Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1243 del 22/01/2014
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1243 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MELONI MARINA
SENTENZA
sul ricorso 16219-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
2770
contro
GELSO 5 COOP EDIL SRL IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 40/2006 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata 1’11/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
Data pubblicazione: 22/01/2014
udienza del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. MARINA
MELONI;
udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si
riporta e chiede l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
via principale inammissibilità, nel merito
accoglimento del ricorso.
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso in
Svolgimento del processo
La società cooperativa Gelso 5 in liquidazione
assolta per l’importo di lire 110.000.000. ex art.
30 comma 3 lett.a) DPR 633/72.
L’Ufficio
prima
erogava
il
rimborso
e
successivamente sanzionava la contribuente per
indebita fruizione del rimborso non spettante,
intimando con successiva cartella notificata il
13/12/2003 il pagamento della somma di euro
13.032,27 a titolo di interessi legali maturati sul
rimborso IVA 1997 indebitamente percepito.
Avverso la cartella di pagamento, la società
contribuente presentava ricorso davanti alla
Commissione Tributaria Provinciale di Milano
asserendo che gli interessi pur non dovuti,
chiedeva il rimborso per l’anno 1997 dell’IVA
dovevano comunque essere calcolati sulla minor
somma di
e
70.832.000 pari alla differenza tra il
rimborso di lire 110.000.000 erroneamente richiesto
e quello di lire 39.168.000 effettivamente
spettante.
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o-\
La CTP di Milano accoglieva l’impugnazione con
sentenza successivamente appellata dall’Agenzia
delle Entrate e confermata dalla Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia.
regionale della Lombardia ha proposto ricorso per
cassazione la Agenzia delle Entrate con due motivi.
La società contribuente non ha spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente
Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art.19 comma 3 D.L.gs 546/1992 in
relazione all’art. 360 comma l nr.3 cpc perché i
giudici di appello hanno ritenuto ammissibile il
ricorso sebbene lo stesso fosse incentrato su
censure riferibili all’atto di irrogazione delle
sanzioni per l’indebita fruizione del rimborso IVA
non spettante e non invece sulla cartella di
pagamento oggetto del presente giudizio relativa al
pagamento degli interessi legali.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente
Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt.9 e 15 comma 3 bis legge
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Avverso la sentenza della Commissione Tributaria
289/2002 in relazione
all’art.
360
comma 1 nr.3 cpc perché i giudici di appello hanno
ritenuto che la controversia fosse stata definita a
seguito di condono tombale di cui agli artt 9 e 15
comma 3 bis legge 289/2002, mentre tale definizione
e non quello relativo agli interessi.
Il primo motivo è inammissibile per difetto di
autosufficienza. Infatti (Sez. 5, Sentenza n. 11987
del 31/05/2011) “In tema di contenzioso tributario,
qualora l’Amministrazione intenda censurare, con
ricorso per cassazione, la sentenza della
Commissione tributaria regionale di rigetto del
ricorso avverso la sentenza di primo grado che,
annullando un avviso di accertamento con cui si era
proceduto al recupero a tassazione di alcuni costi
ritenuti dall’Ufficio fittizi ed indicati nel
verbale della Guardia di finanza come privi del
requisito dell’inerenza, ha riconosciuto la
riguarda solo l’atto di irrogazione delle sanzioni
deducibilità dei costi medesimi, deve indicare pena l’inammissibilità del ricorso, per difetto del
requisito di autosufficienza, gli elementi
indispensabili per la esatta conoscenza dei costi
in contestazione, precisando, altresì, la loro
natura e cioè se si tratti di costi non inerenti
oppure fittizi.”
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v
Risulta invece fondato e deve essere accolto il
secondo motivo di ricorso.
Infatti,
come
correttamente
affermato
dalla
ricorrente il condono tombale di cui agli artt 9 e
di irrogazione delle sanzioni e non quello relativo
agli interessi che pertanto potevano legittimamente
essere richiesti dall’Amministrazione, così come
analogamente statuito da questa Corte in occasione
del condono di cui all’art. 8, comma secondo, del
d.l. n. 83 del 1991 (vedi Sez. 5, Sentenza n. 16419
del 18/06/2008) “In tema di condono fiscale, l’art.
8, comma secondo, del d.l. 16 marzo 1991, n. 83,
convertito con modificazioni dalla legge 15 maggio
1991, n. 154, nell’escludere l’applicabilità delle
sanzioni amministrative previste dall’art. 44 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dall’art. 92 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ai contribuenti
ed ai sostituti d’imposta che hanno provveduto al
pagamento delle imposte o ritenute entro il 31
dicembre 1988, non fa cenno agli interessi che,
pertanto, sono dovuti. (Nella specie la S.C. ha
cassato la sentenza della commissione tributaria
regionale che disponeva, per effetto
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15 comma 3 bis legge 289/2002 riguarda solo l’atto
dell’intervenuto
condono ex art. 8
richiamato, il rimborso degli interessi)” (sul
punto anche 13505/2012 ed 8110/2012).
Ritiene quindi la Corte che gli interessi legali
relativi alla somma dovuta, in presenza di
siano ricompresi nell’ambito della domanda di
condono e pertanto debba essere riformata la
sentenza dei giudici di appello.
Per quanto sopra il ricorso deve essere accolto in
ordine al secondo motivo mentre deve essere
dichiarato inammissibile il primo motivo, cassata
la sentenza impugnata. La sentenza deve essere
cassata senza rinvio e la causa può essere decisa
nel merito ex art. 384 cpc non richiedendo
ulteriori accertamenti in punto di fatto, con
rigetto del ricorso introduttivo.
Ricorrono giusti motivi per compensare fra le
parti le spese dei gradi del giudizio di merito,
definizione della controversia per condono, non
stante l’evolversi della vicenda processuale,
mentre le spese del giudizio di legittimità vanno
poste a carico della società contribuente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo
e dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la
5
cg,
.
–
ATEiZ.: TP-313 fitijA
sentenza impugnata e,
decidendo
nel
merito, rigetta il ricorso introduttivo. Condanna
la Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità che si liquidano in
e
5.500,00
complessivamente e compensa le spese dei gradi del
giudizio di merito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della
Il consigliere estensore
V sezione civile il 8/10/2013