Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12430 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. III, 11/05/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 11/05/2021), n.12430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30282/2018 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE AMERICA, 11,

presso lo studio dell’avvocato MARCO BONIFAZI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANAMA 26, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO NATOLI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

S.N., G.G., nella qualità di eredi di

G.G.B., C.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5085/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.R. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Viterbo, C.R., S.N. e G.G. (eredi di G.G.B.) nonchè la Milano Assicurazioni S.p.a. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale verificatosi in data (OMISSIS), la cui responsabilità era – ad avviso dell’attore – da attribuire in via esclusiva alla condotta di guida di C.R., il quale, mentre era alla guida di un trattore di proprietà di G.G.B., uscendo da una strada interpoderale, si era immesso sulla (OMISSIS), senza arrestarsi al segnale di stop e senza dare la precedenza al motociclo condotto e di proprietà dell’attore, che nulla aveva potuto fare per evitare lo scontro.

Il R. rappresentò che: a) a seguito delle lesioni riportate, era stato sottoposto ad intervento chirurgico, dal quale erano residuati importanti postumi in ordine alla deambulazione, valutati nel 60% di invalidità permanente e in 240 giorni di invalidità temporanea totale e parziale; b) il danno materiale al motorino era stato integralmente risarcito dalla Milano Assicurazioni S.p.a.; c) tale società assicuratrice aveva pagato, in data 23 luglio 2009, per il danno biologico, la somma di Euro 209.000,00, liquidando peraltro solo il 50% del dovuto sul presupposto di un insussistente concorso di colpa ex art. 2054 c.c.; d) la lesione subita nell’incidente aveva determinato anche una diminuzione della capacità lavorativa specifica, che avrebbe comportato negli anni a venire un pensionamento anticipato e, comunque, una minor resistenza fisica al lavoro prolungato (operaio).

Si costituì la Milano Assicurazioni S.p.a., che chiese il rigetto della domanda, asserendo che il pagamento effettuato era satisfattivo, sussistendo un concorso di colpa al 50% nella causazione del sinistro stradale.

Gli altri convenuti rimasero contumaci.

Il Tribunale adito, ritenuto che la responsabilità del sinistro fosse ascrivibile integralmente al C., condannò i convenuti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’attore, di ulteriori Euro 201.045,20, oltre interessi legali sulla predetta somma dal 1 gennaio 2012 al saldo e al rimborso delle spese di lite, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Avverso tale decisione R.R. propose appello, chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, di condannare i convenuti, in solido con la compagnia UnipolSai Assicurazioni S.p.a., al pagamento di ulteriori Euro 500.000,00 per l’integrale ristoro dei danni non patrimoniali e patrimoniali patiti, con una corretta valutazione degli interessi legali e della svalutazione monetaria dalla data del sinistro al saldo, o quanto meno da una valutazione intermedia esatta dalla data dell’incidente all’effettivo soddisfo.

UnipolSai Assicurazioni S.p.a. si costituì e chiese il rigetto del gravame.

Gli altri appellati rimasero contumaci.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5085/2018, pubblicata il 20 luglio 2018, in parziale accoglimento dell’appello e a parziale riforma della sentenza impugnata, condannò C.R., S.N., G.G. (gli ultimi due in qualità di eredi di G.G.B.) e UnipolSai Assicurazioni S.p.a., in solido tra loro, al pagamento, in favore di R.R., dell’ulteriore importo di Euro 2.800,58 a titolo di interessi compensativi, oltre interessi legali dal 26 febbraio 2014 al saldo, nonchè al rimborso dell’ulteriore somma di Euro 6.200,00 a titolo di compensi professionali oltre accessori di legge, da distrarre in favore dell’Avv. Marco Bonifazi, antistatario, confermò per il resto la sentenza impugnata, condannò gli appellati, in solido tra loro, al rimborso, in favore di R.R., delle spese di lite del secondo grado di giudizio, da distrarre in favore dell’Avv. Marco Bonifazi, antistatario.

Avverso la sentenza della Corte di merito R.R. ha proposto ricorso per cassazione, basto su quattro motivi e illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso UnipolSai Assicurazioni S.p.a..

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) nonchè violazione e falsa applicazione di legge sotto il profilo della attribuzione ad essa di un significato non appropriato (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con tale mezzo il ricorrente lamenta che, pur essendogli stata riconosciuta dal C.T.U. una I.P. del 48%, gli sia stato liquidato, a titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale, un importo aggiuntivo del 40% e non del 50% di quanto liquidato per il ristoro del danno biologico, e chiede, pertanto, il riconoscimento di un’ulteriore somma pari circa Euro 38.000,00 a titolo “di danno non patrimoniale (personalizzazione)”.

Il R., inoltre, contesta che la Corte di appello abbia applicato le tabelle di Roma, pur non avendo la sua difesa formulato un’espressa e formale richiesta al riguardo, escludendo l’applicazione di quelle di Milano; riconosce che nelle sua comparsa conclusionale di primo grado si fa riferimento alle tabelle del Tribunale di Roma ma evidenzia di aver formulato istanza di quantificazione personalizzata del danno secondo quanto statuito da questa Corte con la sentenza 18/05/2017, n. 12470 che fa riferimento, per la liquidazione del danno non patrimoniale, al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato la c.t.u. espletata in primo grado, nella parte in cui l’ausiliare del giudice ha evidenziato che “uno scrupoloso rispetto delle prescrizioni in ambito lavorativo ovvero anche l’alternanza di lavoro esecutivo manuale e impiegatizio, prevalentemente sedentario, non consentono di escludere la possibilità per il R. di completare normalmente l’intero arco lavorativo previsto per il pensionamento”.

Sostiene il ricorrente che, alla luce di quanto appena evidenziato, il riconoscimento di una incidenza lavorativa generica solo del 5% come operato dalla Corte territoriale – sarebbe ampiamente riduttivo, “in quanto l’eventualità di un pensionamento anticipato assume la stessa portata anche nel lavoro sedentario attuale, secondo quanto ha espressamente fatto intendere il CTU” e, pertanto, sarebbe “fondata la richiesta di un innalzamento del 48%, pari al grado di invalidità permanente riconosciuto… del danno da cinestesi lavorativa per una liquidazione aggiuntiva di Euro 16.198,00”.

3. Con il terzo motivo, rubricato “Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) nonchè violazione e falsa applicazione di legge sotto il profilo della erronea negazione dell’esistenza di una norma (art. 360 c.p.c., n. 3)”, il ricorrente si duole del rigetto del quinto motivo di appello, con cui aveva chiesto la liquidazione del danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica in conseguenza del sinistro.

Sostiene il R. che in caso di elevata percentuale di invalidità permanente il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della perdita patrimoniale derivante dalla menomazione della capacità lavorativa specifica, liquidando tale voce di danno con criteri equitativi, facendo ricorso ad un giudizio prognostico su basi probabilistiche, tenendo conto della percentuale di invalidità permanente accertata, della natura e qualità dei postumi, dell’orientamento manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività e degli studi di questi. Nella specie il R. ha svolto sempre attività manuali, ha frequentato la scuola fino alla terza media e non ha mai svolto attività impiegatizia e/o di amministrazione, sicchè sarebbero numerose le difficoita incontrate nello svolgimento delle nuove mansioni dal ricorrente, con conseguenti danni al suo reddito da attività lavorativa, che andrebbero risarciti nella misura di almeno il 10% sull’invalidità permanente, sicchè dovrebbe essergli riconosciuta a titolo di menomazione della capacità lavorativa specifica la somma di ulteriori Euro 43.000,00 circa.

4. Il quarto motivo è così rubricato: “Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) nonchè violazione e falsa applicazione di legge sotto il profilo della attribuzione ad essa di un significato non appropriato (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con tale mezzo il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, come il Tribunale, non avrebbero tenuto conto del “danno estetico da compromissione della vita di relazione che in questo caso diventa tutt’uno con il danno esistenziale in quanto pur mascherabil(i) con l’abbigliamento, i segni, le ferite, le difficoltà sono visibili nell’intimità del Sig. R. ed in ogni momento in cui viene in contatto con l’esterno”. Inoltre, non si sarebbe tenuto conto dello stato ansioso depressivo del R., evidenziato nella documentazione medica prodotta, avendo il danno estetico condizionato “il modo di essere” del predetto. Rappresenta che le cicatrici riportate non sarebbero stabilizzate sicchè il metodo valutativo dovrebbe essere quello di cui si avvale l’INAIL per le invalidità civili e indicato da alcuni autori, “che valutano le cicatrici cutanee deturpanti, non interessanti il volto e il collo, con una aggiunta media del 5% rispetto al danno biologico”.

5. I quattro motivi proposti che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono tutti inammissibili.

6.1. Va, infatti, rilevato che risultano inammissibili le censure motivazionali proposte, evidenziandosi al riguardo che, avendo la Corte di merito accolto solo parzialmente l’appello limitatamente al riconoscimento degli interessi compensativi sul credito risarcitorio residuo maturati dal 26 gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 ed alle spese di lite del primo grado di giudizio, con riferimento al riconoscimento e alla liquidazione dei danni si è in presenza di una cd. “doppia conforme”. In tale ipotesi, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 e nella specie l’atto di appello risulta essere stato notificato nel 2014, come si evince dalla data di emissione della sentenza del Tribunale e dal NRG del giudizio di appello, v. sentenza di secondo grado, p. 1), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10/03/2014, n. 5528; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 6/08/2019, n. 20994), adempimento, questo, non svolto nel caso all’esame.

Comunque, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 20 luglio 2018, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4), (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione a “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Nella specie, invece, con le censure formulate, per quanto attiene ai lamentati vizi motivazionali, il ricorrente non ha proposto le relative doglianze nel rispetto del paradigma legale di cui dell’art. 360 c.p.c., novellato n. 5, non evidenziando neppure quale sia il “fatto storico” di cui si deduce l’omesso esame ai sensi della norma appena richiamata.

6.3. Quanto alle violazioni e/o false applicazioni di legge, pure indicate nella rubrica dei motivi primo, terzo e quarto, va rimarcato che sul punto le doglianze risultano del tutto generiche, neppure essendo state precisate, neanche nell’illustrazione dei detti motivi, le norme cui si intendeva far riferimento. Al riguardo va rilevato che l’onere di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa. Ed invero, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicchè è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, nè essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass., sez. un., 28/10/2020, n. 23745; Cass., ord., 5/08/2020, n. 16700; Cass., ord., 24/02/2020, n. 4905).

Nel caso in scrutinio tale onere di specificità dei motivi non risulta assolto nè a tanto può rimediarsi con le memorie depositate in prossimità dell’adunanza camerale.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

8. Va, in ogni caso, precisato senza che ciò comporti l’accoglimento del ricorso, che la motivazione della sentenza impugnata va corretta, laddove a p. 8 della medesima la Corte territoriale fa riferimento al “danno morale comprensivo delle componenti relazionale ed esistenziale”. In tal modo quella Corte non ha correttamente inteso il ristoro di tale danno, atteso che la componente dinamico – relazionale costituisce l’in sè del danno biologico (v. Cass. 10711/2020, n. 25164). Pertanto, nel caso all’esame, la liquidazione del danno morale è stata operata in eccesso, essendo stati considerati elementi estranei alla morfologia del danno morale. Tuttavia, il difetto di ricorso incidentale su tale specifico punto non consente di intervenire sulla liquidazione di tale voce di danno operata dalla Corte di merito, va però emendata la motivazione nel senso indicato.

Per le medesime ragioni va corretta la motivazione della sentenza impugnata per quanto affermato dalla Corte territoriale a p. 10 con riferimento “alle ripercussioni che hanno avuto le lesioni residuate dall’incidente sulla possibilità di svolgimento di attività sportive e relazioni di un certo rilievo”, rientrando le stesse nel danno biologico e non nel danno morale, come già detto.

Va pure precisato che la personalizzazione del danno, cui si fa riferimento a p. 9 della sentenza impugnata in relazione “all’incremento del risarcimento del quaranta per cento per il ristoro del danno morale-esistenziale e alla vita di relazione rispetto agli importi liquidati a titolo di danno biologico”, va, per quanto già sopra evidenziato, rettamente limitata ai soli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico, così dovendosi correggere la motivazione della sentenza impugnata.

Ed invero la personalizzazione del danno biologico è specificamente disciplinata in via normativa (art. 138, n. 3 nuovo testo C.d.A.: “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%”). Tanto è confermato dall’espresso e non equivoco contenuto del testo legislativo dianzi citato (art. 138, punto 2 lettera a): “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”), da leggersi in combinato disposto con la successiva lettera e) del medesimo punto 2 (“al fine di considerare la componente morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico (…) è incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”).

Ha così trovato definitiva conferma normativa il principio della autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, già da tempo affermato da questa Corte (v. amplius Cass. n. 25164/20, cit.).

9. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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