Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12433 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 08/06/2011), n.12433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA PRIVATA CLINICA SAN ROCCO FRANCIACORTA SPA in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA A. FARNESE 7, presso lo studio dell’avvocato BERLIRI

CLAUDIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PLACIDI

GIAMPIERO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2004 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 28/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate, con tre motivi, impugna con ricorso per cassazione la sentenza n. 63/17/04 della CTR della Lombardia in data 13.12.2004, con cui veniva rigettato il suo appello avverso quella di primo grado, con la quale erano stati accolti i ricorsi in opposizione contro i provvedimenti di diniego inerenti al rimborso dell’Iva pagata su beni ceduti e prestazioni svolte a favore della società Casa di Cura Privata Clinica S. Rocco di Franciacorta Spa., esercente l’attività di ricovero e cura in regime di convenzione col SSN, per gli anni 1994-98.

La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente, avente carattere pregiudiziale, sul presupposto che esso è carente dei quesiti ex art. 366 bis epe. Essa è palesemente infondata, dal momento che l’art. 366 “bis” cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e che è applicabile anche al ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391 “bis” dello stesso codice, avverso le sentenze della Corte di cassazione, riguarda solamente le decisioni pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.), con la conseguenza che quelle precedenti non soggiacciono a tale disciplina, come nella specie, posto che la decisione in argomento è stata pubblicata il 28.2.2005 (Cfr. anche Sez. U, Ordinanza n. 26022 del 30/10/2008, Cass. n. 5076 del 2008).

1) Per quanto poi attiene alla posizione dell’agenzia, col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1, art. 18, comma 1 e art. 2033 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione tributaria regionale non avrebbe considerato che l’appellata non era legittimata ad agire per il rimborso dell’Iva, atteso che l’imposta era stata corrisposta direttamente dai cedenti dei beni relativi all’attività esente, e pertanto essa semmai avrebbe potuto agire in rivalsa nei confronti degli stessi. In ogni caso la giurisdizione apparteneva esclusivamente al giudice ordinario, dal momento che il rapporto tributario si svolgeva direttamente con i cedenti, e non con il consumatore finale, quale era appunto la Casa di Cura S. Rocco.

Il motivo è infondato. Invero la CTR osservava che tale questione, se riferita alla carenza di qualsiasi diritto da rivendicare in capo alla contribuente, poichè addotta soltanto in appello, doveva considerarsi nuova, e quindi inammissibile; mentre invece ove intesa come carenza di legittimazione, si trattava di eccezione senz’altro proponibile in secondo grado, e quindi da delibare, ancorchè tuttavia fosse infondata. L’assunto è esatto in parte, posto che, poichè la doglianza involge comunque una questione rilevabile anche d’ufficio, trattandosi in definitiva di legittimazione ad agire, e quindi di regolare o meno instaurazione del processo, allora essa andava delibata ugualmente, anche se si rivela comunque infondata.

Infatti in materia di IVA, il cessionario o committente che acquisisce beni o servizi nell’esercizio di un’impresa, è soggetto attivo nel rapporto tributario, ed è quindi legittimato a chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso di quanto ritiene indebitamente versato (V. pure Cass. Sentenze n. 2808 del 07/02/2008, n. 2775 del 2007).

Per quanto poi attiene alla questione della giurisdizione ordinaria, va rilevato come in tema di IVA, la controversia avente ad oggetto la richiesta di rimborso – sul presupposto che le operazioni di acquisto fossero esenti – avanzata all’amministrazione finanziaria da un soggetto che, operando nell’esercizio di una professione o di un’impresa, acquista beni e servizi strumentali ai fini di tale esercizio, spetta alla giurisdizione tributaria, in quanto ha ad oggetto la debenza di un tributo, con efficacia di giudicato nei confronti dell’Amministrazione medesima (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 20752 del 31/07/2008, Sentenze n. 2686 del 2007, n. 208 del 2001).

Inoltre va rilevato che il del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. g) (come già il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16) non limita o modifica il criterio generale di attribuzione della giurisdizione siccome fissato nell’art. 2 (già D.P.R. n. 636 del 1972, art. 1), ma si limita a prevedere un’azione generale di rimborso, individuando uno specifico atto (il rifiuto di restituzione) la cui impugnazione costituisce un veicolo necessario per l’introduzione del processo innanzi alle commissioni tributarie (Cfr. pure Sez. U, Sentenza n. 207 del 14/05/2001).

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2 oltre che omessa e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, giacchè la commissione regionale avrebbe dovuto rilevare la decadenza in cui l’appellata era incorsa, per avere richiesto il rimborso soltanto nei mesi di giugno e dicembre 2001, nonostante avesse effettuato il pagamento dell’imposta in quello di marzo di ognuno degli anni corrispondenti, e quindi dopo i previsti due anni per l’esercizio del preteso diritto. Peraltro si tratta di questione rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, essendo sottratta alla disponibilità delle parti.

La censura è fondata.

Il giudice di appello osservava che doveva applicarsi il termine della prescrizione decennale nel caso in esame, dal momento che la norma dell’art. 13, parte B), lett. e) della 6 direttiva 77/388 CEE non era stata ancora recepita nell’ordinamento nazionale, e ciò fino a quando tale disciplina non sarebbe stata trasposta nel diritto interno. L’assunto non è esatto. Invero va premesso che il termine di due anni dal pagamento dell’imposta, previsto a pena di decadenza dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2 era stato abbondantemente superato nel caso in esame, atteso che la S. Rocco aveva versato l’ultima annualità d’imposta nel mese di marzo 1999, e ne aveva chiesto il rimborso dopo più di due anni e mezzo, e cioè in quello di dicembre 2001, sicchè il ricorso introduttivo era inammissibile. Ciò posto, va osservato che la disciplina della direttiva CEE suindicata è stata recepita nell’ordinamento nazionale col D.Lgs. n. 313 del 1997, che comunque fa sempre salva la potestà dello Stato di disciplinare autonomamente i termini e le condizioni per l’applicazione della normativa comunitaria, del resto conformemente a questa stessa in generale. Invero in tema di IVA, alla domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 nel testo “pro tempore” vigente, e perciò non contemplata da disposizioni specifiche, si applica la norma di natura residuale di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, secondo il quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione” (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 8461 del 22/04/2005, n. 5486 del 2003).

3) Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, parte B), lett. c) della direttiva n. 77/388/CEE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, giacchè la CTR non avrebbe considerato che in realtà si trattava di beni, quelli acquistati dalla contribuente, che potevano godere del beneficio fiscale soltanto se a loro volta trasferiti a terzi, come ad esempio i macchinari, atteso che non potevano essere portati in deduzione, essendo destinati ad attività esenti, sicchè in definitiva la contribuente ne era il consumatore finale.

La doglianza rimane assorbita dal motivo testè esaminato, anche se tuttavia non appare superfluo comunque rilevare che essa va condivisa. Invero il giudice di secondo grado, osservava che la legislazione comunitaria in tale materia ha efficacia immediata anche nel diritto interno, e che di conseguenza il legislatore nazionale ha dovuto recepire nell’ordinamento la disciplina, secondo cui i beni destinati ad attività esenti, come nella specie, la riabilitazione e cura ospedaliera, non devono sottostare all’imposizione iva.

L’assunto non è esatto. Invero in tema di IVA, l’esenzione prevista dall’art. 13, parte B), lett. c), della 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, secondo 1’interpre-tazione fornitane dalla Corte di Giustizia CE con ordinanza del 6 luglio 2006, in cause C-18/05 e C-155/05, si applica esclusivamente alla rivendita di beni acquistati per l’esercizio di un’attività esente, ove gli stessi non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione, e non giustifica pertanto il rimborso dell’imposta versata per 1’acquisto di beni o servizi destinati in modo esclusivo all’esercizio di un’attività esentata, ancorchè esclusi dal diritto a detrazione, non essendo quello relativo al rimborso desumibile neppure dalla sentenza 25 giugno 1997, in causa 0 45/95, con cui la Corte si è limitata ad accertare l’inadempimento della Repubblica Italiana agli obblighi derivanti dalla medesima disposizione, senza avallare un’interpretazione diversa da quella successivamente fornita con la predetta ordinanza (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 27207 del 23/12/2009, Sent. n. 9107 del 2009). Inoltre va osservato che ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 ed in conformità all’art. 17 della VI direttiva del Consiglio CEE del 17 maggio 1997, (come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte Europea) immediatamente applicabile nell’ordinamento interno già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 9 febbraio 1997, n. 313, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata ” a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi afferenti al successivo compimento di operazioni esenti o comunque non soggette ad imposta, atteso che in base alla normativa citata, ai fini della detrazione non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa, essendo necessario che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA (V. pure Cass. Sentenza n. 18222 del 29/08/2007).

Ne deriva che il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo, mentre il primo va rigettato ed il terzo rimane assorbito, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata senza rinvio ex art. 384 c.p.c., comma 2, poichè non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, e la causa va perciò decisa nel merito, con accoglimento dell’appello dell’agenzia e rigetto del ricorso introduttivo della S. Rocco.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle, atteso che il primo motivo è infondato e la questione relativa alla indeducibilità dell’imposta è stata definitivamente decisa dalle SSUU successivamente alla proposizione del presente ricorso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo della contribuente, e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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