Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12434 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 16/06/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 16/06/2016), n.12434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TGRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13934-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore

pro-tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

C.G., C.F. (OMISSIS); elettivamente

domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE NOMENTANA 312, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO MICHENZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO PITINGOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 521/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/05/2009 R.G.N. 1494/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato VITALE ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha accolto la domanda proposta da C. G. nei confronti della Agenzia delle Entrate ed ha condannato la appellata al pagamento della complessiva somma di Euro 21.447,91, pari alla differenza, per il periodo 1 ottobre 1998/31.12.2000, fra il trattamento economico del dirigente di 2 fascia e quanto effettivamente percepito dal C., inquadrato nella posizione C3 super.

2 – La Corte territoriale ha osservato che l’appellante aveva pacificamente svolto le mansioni di reggente dell’ufficio delle entrate di Crotone, senza soluzione di continuità e senza che la amministrazione avesse attivato la procedura selettiva prevista dall’art. 22, comma 5 del CCNL del personale dirigenziale del compatto ministeri.

Ha evidenziato che la sostituzione del dirigente, ricompresa nella declaratoria della posizione C3, non implica svolgimento di mansioni superiori solo qualora la stessa rivesta carattere di temporaneità e non di permanenza.

Infine ha precisato che la produzione documentale e le stesse ammissioni della Agenzia delle Entrate, la quale aveva dichiarato di avere corrisposto al C. l’indennità di risultato spettante ai dirigenti ed ai reggenti, dimostravano che le funzioni dirigenziali erano state svolte nella loro pienezza.

3- Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Agenzia delle Entrate sulla base di un unico motivo. C.G. ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Rileva, in sintesi, la ricorrente che la reggenza dell’ufficio dirigenziale rientra fra le funzioni proprie della 9 qualifica funzionale e, quindi, non implica svolgimento di mansioni superiori ove l’amministrazione non disponga di dirigenti ai quali assegnare la titolarità dell’ufficio. Aggiunge che anche l’allegato A del CCNL per il Comparto Ministeri, valido per il quadriennio normativo 1998/2001, prevede fra le attribuzioni dei dipendenti inquadrati nella posizione economica C3 super la attività di “direzione e controllo di unità organiche con assunzione diretta di responsabilità e risultati” e con possibilità di assumere “temporaneamente funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare”. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis.

2. Entrambi gli argomenti sono infondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “può ricorrersi alla reggenza di ufficio pubblico momentaneamente sprovvisto del titolare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo ove ricorrano i caratteri della straordinarietà e temporaneità, sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori, con conseguente diritto all’attribuzione del relativo e superiore trattamento economico, ivi compresi gli elementi retributivi accessori.” (Cass. S.U. 16.2.2011 n. 3814 e Cass. S.U. 22.2. 2010 n. 4063).

Questa Corte ha anche affermato, con orientamento ormai consolidato, che il profilo lavorativo relativo alla posizione economica C3, di cui all’allegato A del CCNL comparto Ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprende fra le funzioni l’espletamento di quelle di reggenza della superiore posizione lavorativa dirigenziale per vacanza del relativo posto, atteso che – in base al principio secondo il quale la volontà delle parti va ricostruita, in primo luogo, attraverso il senso letterale delle parole utilizzate – deve ritenersi che i contraenti, omettendo l’indicazione della reggenza tra le mansioni proprie della qualifica della posizione economica C3, abbiano inteso consapevolmente escludere tale figura dalla relativa declaratoria, alla quale hanno ricondotto solo la più limitata assunzione temporanea di funzioni dirigenziali, in assenza del dirigente titolare (in tal senso fra le più recenti Cass. 22.9.2015 n. 18680;

Cass. 16.3.2015 n. 5172; Cass. 8.10.2014 n. 21243).

3. Detti principi sono stati fatti propri dalla Corte Costituzionale che, con la recente sentenza 17.3.2015 n. 37, ha evidenziato che l’affidamento ai funzionari delle Agenzie di posizioni dirigenziali vacanti, non connotato dal carattere della temporaneità, non è riconducibile nè al modello della assegnazione legittima di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, nè all’istituto della cosiddetta reggenza. “Il primo modello, disciplinato del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342). Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20, (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perchè serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perchè è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto”.

4. La sentenza impugnata è conforme ai principi di diritto sopra richiamati, che vanno qui ribaditi, essendo incontestato fra le parti che l’incarico di reggente dell’ufficio delle entrate di Crotone venne affidato in via continuativa al C. dal 1 ottobre 1998, data di istituzione dell’ufficio, senza che ricorressero le ulteriori condizioni necessarie per il legittimo ricorso alla reggenza.

5. Ne discende l’infondatezza del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell’Agenzia delle Entrate nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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