Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1244 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2019, (ud. 10/10/2018, dep. 17/01/2019), n.1244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10121-2017 proposto da:

EXCELSIOR DI E.L. & C SNC, domiciliata in ROMA

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata e

difesa dall’avvocato MASSIMILIANO MINEO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S&R INVESTMENTS SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

VAL GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCA RONCHETTI in virtù

di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Lette le memorie depositate dalla controricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione regolarmente notificato, la S&R Investments S.p.a. (già ISA S.p.a.) conveniva davanti al Tribunale di Perugia la società Excelsior di E.L. & C. s.n.c. perchè fosse condannata al pagamento della somma di Euro 39.000,00. L’attrice assumeva la debenza di tale somma sulla base di una clausola inserita all’interno di un contratto di vendita stipulato tra le parti, in base alla quale l’esercizio del recesso unilaterale da parte del compratore comportava la corresponsione al venditore di una somma pari a un terzo dell’importo pattuito come corrispettivo, oltre al risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio la società Excelsior contestando la domanda avversaria e chiedeva, con domanda riconvenzionale, la restituzione dell’acconto versato di Euro 10.000,00.

Il Tribunale di Perugia – sezione distaccata di Assisi, con la sentenza n. 139/2012 accoglieva le richieste attoree dichiarando risolto il contratto per inadempimento della convenuta; rigettava la richiesta di risarcimento proposta da parte attrice, assumendo la natura interamente satisfattiva della somma indicata all’art. 6 del contratto a titolo di penale, nonchè la domanda riconvenzionale della convenuta, per l’assenza di prova circa la dazione della somma di Euro 10.000,00 anzichè di quella inferiore di Euro 5.000,00.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello la società Excelsior affermando che i giudici di prime cure non avevano considerato la sussistenza di una condizione sospensiva apposta al contratto; avevano condannato l’appellante al pagamento della penale convenzionale prevista in caso di recesso, pur avendo applicato la disciplina relativa alla risoluzione contrattuale per inadempimento; non avevano accertato la vessatorietà dell’art. 6 del contratto e non avevano tenuto conto del versamento di Euro 10.000,00 a titolo di acconto; infine contestavano la mancata considerazione circa il prevalente e precedente inadempimento della S&R Investments S.p.A., relativo all’obbligazione di consegnare il bene oggetto del contratto.

Si costituiva in appello la società attrice chiedendo il rigetto dell’appello principale e la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte d’appello di Perugia, con la sentenza n. 114/2016, rigettava l’appello della Excelsior e confermava la sentenza di primo grado, tuttavia qualificando l’azione proposta in primo grado dalla S&R come intesa a far valere le conseguenze del recesso convenzionale unilaterale dal contratto e, conseguentemente, il pagamento della somma dovuta come multa penitenziale.

Ricorre per cassazione la società Excelsior di E.L. & C. s.n.c. sulla base di due motivi di ricorso. Resiste con controricorso la S&R Investments s.p.a. (già ISA S.p.a.).

Con il primo motivo si denunzia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 99,100,101,102 c.p.c.

Secondo la ricorrente il contratto è stato sottoscritto da E.L. senza fare mai riferimento alla società, per cui sarebbe rinvenibile un difetto di legittimazione passiva della società convenuta nonchè un difetto di titolarità del rapporto controverso. Il giudice d’appello avrebbe dovuto, pertanto, rilevare anche d’ufficio il difetto di legittimazione e la carenza di titolarità nel diritto controverso della Excelsior s.n.c. e quindi dichiarare inammissibile la domanda o rigettarla.

Il motivo è destituito di fondamento.

Ed, infatti, è vero come dedotto da parte ricorrente che recentemente le Sezioni Unite, con la sentenza n. 2951/2016, hanno affermato che essendo la titolarità un elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa, che contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta a decadenza ex art. 167 c.p.c., comma 2. Tuttavia, la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perchè può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto. Ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo: in questo caso la prova il cui onere è a carico dell’attore può dirsi raggiunta. Nè sarebbe consentito in seguito al convenuto, tanto meno in appello, proporre una nuova esposizione dei fatti questa volta compatibile con la negazione del diritto.

Compiuta tale premessa in ordine ai limiti di rilievo, anche d’ufficio del difetto di titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, va in primo luogo evidenziata la carenza di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, del motivo in esame, nella parte in cui, pur richiamando a fondamento della censura il contenuto del modulo contrattuale sottoscritto asseritamente in proprio dal L., omette di riprodurne in ricorso il contenuto, impedendo quindi di poter riscontrare la decisività della denuncia, e ciò anche alla luce dell’avversa deduzione della società intimata, la quale in controricorso assume invece che l’assunzione degli obblighi sarebbe avvenuta da parte del L. spendendo la qualità di legale rappresentante della società convenuta.

Inoltre, come si rileva dalla lettura della sentenza impugnata, emerge chiaramente l’infondatezza della doglianza oggi addotta davanti a questa Corte, e di conseguenza la riconducibilità del contratto, e quindi della titolarità del rapporto giuridico, alla società Excelsior s.n.c., dovendosi correttamente reputare che si tratti di circostanza che non risulta essere stata contestata nei gradi di merito.

Ed, invero, ancorchè il semplice difetto di contestazione non imponga al giudice un vincolo di automatica conformazione della decisione, in quanto è sempre possibile rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, tuttavia, ove sia intervenuta la non contestazione in sede di merito, ed in assenza della prova contraria dei fatti non contestati, non appare possibile pervenire ad una contestazione in sede di legittimità.

Tornando al caso in esame, va poi ricordato che determinati fatti possono essere considerati “pacifici”, non solo quando espressamente riconosciuti, ovvero, a seguito della riforma dell’art. 115 c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, quando i fatti indicati nell’atto introduttivo del giudizio non siano stati specificamente contestati, ma anche allorquando la controparte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti addotti dell’avversario, oppure si sia limitata a contestare esplicitamente e specificamente alcuni soltanto di quei fatti, evidenziando così il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri (cfr. ex multis Cass. n. 23816/2010, secondo cui una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento).

A tal fine va quindi osservato che in sede di merito la società ricorrente non ha mai contestato la riferibilità ad essa del rapporto contrattuale oggetto di causa, proponendo appello avverso la decisione sfavorevole di prime cure, evidentemente sul presupposto della qualità di parte del contratto.

Inoltre, e tenuto conto del tenore delle domande riconvenzionali, l’affermazione di estraneità alla vicenda contrattuale appare evidentemente incompatibile con il contenuto della domanda riconvenzionale di restituzione della somma versata a titolo di deposito, che viceversa presuppone l’assunzione della qualità di contraente, con la conseguente riferibilità alla ricorrente di tutte le altre previsioni contrattuali, ivi inclusa quella di cui all’art. 6.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., – vizio di ultrapetizione ed extra petizione.

A detta dell’odierna ricorrente, l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello sembrerebbe evidente in quanto la causa petendi dell’azione era costituita dal preteso inadempimento contrattuale della convenuta, mentre al contrario i giudici di appello hanno accolto una domanda di accertamento della debenza di una somma quale conseguenza dell’esercizio del diritto convenzionale di recesso, con la conseguente condanna al pagamento della multa penitenziale di importo corrispondente a quanto statuito in contratto.

Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.

Come pacificamente affermato in giurisprudenza per l’effetto devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado, nei limiti dei motivi di impugnazione, deve riesaminare la causa sotto il duplice profilo del fatto e del diritto, e cosi come può pervenire ad una diversa valutazione dei fatti, può anche inquadrare le questioni prospettate in una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella ritenuta dal primo giudice (Cass. n. 4148/1974; Cass. n. 7525/1995).

Pertanto la sentenza d’appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente a quella di primo grado, sicchè il giudice del gravame che confermi la decisione impugnata, la cui conclusione sia conforme a diritto, sulla base di ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di prime cure, non viola alcun principio di diritto; la portata della decisione va, quindi, interpretata secondo i criteri ed i limiti della nuova motivazione della sentenza di appello (Cass. n. 352/2017; Cass. n. 9661/1999).

Ne consegue che – come affermato anche da Cass. n. 15185/2003 – il giudice d’appello che confermi la sentenza impugnata e quindi rigetti la domanda, in parte sostituendo la motivazione del primo giudice ed in parte proponendo una interpretazione della sentenza diversa da quella ritenuta dall’appellante, ma conforme a diritto, non viola i principi di cui agli artt. 112,342 e 345 c.p.c..

Ed, inoltre costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 8082/2005) il potere – dovere del giudice di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il “nomen iuris” al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti, trova un limite la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione – nel divieto di sostituire l’azione proposta con una diversa, perchè fondata su fatti diversi o su una diversa “causa petendi”, con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine.

Nella fattispecie la società attrice aveva adito il giudice di prime cure chiedendo la condanna dell’odierna ricorrente facendo univoco riferimento alla previsione di cui all’art. 6 del contratto, il quale prevedeva, secondo l’interpretazione operata dal giudice di merito e non specificamente contestata dalla ricorrente, proprio una ipotesi di cd. multa penitenziale per il caso di recesso convenzionale unilaterale dal contratto.

Pertanto la Corte d’Appello, attenendosi a quelle che erano le richieste avanzate dall’attrice, e tenuto conto dell’allegazione dei fatti operata in citazione, con la soluzione raggiunta nella sentenza gravata non ha in realtà introdotto nel giudizio nuovi elementi di fatto, ma si è limitata ad offrire una diversa qualificazione giuridica a quei fatti che erano stati appunto posti a fondamento della domanda, dovendo quindi escludersi la ricorrenza del dedotto vizio di extra petizione.

Ed, infatti, non sussiste violazione nè del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, stabilito dall’art. 112 c.p.c., nè del principio del divieto dell’ius novorum in appello, stabilito dall’art. 345 del cit. codice, nell’ipotesi in cui il giudice di appello, nel rispetto dei termini della controversia delineati in primo grado, accolga la domanda sulla base di una diversa qualificazione giuridica dei fatti, già implicitamente o esplicitamente acquisiti al processo (cfr. Cass. n. 3337/1981; Cass. n. 4744/2005 secondo cui il giudice d’appello può dare una qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite diversa da quella data dal giudice di primo grado, avendo il potere-dovere di definire la natura del rapporto al fine di precisarne il contenuto, gli effetti e le norme applicabili.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (disposizione per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – L. di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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