Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12442 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14793/2017 proposto da:

Z.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI;

– controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G. proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI;

– ricorrente successivo –

contro

F.L.F., A.A., M.S.,

R.R., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 378/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/01/2017, R.G.N. 553/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 30 gennaio 2017, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale di Telecom Italia s.p.a. e in accoglimento di quello incidentale di F.L.F., revocava il decreto ingiuntivo ottenuto dal Tribunale di Roma da Z.M. (al pagamento della somma di Euro 16.676,73 a titolo di retribuzioni per il periodo da marzo a settembre 2012), rigettandone la domanda nei confronti della predetta società, che invece condannava al pagamento, in favore di F.L.F. per il titolo di cui in appresso, della somma di Euro 4.177,81 (ulteriore rispetto a quella già liquidatagli di Euro 2.637,97) oltre accessori; nel resto, rigettava l’appello proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di parziale accoglimento delle sue opposizioni, riunite, ai decreti dello stesso Tribunale che le avevano ingiunto il pagamento di somme, in favore dei dipendenti F.L.F., R.R., M.S. ed A.A., per differenze tra retribuzioni percipiende nel periodo da dicembre 2012 a marzo 2013 dalla società e invece percepite effettivamente da SIRM s.p.a., sul presupposto di illegittimità del trasferimento del ramo di azienda da Telecom Italia s.p.a. all’allora ITS – Servizi Marittimi e Satellitari s.p.a., accertata dal Tribunale di Roma, che aveva pure condannato la società cedente alla reintegrazione in servizio dei lavoratori;

avverso tale sentenza Z.M., con atto notificato il 16 giugno 2017, ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui resisteva con controricorso la società, a propria volta ricorrente per atto notificato il 28 luglio 2017 (e pertanto da qualificare ricorso incidentale avverso la medesima sentenza: Cass. 20 marzo 2015, n. 5695; Cass. 9 febbraio 2016, n. 2516) sulla base di tre motivi, cui F.L.F., R.R., M.S. ed A.A. resistevano con unico controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. nel rispetto di un corretto ordine di pregiudizialità logico-giuridica, così avviando l’esame dal ricorso incidentale, Telecom Italia s.p.a. deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale, nell’inosservanza del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, accertato il diritto ad un risarcimento del danno dei lavoratori, invece sempre ed esclusivamente richiedenti (nel ricorso in via monitoria, nelle memorie difensive in primo grado e in appello) la condanna della datrice cedente il ramo d’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate (primo motivo);

2. esso è infondato;

2.1. premesso il principio per il quale il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nel vizio di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. 17 luglio 2007, n. 15925; Cass. 3 agosto 2012, n. 13945; Cass. 21 febbraio 2019, n. 5153);

2.2. nel caso di specie non sussiste la violazione denunciata, per l’esercizio dalla Corte territoriale (così come da parte del Tribunale) di un tale potere di qualificazione giuridica delle domande dei lavoratori (come correttamente argomentato dal settimo al decimo capoverso di pg. 2 della sentenza), sulla base dell’identità dei fatti allegati senza alcuna loro immutazione nè alterazione: con insussistenza della violazione denunciata, la quale, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8148);

3. la società deduce quindi violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453,1463 c.c., per la mancata detrazione dell’indennità di disoccupazione percepita dai lavoratori, in applicazione del principio di compensatio lucri cum damno, nella specificazione dell’aliunde perceptum, ai fini del calcolo del risarcimento del danno per la natura, appunto risarcitoria, della loro pretesa patrimoniale, sull’erroneo assunto della detraibilità a detto titolo dei soli compensi di attività lavorativa, senza considerarne l’insorgenza, non già da un licenziamento illegittimo, ma da un asserito inadempimento datoriale alla ricostituzione del rapporto di lavoro (secondo motivo);

4. esso è congiuntamente esaminabile, per ragioni di stretta connessione, con i due motivi di ricorso principale, con i quali Z.M. deduce: violazione degli artt. 1223,1225,1227,1218 c.c., per esclusione di alcuna somma, in proprio favore a titolo di danno risarcibile (parametrato sulle retribuzioni non percepite per il periodo da marzo a settembre 2012), comunque richiesta in via monitoria e successivamente (anche) a titolo di retribuzioni tout court, in base ad erronea applicazione dei principi di prevedibilità del danno e di sua evitabilità con l’impiego dell’ordinaria diligenza, per una lettura delle sue dimissioni dalla cessionaria SIRM s.p.a. il 14 marzo 2008, prima della sentenza dichiarativa dell’illegittimità della cessione del ramo d’azienda, astratta dal concreto contesto di maturazione della relativa decisione (primo motivo); violazione degli artt. 2727 c.c. e segg., per l’apodittica presunzione di fatto dell’aggravamento del danno, non risarcibile, per effetto delle suddette dimissioni del lavoratore (secondo motivo);

5. il secondo motivo incidentale è infondato, mentre i due del ricorso principale sono fondati;

6. questa Corte ha recentemente risolto le questioni qui devolute, con sentenze oggetto di ampie ed approfondite argomentazioni (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784, sub p.ti da 6.2. a 7.1.; sub 8. in motivazione; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158), qui espressamente richiamate in quanto condivise e pertanto meritevoli di continuità, secondo le quali:

6.1. soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;

6.2. per insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’unicità del rapporto presuppone la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c.: sicchè, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale);

6.3. il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (cfr. da ultimo: Cass. 28L febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario);

6.4. pure a fronte di una duplicità di rapporti (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore), la prestazione lavorativa solo apparentemente resta unica: giacchè, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente resa, non meno rilevante sul piano del diritto, in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato;

6.5. pertanto al dipendente spetta la retribuzione tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (Cass. 23 novembre 2006, n. 24886; Cass. 23 luglio 2008, n. 20316), perchè, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva;

6.6. nelle obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni fungibili, la costituzione in mora credendi (e la conseguente offerta di restituzione) vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, specificamente indicati dall’art. 1207 c.c., ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che la legge subordina (art. 1210 c.c.) all’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido, con sentenza passata in giudicato (Cass. 29 aprile 2014, n. 8711); in quelle relative a prestazioni infungibili (cui appartiene quella lavorativa), dovendo l’adempimento della prestazione di fare essere preceduto da atti preparatori, la cui esecuzione richiede la collaborazione del creditore, basta invece che il debitore, che intenda conseguire la liberazione dal vincolo, costituisca il primo in mora mediante l’intimazione prevista dall’art. 1217 c.c.: integrando insindacabile valutazione di merito l’accertamento della necessità della collaborazione del creditore, affinchè il debitore possa adempiere la propria obbligazione di fare (Cass. 12 luglio 1968, n. 2474);

6.7. mediante l’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in mora credendi del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), il debitore del facere infungibile ha posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, stante l’equiparazione della prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l’abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari;

6.8. da quel momento l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: così come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall’azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato;

6.9. dopo la sentenza che ha dichiarato insussistenti i presupposti per il trasferimento del ramo d’azienda, in uno con la messa in mora operata del lavoratore, vi è l’obbligo dell’impresa (già) cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno;

6.10. la conclusione è coerente con l’interpretazione costituzionalmente orientata secondo cui, in riferimento allo scrutinio di legittimità costituzionale della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, “il danno forfettizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto”; sicchè, “a partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro che prevedeva una scadenza in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. Diversamente opinando, la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato sarebbe completamente svuotata.” (Corte Cost. 11 novembre 2011, n. 303, sub 3.3 del Considerato in diritto); 4.11 essa è stata ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. s.u. 7 febbraio 2018, n. 2990), autorevolmente confermata siccome corretta nella prospettiva interpretativa, costituzionalmente orientata, di rimeditazione della regola di corrispettività nell’ipotesi di un rifiuto illegittimo del datore di lavoro della prestazione lavorativa regolarmente offerta: posto che il riconoscimento di una tutela esclusivamente risarcitoria diminuirebbe l’efficacia dei rimedi che l’ordinamento appresta per il lavoratore; dovendo continuare a gravare sul datore di lavoro, che persista nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa ritualmente offerta dopo l’accertamento giudiziale che ha ripristinato il vinculum iuris, l’obbligo di corrispondere la retribuzione (Corte Cost. 28 febbraio 2019, n. 29, sub 5 del Considerato in diritto);

7. Telecom Italia s.p.a. deduce infine violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., artt. 1223 e 1227 c.c., per non avere la Corte territoriale ammesso l’ordine di esibizione delle dichiarazioni dei redditi dei lavoratori dell’anno 2012, specificamente dedotte in primo grado e reiterate in appello, in merito alla loro percezione dell’indennità di disoccupazione a fini di detrazione dell’aliunde perceptum dalla somma eventualmente loro spettante a titolo risarcitorio; nulla i predetti avendo neppure dedotto in merito al loro impegno di reperimento di una nuova occupazione per escludere l’esistenza o quanto meno ridurre l’entità del danno risarcibile (terzo motivo);

7.1. esso è assorbito;

8. pertanto deve essere accolto il ricorso principale, comportante la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ad esso, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione;

9. deve essere invece rigettato il ricorso incidentale, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti Telecom Italia s.p.a. e i lavoratori F.L.F., R.R., M.S. ed A.A., per la novità della soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità, in epoca successiva alla proposizione del ricorso e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio tra Telecom Italia s.p.a. e i lavoratori F.L.F., R.R., M.S. ed A.A.;

accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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