Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12436 del 16/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12436 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 15666-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

1097

LICATESI
4.

ANNE

MARIE

c.f.

LCTNMR84657Z352T,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

Data pubblicazione: 16/06/2015

lik

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO
LALLI, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1057/2008 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 24/06/2008 r.g.n. 962/2006;

udienza del 05/03/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito

il P.M.

in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso
per: inammissibilità in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 15666/09
Poste italiane s.p.a. e/Licatesi

Ragioni di fatto e di diritto della decisione
LCon sentenza del 24 giugno 2008, la Corte d’appello di L’Aquila ha accolto
l’appello proposto da Licatesi Anna Maria, insieme ad altri lavoratori, contro la
sentenza resa dal giudice di prime cure e, per l’effetto, ha dichiarato la nullità
del termine apposto al contratto di lavoro subordinato intercorso tra l’appellante
e Poste Italiane S.p.A., con decorrenza dal 12/7/1999 -30/9/1999 stipulato per
l’espletamento del servizio in concomitanza del periodo feriale. Ha altresì
condannato la società a riammettere in servizio la lavoratrice, nonché a
risarcirle il danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto a far
tempo dalla data di costituzione in mora, individuata nella notifica del tentativo
di conciliazione, e detratto l’ aliunde perceptum.
1.1. Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso, sostenuto da
tre motivi. La lavoratrice resiste con controricorso. Entrambe le parti
depositano memorie difensive. Il Collegio ha autorizzato la motivazione
semplificata.
2. Preliminarmente, si dà atto della tardività del controricorso, avviato per la
notifica in data 20/10/2009 e notificato il 21/10/2009, e dunque oltre il termine
previsto dall’art. 370 c.p.c., essendo stato il ricorso notificato il 29/6/2009,
come asserito dalla intimata. L’inammissibilità del controricorso, perché
notificato oltre il detto termine, comporta che non può tenersi conto del
controricorso medesimo, né delle successive memorie, ma non incide sulla
validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dalla
resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione
orale, con la conseguenza che, in caso di rigetto del ricorso, dal rimborso delle
spese del giudizio per cassazione sopportate dal resistente vanno escluse le
spese e gli onorari relativi al controricorso, mentre tale rimborso spetta
limitatamente alle spese per il rilascio della procura ed all’onorario per lo studio
della controversia e per la discussione (Cass., 13 maggio 2010, n. 11619).
3. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 1372, commi 1 e 2, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.
Lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di
una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto,
per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e
la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso.
3.1. Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
1

,

rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di
porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass.,10 novembre
2008, n. 426935, Cass., 28 settembre 2007, n. 20390, Cass., 17 dicembre 2004,
n. 23554, nonché da ultimo, Cass., 18 novembre 2010, n. 23319, Cass., 11
marzo 2011, n. 5887, Cass., 4 agosto 2011, n. 16932). La mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso” (v. da ultimo Cass., 15 novembre 2010 n. 23057, Cass., 11 marzo
2011 n. 5887), mentre “grava sul datare di lavoro”, che eccepisca tale
risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass., 2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da
ultimo, Cass., 1 febbraio 2010, n. 2279, Cass., 15 novembre 2010, n. 23057,
Cass., 11 marzo 2011 n. 5887).
3.2. Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli arti. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e
delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione
consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non
essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera
mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti,
non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il
“piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v.
Cass., 6 luglio 2007, n. 15264 e, da ultimo, Cass., 5 giugno 2013, n. 14209),
prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso
tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita (v.
da ultimo, Cass., 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, attenendosi a tali principi, ha
rilevato che la società ha allegato soltanto il mero decorso del tempo (dalla
cessazione del rapporto alla messa in mora), di per sé insufficiente a
manifestare la volontà di risolvere il contratto.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta altresì
congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente, che peraltro in
questa sede richiama gli ulteriori elementi della breve durata del contratto a
termine e della percezione del t.f.r., comunque entrambi privi di decisività (il
primo del tutto irrilevante e il secondo per nulla univoco).
4. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione ed
erronea applicazione degli artt. 2697 c.c. e 421 e 437 c.p.c., nonché omessa,
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Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 15666/09
Poste italiane s.p.a. e/Licatesi

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Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 15666/09
Poste italiane s.p.a. e/Licatesi

insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il
giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) in relazione al mancato rispetto della quota
numerica prevista dal CCNL (c.d. clausola di contingentamento). Il motivo è in
parte infondato e in parte inammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato che “nel regime di cui alla legge 28
febbraio 1987, n. 56, la facoltà delle organizzazioni sindacali di individuare
ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro è
subordinata dall’art. 23 alla determinazione delle percentuali di lavoratori che
possono essere assunti con contratto a termine sul totale dei dipendenti” . Si è,
altresì, affermato “relativamente alla prova dell’osservanza della percentuale
dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati
dall’azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato, che il relativo
onere è a carico del datare di lavoro, in base alla regola esplicitata dalla L. 18
aprile 1962, n. 230, art. 3 secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare
l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un
termine al contratto di lavoro”e, inoltre, che “non è sufficiente l’indicazione del
numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di
trasparenza ed a pena di invalidità dell’apposizione del termine nei contratti
stipulati in base all’ipotesi individuata ex art. 23 citato, l’indicazione del
numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potersi verificare il
rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine”(cfr Cass. 19 gennaio
2010, n. 839; v. pure Cass., 13 ottobre 2014, n. 21578). La Corte territoriale ha
fatto corretta applicazione di tali principi ed ha affermato che, al fine di
giustificare il ricorso all’assunzione di personale a termine, era necessario, oltre
alla concomitanza dell’assunzione con il periodo feriale, anche la
dimostrazione, da parte della datrice di lavoro, nel rispetto della percentuale
che doveva esistere tra contratti a termine e contratti a tempo indeterminato,
approvate nella specie non era stata offerta, a fronte di specifica contestazione
sollevata dalle appellanti.
Né è ammissibile la censura prospettata sotto il profilo della violazione degli
altri 421 437 c.p.c., in difetto di autosufficienza, giacché per censurare
idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della
motivazione sul punto della mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi
del giudice, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto
diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema
del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti
fasi di merito (Cass., 26 giugno 2006, n. 14731; Cass., 12 marzo 2009, n.
6023).
5. Con il terzo motivo la società la ricorrente denuncia la “violazione e falsa
applicazione di norme di diritto; insufficiente e contraddittoria motivazione”.
3

.

Lamenta l’errore in cui è incorso il giudice d’appello il quale, in violazione dei
principi di sinallagmaticità del rapporto di lavoro e di corrispettività delle
relative prestazioni, ha riconosciuto il risarcimento dei danni da scioglimento
del rapporto senza che la lavoratrice, in qualità di attrice, abbia assolto l’onere
di allegare e provare il danno in misura equivalente alle retribuzioni perdute e
senza considerare che, comunque, tale diritto suppone che siano state offerte
dal lavoratore le prestazioni lavorative e che datore di lavoro le abbia
illegittimamente rifiutate. Formula il seguente quesito di diritto: “Dica la
Suprema Corte se, attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in
applicazione del principio generale di effettività e di corrispettività delle
prestazioni, sia dovuta o meno l’erogazione del trattamento retributivo pur in
assenza di attività lavorativa”.
Il motivo risulta del tutto generico e astratto (così come, peraltro, il relativo
quesito conclusivo formulato ex art. 366 bis applicabile ratione temporis, cfr.
fra le altre, Cass. 10 gennaio 2011, nn. 329,330 e 331).
Posto, infatti, che la impugnata sentenza ha condannato la società al pagamento
delle retribuzioni maturate dalla messa in mora, ravvisata nella notificazione
del tentativo obbligatorio di conciliazione, detratto l’aliunde perceptum, la
ricorrente censura tale decisione in modo assolutamente generico, senza
riportare il contenuto dell’atto che, secondo il suo assunto, non avrebbe
integrato la offerta della prestazione e la messa in mora (contrariamente a
quanto affermato dalla Corte di merito) e senza neppure considerare che i
giudici di merito hanno già espressamente limitato la condanna con la
detrazione dell’ aliunde perceptum, di guisa che la censura risulta altresì
inconferente con il decisum.
6. Così risultato inammissibile l’ultimo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel2
5 resente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi
, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, e invocato dalla
ricorrente nella memoria difensiva.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass., 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004, n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
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Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 15666/09
Poste italiane s.p.a. c/Licatesi

sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le
altre Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
7. Il ricorso va pertanto rigettato e, in applicazione del criterio della
soccombenza, la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese in
favore dell’intimata, liquidate, stante la tardività del controricorso, in relazione
alla sola discussione, è distratta in favore del suo procuratore, giusta la
dichiarazione resa in udienza ex art. 93 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 1.500,00 per
compensi professionali, oltre spese generali e oneri accessori di legge,
disponendone l’integrale distrazione in favore dell’avvocato Sergio Vacirca,
anticipatario.
Roma 5 marzo 2015
Il Presidente
Dr. Guido Vidiri

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