Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12442 del 16/06/2016

Cassazione civile sez. lav., 16/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 16/06/2016), n.12442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7757-2011 proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, C.F. (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12, ope legis;

– ricorrente –

contro

C.D., (OMISSIS), CA.NA.CA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA OTTORINO

LAZZARINI 19, presso lo studio dell’avvocato UGO SGUEGLIA, che le

rappresenta e ifende giusta delega in atti;

P.R. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PANARO 11/5, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO

BARTIMMO, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 8556/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/03/2010 r.g.n. 8801/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato SGUEGLIA UGO;

udito l’Avvocato AMBROSIO RAFFAELE per delega verbale BARTIMMO

VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto dal Ministero degli ari Esteri avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato il diritto di P.R., + ALTRI OMESSI tutti dipendenti del Ministero dell’Istruzione transitati nei ruoli del MAE D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 30 al riconoscimento, a fini giuridici ed economici, dell’anzianità maturata presso la amministrazione di provenienza.

2 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero degli Affari Esteri sulla base di cinque motivi (erroneamente numerati dal ricorrente che ha ripetuto per due volte il n. 3). Tutti gli originari ricorrenti hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – E’ infondata l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalle difese dei controricorrenti.

Invero, a seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale secondo cui la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario -, la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige solo che la consegna della copia del ricorso per la notifica venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante.

Nel caso di specie risulta dalla produzione documentale che l’Avvocatura generale dello Stato ha provveduto a richiedere la notifica del ricorso all’ufficio UNEP della Corte di Appello di Roma l’8 marzo 2011, entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza depositata il 12 marzo 2010, sicchè non rileva, ai fini della tempestività della notificazione, che l’atto sia pervenuto ai destinatari solo il 21 marzo 2011.

2 – Con il primo motivo di ricorso il Ministero degli Affari Esteri denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; mancata pronuncia sul difetto di interesse ad agire della domanda di riconoscimento dell’anzianità ai fini economici ovvero sulla sua infondatezza nel merito”. Rileva che nell’atto di appello era stato evidenziato che il Ministero aveva già provveduto a valutare, ai fini economici, l’anzianità di servizio maturata dagli appellati presso il MIUR attribuendo loro un assegno ad personam erogato a copertura del maggior trattamento economico percepito presso il dicastero di provenienza.

2.1 – Il motivo è infondato.

L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado e non va confusa con la diversa ipotesi che si verifica allorquando il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione. Nel primo caso la censura deve essere formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.; nel secondo il vizio deve essere denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 o 5, con la specifica indicazione delle norme sostanziali violate o, nel regime antecedente alla riforma dettata dal D.L. n. 83 del 2012, del punto decisivo prospettato dalle parti rispetto al quale la motivazione sarebbe mancante, insufficiente o contraddittoria.

2.2 – Nel caso di specie la Corte territoriale ha pronunciato sul primo motivo di appello con il quale, si legge nella sentenza impugnata, era stata lamentata “l’omessa considerazione del fatto che l’appellante aveva già provveduto a valutare ai fini economici la pregressa anzianità di servizio”, attraverso il riconoscimento dell’assegno ad personam.

Il motivo, peraltro, è stato ritenuto infondato, in quanto la domanda di accertamento aveva ad oggetto il riconoscimento dell’anzianità di servizio non solo a fini economici ma anche giuridici. La Corte territoriale ha, evidentemente, ritenuto che la circostanza rappresentata dal Ministero appellante non fosse sufficiente a fare escludere l’interesse ad agire, in presenza di una richiesta di accertamento dell’anzianità a fini “soprattutto normativi, in quanto proiettata sul futuro svolgimento del rapporto di impiego”.

Il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto formulare diversamente la censura, non denunciando una inesistente omessa pronuncia, bensì indicando le ragioni per le quali la ritenuta infondatezza del motivo doveva ritenersi errata in diritto o non sufficientemente motivata.

3 – Con il secondo, il terzo ed il quinto motivo il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, L. n. 246 del 2005, art. 16, artt. 1230 e 1406 c.c..

Sostiene, in sintesi, il ricorrente che l’amministrazione non era tenuta a riconoscere l’anzianità maturata presso il Ministero di provenienza, perchè nulla disponeva al riguardo il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, nel testo applicabile ratione temporis, e perchè contraddittoriamente la sentenza impugnata aveva riconosciuto valenza interpretativa solo alla L. n. 246 del 2005, art. 16, lett. a e non anche alla lett. c), che attribuisce al dipendente trasferito per mobilità esclusivamente il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti collettivi vigenti per il compatto della amministrazione di destinazione.

4 – I motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

La questione che qui viene in rilievo è già stata esaminata da questa Corte con più sentenze (nn. da 24724 a 24726, da 24729 a 24731, 24889, 24890, 24949, 25017, 25018, 25160, 25245, 25246), tutte relative al trattamento economico e giuridico spettante ai dipendenti del compatto scuola immessi nei ruoli del M.A.E. a seguito delle procedure di mobilità volontaria D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 30, espletate in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 246 del 2005. Con le richiamate pronunce si è stabilito, per quel che qui rileva, che il “passaggio diretto”, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, nella sua formulazione originaria, è riconducibile all’istituto civilistico della cessione del contratto, sicchè detto passaggio è caratterizzato dalla conservazione della anzianità e dal mantenimento del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza.

A dette conclusioni la Corte è pervenuta seguendo il percorso argomentativo già tracciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26420 del 12 dicembre 2006 ed evidenziando il carattere atecnico della espressione passaggio diretto, che non qualifica un particolare tipo contrattuale civilistico, ma solamente, nel campo pubblicistico, uno strumento attuativo del trasferimento del personale, da una amministrazione ad un’altra, trasferimento caratterizzato da una modificazione meramente soggettiva del rapporto e soggetto a vincoli precisi concernenti la conservazione dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico.

Il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate, sono integralmente condivise dal Collegio.

I motivi vanno, conseguentemente, respinti in quanto la sentenza impugnata, che ha accertato il diritto degli attuali ricorrenti a vedersi riconoscere ad ogni effetto la anzianità maturata presso l’amministrazione di provenienza, è conforme al principio di diritto sopra richiamato.

5 – Con il quarto motivo (erroneamente indicato come motivo n. 3) il Ministero rileva che non era oggetto del contendere la natura dell’assegno ad personam, sicchè erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto di dovere statuire al riguardo, affermando la non riassorbibilità dell’assegno in questione.

Aggiunge che la pronuncia viola le norme di legge richiamate nei precedenti motivi nonchè la L. n. 266 del 2005, art. 16, comma 226, la L. n. 537 del 1992, art. 3, comma 57 e il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202. Precisa che il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202 è applicabile nella sola ipotesi dei passaggi di carriera mentre nelle procedure volontarie di mobilità D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 30, salva diversa e specifica disposizione di legge, si applica il principio generale della riassorbibilità degli assegni ad personam, riconosciuti al solo fine di rispettare il divieto di reformatìo in peius del trattamento economico acquisito.

5.1. – Entrambi i rilievi sono fondati.

Con le pronunce indicate al punto 4 questa Corte ha affermato anche che:

a) in caso di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, il mantenimento del trattamento economico, collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento, opera nell’ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento;

b) infatti, in assenza di diversa specifica indicazione normativa, il divieto di reformatio in peius giustifica la conservazione del trattamento più favorevole, attraverso l’attribuzione dell’assegno ad personam, solo sino a quando non subentri, per i dipendenti della amministrazione di destinazione (e quindi anche per quelli transitati alle dipendenze dell’ente a seguito della cessione) un miglioramento retributivo, del quale occorre tener conto nella quantificazione dell’assegno, poichè, altrimenti, il divario sarebbe privo di giustificazione;

c) non è applicabile alla fattispecie la regola della non riassorbibilità dell’assegno, contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, riferibile alla diversa ipotesi, ormai residuale, dei passaggi di carriera disciplinati dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

5.2 – La domanda proposta dai ricorrenti, accolta dal giudice di prime cure, aveva ad oggetto solo l’inclusione della retribuzione professionale docenti nella base di calcolo dell’assegno ad personam e non riguardava la diversa questione della riassorbibilità dell’assegno che il giudice di appello ha, invece, affrontato, ritenendo erroneamente applicabile alla fattispecie la L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57.

Tuttavia l’errore commesso nella motivazione della sentenza impugnata non giustifica la cassazione della sentenza, poichè con la stessa è stato correttamente respinto l’appello del MAE avverso la pronuncia di prime cure che aveva solo dichiarato il diritto dei ricorrenti al riconoscimento dell’intera anzianità maturata presso l’amministrazione di provenienza.

La pronuncia va, quindi, confermata con diversa motivazione ex art. 384 c.p.c., u.c..

6- Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del Ministero nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per C. D. e Ca.Ca. in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre al 15% di spese generali ed agli accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. Ugo Sgueglia antistatario, e per gli altri controricorrenti in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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