme, rendevano plausibile sia l’esistenza della contestata società di fatto, sia pure l’accertamento operato dall’Ufficio, e comunque impegnavano fiscalmente i due coniugi, per tutte le operazioni poste in essere, a prescindere dalla configurabilità o meno, nel loro operato, di una attività di impresa.

In buona sostanza, anche alla stregua dei trascritti e richiamati principi, sussiste il denunciato difetto ai motivazione che, per l’appunto, è configurabile “quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998).

Le espressioni adoperate dalla C.T.R. non solo appaiono inadeguate sotto il profilo della coerenza giuridica e logico formale, rivelando un sintomo d’ingiustizia nella soluzione della questione di fatto, ma pure rivelano decisive pretermissioni di elementi, che ove esaminate e valutate, in coerenza ai criteri di legge, avrebbero, ragionevolmente, potuto indurre ad un diverso decisum.

Conclusivamente, vanno accolti, nei termini indicati, i primi tre mezzi del ricorso dell’Agenzia Entrate e dichiarati assorbiti il quarto ed il quinto.

Per l’effetto, – cassata l’impugnata sentenza, la causa va rinviata ad altra sezione della C.T.R. della Toscana la quale procederà al riesame e, adeguandosi ai richiamati principi, pronuncerà sul merito, ed anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, offrendo congrua motivazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR della Toscana.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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