Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12431 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. III, 11/05/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 11/05/2021), n.12431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 34385 del ruolo generale dell’anno

2018 proposto da:

B.F., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Rossella Oppo, (C.F.:

PPORSL73L56G384N);

– ricorrente –

nei confronti di:

CLINEA ITALIA S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona dell’A.D., legale

rappresentante pro tempore, T.J.S., rappresentato e

difeso, giusta procura allegata al controricorso, dagli avvocati

Alessandro Stratta, (C.F.: STRLSN65R06E379B) e Milena Liuzzi, (C.F.:

LZZMLN63D43H501H);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino n.

714/2018, pubblicata in data 17 aprile 2018;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 18

dicembre 2020 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.F. ha agito in giudizio nei confronti della Casa di Cura privata (OMISSIS), gestita dalla Clinea Italia S.p.A., per ottenere il risarcimento dei danni riportati a seguito di un incidente occorsole mentre era ricoverata presso tale struttura sanitaria.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Ivrea.

La Corte di Appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la B., sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria.

Resiste Clinea Italia S.p.A., con controricorso illustrato con memoria.

Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro Pepe, ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., chiedendo l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per la violazione e falsa applicazione degli artt. 26972727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto di motivazione in ordine alla corretta applicazione dell’art. 1218 c.c., per omesso esame di un documento decisivo per il giudizio”. Secondo la ricorrente, la corte di appello avrebbe erroneamente escluso la violazione, da parte del tribunale, del divieto di praesumptio de presumpto nonchè l’applicazione di presunzioni in difetto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., nella ricostruzione dei fatti.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La corte di appello ha in realtà radicalmente escluso che la ricostruzione dei fatti da parte del tribunale fosse avvenuta in base a presunzioni, essendo invece essa avvenuta sulla base di una corretta individuazione delle circostanze di fatto oggetto delle allegazioni delle parti e delle relative contestazioni, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., nonchè di una corretta valutazione delle prove documentali (con conseguente irrilevanza della questione relativa alla dedotta violazione dell’art. 2729 c.c.). Va sottolineato che il motivo di ricorso in esame non contiene una censura sufficientemente specifica in relazione all’indicata argomentazione della corte territoriale (la quale ha espressamente affermato che nel gravame veniva fatta confusione tra il riscontrato difetto nell’attività di allegazione e di contestazione dei fatti da parte dell’attrice e l’applicazione delle presunzioni), in particolare con riguardo alla affermazione della corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c., da parte del tribunale nella ricostruzione dei fatti.

La ricorrente si limita in effetti a ribadire che, a suo avviso, la ricostruzione dei fatti sarebbe stata operata, per un verso, applicando in modo non corretto le presunzioni e quindi in violazione dell’art. 2729 c.c. (essendo stato violato il divieto di doppia presunzione ed essendo state applicate presunzioni non gravi, precise e concordanti) e, per altro verso, senza adeguata valutazione di alcuni documenti prodotti, che avrebbero dovuto indurre la corte a giungere a diverse conclusioni proprio in ordine alla ricostruzione dei fatti.

Le censure in esame, dunque, in primo luogo non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, con riguardo alle dedotte violazioni di norme di diritto (e ciò è a dirsi, in particolare, in relazione alla dedotta violazione delle disposizioni in materia di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c.).

E’ opportuno chiarire, in proposito, che (diversamente da quanto sostenuto dallo stesso P.G. nelle sue conclusioni) la corte di appello non ha affatto violato le disposizioni dell’art. 2729 c.c., in particolare nell’accertamento delle condizioni di salute della B.: essa ha infatti, a tal fine, valutato correttamente non solo le allegazioni ma anche De prove documentali offerte dalle parti, affermando che la B. aveva genericamente allegato solo di essere in condizioni di salute “non ottimali” e che la società convenuta aveva al riguardo precisato, e provato mediante documenti, che la paziente non presentava un deficit di motilità tale da impedirle o sconsigliarle le ordinarie attività, incluso il semplice gioco della palla. Si tratta di un accertamento di fatto fondato sulla valutazione delle prove, adeguatamente motivato: non sussiste, sotto tale profilo, alcuna violazione dell’art. 2729 c.c. e, tanto meno, degli artt. 1218 e 2697 c.c.; la corte di merito non ha applicato presunzioni in violazione dei limiti di legge, ma ha semplicemente ritenuta raggiunta la prova che la B. era in condizioni di salute tali da non imporre ai sanitari e fisioterapisti della struttura di vietarle il semplice gioco della palla.

D’altra parte, sotto ogni ulteriore profilo, il motivo di ricorso in esame deve ritenersi inammissibile.

Le censure di violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., anche al di là di quanto sin qui esposto, non risultano comunque effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 – 01; Sez. U., Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 – 01, non massimata sul punto).

La pronunzia impugnata – essendo il giudizio di appello iniziato dopo il 2012 e trattandosi di doppia decisione conforme di merito – non consente d’altronde censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le quali sono dunque di per sè inammissibili.

In definitiva, le argomentazioni della ricorrente finiscono per risolversi nella contestazione di accertamenti di fatto operati dai giudici di merito sulla base delle allegazioni delle parti e della prudente valutazione delle prove, sostenuti da adeguata motivazione, non apparente, non insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non censurabile nella presente sede, nonchè in una sostanziale richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove stesse, non consentita nel giudizio di legittimità.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto di motivazione in ordine alla corretta applicazione dell’art. 1218 c.c., per omesso esame di un documento decisivo per il giudizio”.

Secondo la ricorrente, la corte di appello avrebbe violato l’art. 1218 c.c., omettendo di valutare se erano state adottate tutte le misure di sicurezza necessarie per evitare il rischio di caduta della paziente; inoltre non sarebbero state in proposito correttamente valutate le prove documentali fornite.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Va in primo luogo esclusa la dedotta violazione dell’art. 1218 c.c..

La corte di appello, sulla base dei fatti emergenti dalle allegazioni delle parti e del prudente apprezzamento delle prove acquisite, ha ritenuto positivamente dimostrato che: a) in relazione alle caratteristiche dell’attività posta in essere dalle pazienti, dello stato dei luoghi e delle condizioni fisiche della B., non poteva ritenersi sussistente un obbligo dell’operatore della struttura che si trovava impegnato al controllo delle stesse pazienti, di vietare quell’attività per ragioni di sicurezza; b) comunque, l’evento dannoso si era verificato esclusivamente a causa di una grave disattenzione della B..

Sulla base degli indicati accertamenti in fatto, risulta evidente che non possono affatto ritenersi violati i principi di diritto in ordine alla responsabilità per inadempimento degli obblighi di protezione dei pazienti gravanti sulle strutture sanitarie: una volta esclusa la sussistenza di un inadempimento di obbligazioni gravanti sulla struttura sanitaria in relazione causale con il danno, ed una volta altresì positivamente individuata la causa esclusiva del suddetto danno nella condotta della stessa paziente, risulta certamente corretta, in diritto, l’esclusione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

Le ulteriori censure di cui al motivo di ricorso in esame riguardano in realtà, nella sostanza, ancora una volta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e sono tutte inammissibili, come quelle analoghe di cui al motivo di ricorso precedente.

In primo luogo, anche in relazione al motivo di ricorso in esame va ribadito che la pronunzia impugnata – essendo il giudizio di appello iniziato dopo il 2012 e trattandosi di doppia decisione conforme di merito – non è suscettibile di censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che sono pertanto per ciò solo inammissibili.

Sono del resto altresì inammissibili quelle di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto esse, anche in questo caso, non risultano effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. la giurisprudenza richiamata con riguardo al motivo di ricorso precedente).

3. Con il terzo motivo si denunzia “Illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.”.

La ricorrente deduce che la corte di appello avrebbe escluso la responsabilità della struttura ai sensi dell’art. 2051 c.c., valutando erroneamente il profilo soggettivo della sua colpa nell’adozione delle misure di sicurezza ed escludendo erroneamente la prevedibilità ed evitabilità dell’evento.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Pur dando atto che il tribunale aveva escluso la pericolosità della cosa e l’obbligo del gestore della struttura di adottare misure di precauzione particolari, ritenendo pertanto dimostrato il caso fortuito, in realtà la corte di appello ha confermato la decisione di rigetto della domanda, sotto il profilo della responsabilità per cose in custodia, non in base alla ritenuta sussistenza di una ipotesi di caso fortuito, ma sulla base dell’esclusione del nesso di causa tra la cosa (la ghiaia sul terreno) e il sinistro (si vedano in proposito gli ultimi due righi di pag. 13 ed il primo rigo di pag. 14 della sentenza).

Dunque, anche in questo caso le censure non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della pronunzia impugnata. D’altra parte, i principi di diritto che regolano la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., sulla base della ricostruzione dei fatti presa in considerazione dai giudici di secondo grado, non possono in alcun modo ritenersi violati: in base a tali principi spetta infatti sempre all’attore la dimostrazione del nesso di causa tra la cosa in custodia ed il danno e, nella specie, la corte territoriale non ha ritenuto raggiunta tale prova.

4. Con il quarto motivo si denunzia “Illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e art. 183 c.p.c., comma 6, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori ritualmente dedotti”.

La ricorrente sostiene che la corte di appello non avrebbe fornito una adeguata motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza dei mezzi di prova di cui essa aveva riproposto la richiesta di ammissione nel giudizio di secondo grado.

Il motivo è inammissibile.

La corte di appello ha fornito una duplice motivazione a sostegno del rigetto delle istanze istruttorie della B.: ha infatti in primo luogo affermato che, con riguardo a tali istanze, essendo esse state già disattese dal giudice di primo grado, sarebbe stato necessario uno specifico motivo di gravame a contestazione delle ragioni del rigetto, motivo che nella specie mancava; ha poi comunque ribadito che si trattava di prove irrilevanti ai fini della decisione.

Entrambe le indicate motivazioni sono da sole idonee a sostenere da sole la decisione.

La ricorrente, peraltro, non ha impugnato la prima (e principale) di esse, con conseguente inammissibilità, per irrilevanza, delle censure relativa alla seconda.

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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