Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12431 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 24/06/2020), n.12431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8934/2016 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato TONY LUIGI DE GIORGI;

– ricorrente –

contro

EDILE SALENTINA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRAFICI 90,

presso lo studio dell’avvocato LIDIA MARIA PALATIELLO, rappresentata

e difesa dall’avvocato UMBERTO GIUSEPPE GARRISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2130/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 05/10/2015, R.G.N. 952/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Lecce accoglieva l’opposizione proposta dalla s.r.l. Edile Salentina avverso il provvedimento monitorio con il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 5.949,06 a titolo di T.F.R. rivendicato in relazione alla cessazione di due rapporti di lavoro avvenuta in data 31/12/2008 e 16/10/2010.

Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte distrettuale sul rilievo della intervenuta decadenza semestrale per la proposizione di qualunque rivendicazione salariale, sancita dall’art. 38 c.c.n.l. di settore.

La cassazione di tale decisione è domandata dal F. sulla base di unico motivo al quale resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con unico motivo si denuncia errata interpretazione ed applicazione dell’art. 2965 c.c., alla cui stregua è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto.

Si deduce che il contratto collettivo applicato dal datore di lavoro – recante all’art. 38 la clausola decadenziale invocata a fondamento della opposizione – era stato sottoscritto fra l’associazione FEDERTERZIARIO e la UGL (in vigore dal 1/6/2008 al 31/12/2011), e si differenziava, quanto alla parte normativa, rispetto al c.c.n.l. di settore sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi, che contemplava esclusivamente “l’istituto della prescrizione nell’ipotesi di reclamo nascente dal rapporto di lavoro”.

Inoltre, dalle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, non erano evincibili elementi dai quali desumere con certezza l’adesione dello stesso “al c.c.n.l. minoritario” di cui era stata disposta applicazione.

Si sostiene che il termine decadenziale semestrale invocato dalla società non poteva disciplinare i rapporti di lavoro intercorsi fra le parti perchè modificativo in pejus “delle regole originarie dell’ingaggio” – che disciplinavano il rapporto al momento della sua insorgenza e non contemplavano per quanto innanzi detto, alcun termine di decadenza – a svantaggio della parte contrattuale più debole. In tal senso si argomenta che la clausola contrattuale fosse affetta da nullità ex art. 2965 c.c., essendo difficile se non impossibile per il ricorrente, acquisire conoscenza della modifica della contrattazione collettiva al riguardo.

2. Il motivo palesa profili di inammissibilità.

Non può sottacersi che la questione della difformità fra le previsioni del c.c.n.l. di cui è stata disposta applicazione, rispetto a quella del contratto collettivo sottoscritta dalle associazioni maggiormente rappresentative, non risulta affrontata dalla sentenza impugnata.

In proposito va rammentato l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (vedi ex aliis, Cass. 9/8/2018 n. 20694, Cass. 12/6/2018 n. 15196, Cass. 24/1/2019 n. 2038).

Nello specifico il ricorrente ha omesso di ottemperare alle ricordate prescrizioni, non indicando mediante riproduzione della relativa deduzione, se e come abbia rappresentato, innanzi ai giudici di merito, i fatti, come in precedenza esposti, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

4. La statuizione impugnata è, peraltro, conforme a diritto perchè coerente coi dicta di questa Corte che, nello scrutinare l’istituto della decadenza previsto contrattualmente nel settore edile, ha ritenuto non censurabili le pronunce che avevano reputato valido il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del c.c.n.l. di settore.

Si è infatti, al riguardo considerato il particolare rilievo che assume, ai fini di tale valutazione di congruità del termine di decadenza, il raffronto con la disciplina dell’art. 2113 c.c., sulle rinunce e le transazioni – le quali possono essere impugnate entro sei mesi dalla loro data e comunque entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – potendosi assimilare l’inerzia del lavoratore ad una implicita rinuncia (vedi Cass. 6/8/2003 n. 11875, Cass. 9/6/2003 n. 9202, Cass. 20/5/2004 n. 9647).

Immune da censure è pertanto da ritenersi la pronuncia impugnata, laddove ha argomentato che il termine semestrale di decadenza avente ad oggetto “ogni rivendicazione inerente al rapporto di lavoro” nel settore edile, “caratterizzato dal ricorso al lavoro subordinato per il periodo strettamente necessario all’esecuzione e completamento di opere di edificazione”, non è tale da rendere eccessivamente difficile per il lavoratore, l’esercizio del diritto, sì da incorrere nella sanzione della nullità, non essendo inferiore a quello sancito dall’art. 2113 c.c., nè ponendosi in contrasto con l’art. 6 CEDU.

5. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna;la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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