Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12435 del 20/05/2010

Cassazione civile sez. II, 20/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 20/05/2010), n.12435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. (OMISSIS), P.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ORAZIO 31,

presso lo studio dell’avvocato TONELLI CONTI COSTANTINO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRAGLIANI MARCO;

– ricorrenti –

e contro

G.G. (OMISSIS);

– intimata –

e sul ricorso n. 6931/2005 proposto da:

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI

ANDREA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MANZI

LUIGI, PASETTO PAOLO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

P.M. (OMISSIS), P.S.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 589/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l’Avvocato TONELLI CONTI Costantino, difensore dei ricorrenti

che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato ALBINI Carlo con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI Andrea, difensore della resistente che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso previa riunione: accoglimento

del ricorso principale limitatamente al 3 motivo, con assorbimento

del 4 – 5 motivo; rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 6-5-1998 M. e P. S., comproprietari ciascuno per la quota di 7/18 di immobili siti in Comune di (OMISSIS), convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona G.G., comproprietaria per la quota di 4/18 degli stessi beni in quanto coerede del padre di essi P.O., chiedendo pronunciarsi lo scioglimento della comunione immobiliare con assegnazione ad essi degli immobili e con la liquidazione della quota della convenuta in denaro, nonche’ condannarsi quest’ultima al risarcimento di tutti i danni conseguenti sia al mancato godimento dell’intera quota di proprieta’ vantata sugli immobili comuni sia all’incendio di un capannone compreso nell’asse ereditario.

Nella contumacia della G. intervenivano volontariamente in giudizio la spa Cariverona Banca e la spa Mediovenezia Banca, entrambe creditrici della massa ereditaria con ipoteca iscritta sugli immobili.

Il Tribunale adito con sentenza dell’11-7-2000 dichiarava sciolta la comunione immobiliare tra le parti, assegnava agli attori congiuntamente l’intero patrimonio immobiliare, con addebito agli stessi dell’eccedenza pari a L. 266.840.666 spettante alla G. e, accertata la responsabilita’ della convenuta in ordine al deperimento della casa di abitazione, alla distruzione del capannone ed all’omesso pagamento di un canone d’affitto per l’utilizzo dello stesso capannone, la condannava a corrispondere agli attori la somma di L. 233.159.159 a titolo di risarcimento dei danni a seguito di parziale compensazione tra la somma di L. 266.840.666 dovuta dagli attori alla convenuta e la maggiore somma di L. 500.000.000 dalla seconda dovuta ai primi a titolo risarcitorio.

Proposto gravame da parte della G., cui resistevano M. e P.S. la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 3-4-2004, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermata nel resto, ha condannato gli appellati a corrispondere all’appellante la somma di L. 266.840.666, ed ha condannato quest’ultima a versare ai P. l’importo di L. 211.120.000 per i danni conseguenti all’incendio del capannone, oltre interessi legali per entrambi i crediti.

Per la cassazione di tale sentenza P.M. e P. S. hanno proposto un ricorso basato su cinque motivi cui la G. ha resistito con controricorso formulando altresi’ un ricorso incidentale articolato in tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo M. e P.S., deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139, 140, 143 e 229 c.p.c. nonche’ omessa motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso la tardivita’ dell’atto di appello notificato dalla controparte agli attuali ricorrenti, avendo ritenuto non ancora passata in giudicato la sentenza di primo grado in quanto la notifica di tale ultima decisione, effettuata presso la residenza anagrafica della G. per compiuta giacenza, sarebbe stata irrituale.

Premesso che la G. aveva conservato la propria residenza anagrafica in (OMISSIS), i ricorrenti principali sostengono che illogicamente la Corte territoriale ha affermato che la notifica suddetta avrebbe dovuto essere effettuata presso la residenza effettiva della controparte ad (OMISSIS) in un immobile (situato sopra il bar dalla stessa gestito) di cui le coordinate anagrafiche, se non note agli appellati, erano dagli stessi facilmente ricavabili; a parte infatti l’approssimazione di tale indicazione, tale pretesa conoscenza del luogo di effettiva residenza della G. non poteva essere ricavata dal fatto che in un ricorso per sequestro giudiziario depositato nel corso dei giudizio di primo grado il procuratore degli odierni ricorrenti aveva dichiarato che M. e P.S. erano venuti a conoscenza che da qualche mese la G. si era trasferita ad (OMISSIS) dove abitava sopra un bar da lei gestito con i figli, posto che nessun valore puo’ essere attribuito in giudizio nei confronti della parte rappresentata ad una dichiarazione proveniente dal suo procuratore, considerato che l’art. 229 c.p.c. richiede che la confessione, che come tale vincola la parte, sia contenuta in un qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente.

I ricorrenti principali infine a sostegno del loro assunto si richiamano ad un documento prodotto nel giudizio di appello nel quale la G., nel chiedere alla cancelleria del Tribunale di Verona il rilascio di una copia della sentenza di primo grado al fine di interporvi appello, si era espressamente dichiarata residente ad (OMISSIS).

Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324, 325, 326 e 330 c.p.c., assumono che, poiche’ la notifica della sentenza di primo grado presso la residenza anagrafica della G. doveva ritenersi rituale e quindi idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, la Corte territoriale ha errato nel ritenere non ancora passata in giudicato la suddetta sentenza e, conseguentemente, nel ritenere tempestivo l’appello “ex adverso” proposto.

Essi inoltre evidenziano la irritualita’ della notifica dell’appello presso lo studio degli avvocati Biancardi e Bonioli, laddove la notifica della sentenza di primo grado era stata richiesta in proprio da P.M., il quale aveva indicato il proprio domicilio in (OMISSIS), cosicche’ in tale luogo avrebbe dovuto essere effettuata la notifica dell’atto di appello.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.

Come gia’ rilevato poc’anzi la Corte territoriale ha valorizzato la consapevolezza da parte di P.M. (consapevolezza emergente dal ricorso per sequestro giudiziario sopra richiamato) della circostanza del trasferimento di fatto da qualche tempo della residenza dell’appellante ad (OMISSIS) in un immobile sopra un bar da lei gestito insieme ai suoi figli, immobile di cui erano facilmente ricavabili dagli appellati le coordinate anagrafiche, qualora ad essi non fossero gia’ note; ha poi escluso rilievo in senso contrario alla ricezione da parte della G. della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e del verbale dell’interrogatorio formale nel luogo di residenza anagrafica, nonche’ all’indicazione di quest’ultima residenza nell’istanza di rilascio di copia della sentenza di primo grado, posto che tali elementi erano semmai idonei a confortare la tesi degli appellati sulla persistenza della residenza anagrafica dell’appellante in (OMISSIS), ma non avevano alcuna incidenza sul trasferimento di fatto della residenza della G. e sulla conoscenza di tale circostanza da parte dei P..

Tale convincimento non puo’ essere condiviso.

Anzitutto deve osservarsi che la consapevolezza del solo P. M. del trasferimento di fatto della G. nei termini sopra richiamati non e’ idonea a far ritenere irregolare la notifica della sentenza di primo grado nel luogo di residenza anagrafica della stessa, considerata l’evidente indeterminatezza del luogo dove quest’ultima sarebbe andata a vivere (non essendo chiaramente individuato un immobile dal solo riferimento generico all’essere situato sopra un bar – gestito dalla G. insieme ai suoi figli – di cui non erano noti ulteriori elementi ai fini della sua esatta ubicazione) e rilevata la mancata enunciazione da parte del giudice di appello del fondamento di un ipotetico principio di diritto in base al quale il soggetto notificante sarebbe stato obbligato ad individuare tale luogo pur in presenza di una residenza anagrafica della destinataria della notifica.

Inoltre la sentenza impugnata ha erroneamente escluso rilievo agli elementi sopra richiamati – segnatamente alla indicazione da parte della G. della suddetta residenza anagrafica nell’istanza presentata alla cancelleria del Tribunale di Verona per il rilascio di una copia della sentenza di primo grado – da cui era invece emersa chiaramente dal comportamento della stessa interessata la conferma della sua effettiva residenza anagrafica; in tal modo infatti veniva inequivocabilmente rafforzato il valore presuntivo delle risultanze anagrafiche circa il luogo di residenza della G., in assenza di una prova contraria al riguardo.

Conseguentemente, tenuto conto che la stessa sentenza impugnata ha affermato che in data 24-12-2000 la sentenza di primo grado era stata notificata a mezzo posta nel luogo di residenza anagrafica della G. per compiuta giacenza, e che quest’ultima ha proposto l’appello con atto notificato il 19-3-2001, l’appello deve essere ritenuto inammissibile per l’avvenuto decorso a tale data del termine di trenta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2.

Con il terzo motivo M. e P.S., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c. nonche’ omessa motivazione, rilevano che la Corte territoriale non ha ritenuto per ammesse le circostanze oggetto dell’interrogatorio formale deferito alla G., che non si era presentata a renderlo; tra tali circostanze invero vi erano quelle relative all’occupazione da parte sua in via esclusiva di tutti gli immobili ereditari ed al mancato versamento, a fronte di cio’, di alcun compenso agli esponenti;

avendo quindi occupato personalmente la casa ad uso di civile abitazione ed avendo installato la propria azienda all’interno del contiguo capannone ad uso artigianale, la G. aveva di fatto impedito l’uso di entrambi i suddetti immobili agli attuali ricorrenti.

Con il quarto motivo i ricorrenti principali, denunciando omessa motivazione, rilevano che, una volta che il giudice di appello aveva attribuito agli esponenti l’intera proprieta’ degli immobili ereditari con l’onere a loro carico di liquidare in favore della G. la quota di 4/18, essi avevano diritto a percepire l’intera somma dovuta a titolo di risarcimento dei danni arrecati ai suddetti immobili, non decurtata quindi della quota di 4/18 come invece disposto dalla sentenza impugnata.

Essi inoltre sostengono che illegittimamente la Corte territoriale ha escluso l’obbligo della controparte di risarcire agli esponenti il danno relativo al deperimento dell’abitazione da lei utilizzata in via esclusiva nonche’ quello conseguente all’utilizzo esclusivo da parte della G. del capannone adibito ad uso artigianale; a tale proposito essi rilevano l’infondatezza del rilievo della sentenza impugnata secondo cui cio’ sarebbe avvenuto con il tacito consenso degli attuali ricorrenti principali, posto che invece nella specie non poteva ravvisarsi alcuna tolleranza, e che la condizione all’epoca di minorenne di P.S. comportava che il suo preteso consenso al riguardo fosse espresso solo con le autorizzazioni di legge.

Con il quinto motivo i ricorrenti principali deducono omessa motivazione in ordina alla erronea adozione di due diverse basi di calcolo per determinare da un lato la quota di liquidazione ereditaria spettante alla G. e, dall’altro, l’ammontare del risarcimento dei danni dovuto agli esponenti; se infatti la sentenza di primo di grado aveva determinato la suddetta quota sul valore pieno degli immobili calcolato prima della verificazione del danno, ne consegue che la quota era stata attribuita alla controparte escludendo i danni subiti dai predetti beni per suo fatto e colpa;

pertanto era iniquo, alla luce di tale criterio di calcolo, determinare il risarcimento del danno dovuto dalla G. defalcandone i 4/18.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si osserva che la G. con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1588, 1805, 2043, 2051 e 2697 c.c. nonche’ omessa o insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver accolto la domanda proposta nei propri confronti di risarcimento dei danni conseguenti all’incendio del capannone sulla base dell’incontestato godimento da parte dell’esponente del capannone stesso e della mancata allegazione da parte della G. di circostanze idonee ad evidenziare l’assolvimento degli oneri tesi alla diligente custodia dell’immobile ed alla sottrazione dello stesso ai rischi di rovina, in particolare da incendio; invero non costituisce principio generale dell’ordinamento la ritenuta responsabilita’ di colui che occupa un immobile in ordine all’incendio in esso verificatosi; era onere pertanto dei P. provare che l’incendio in questione fosse conseguenza di un comportamento doloso o colposo dell’esponente, ma tale onere non era stato assolto.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo nullita’ della sentenza e del procedimento ed omessa o insufficiente motivazione, assume che la Corte territoriale ha omesso ogni pronuncia in ordine ai rilievi dell’esponente circa la quantificazione del danno al capannone operata dai c.t.u. – e fatta propria dalla sentenza di primo grado – nella misura del 100% senza precisare in base a quali calcoli ed in ragione di quali specifiche spese necessarie egli era giunto a tale determinazione.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale, deducendo nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa motivazione, sostiene che il giudice di appello, dopo aver correttamente rilevato la novita’ e la conseguente inammissibilita’ della condanna dell’esponente in ordine al deperimento della casa di abitazione, ha peraltro successivamente esaminato nel merito – rigettandola – l’originaria domanda di condanna della G. al risarcimento di tutti i danni subiti dalla controparti “in conseguenza del mancato godimento dell’intera quoto di proprieta’ vantata sugli immobili comuni”.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale.

In conclusione la ritenuta inammissibilita’ dell’appello proposto dalla G. comporta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.

Considerate le ragioni della decisione ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di tutti e tre i gradi di giudizio.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri ed i ricorso incidentale, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa interamente tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010

 

 

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