Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1243 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1072/2007 proposto da:

S.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GUAZZO Domenico, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA Luigi e FAVATA EMILIA,

giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI di Roma del

18/01/07, rep. 72631;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19 84/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 22/12/2005 r.g.n. 1964/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORAVANTE CARLETTI per delega GUAZZO DOMENICO;

udito l’Avvocato EMILIA FAVATA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Salerno, depositato in data 9.12.1997, S.G., premesso di essere affetto da ipoacusia da rumore contratta a causa dell’attività lavorativa svolta, chiedeva che il giudice adito volesse accertare l’esistenza della malattia professionale denunciata e la presenza di postumi permanenti nella misura del 15% o nell’altra misura che, in caso di contestazione, sarebbe stata accertata nel corso del giudizio a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio di cui si avanzava richiesta, condannando l’Inail alla relativa erogazione.

Disposta ed espletata consulenza medico legale, con sentenza in data 15.7 – 9.10.2003 il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda dichiarando il diritto del ricorrente, coerentemente agli esiti della predetta consulenza d’ufficio, alla rendita per malattia professionale nella misura del 49%.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Inail lamentandone la erroneità sotto diversi profili e rilevando tra l’altro il vizio di ultrapetizione dell’impugnata sentenza, sotto il profilo che l’interessato aveva chiesto il riconoscimento di una percentuale di invalidità nella misura del 15%.

La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 31.3.2004 – 22.12.2005, in parziale accoglimento del proposto gravame, pur rilevando la sussistenza della patologia denunciata e l’esistenza di postumi permanenti nella misura del 49% (per come ritenuto dal CTU), condannava l’Inail alla corresponsione di una rendita nella misura del 15%, siccome richiesto con il ricorso introduttivo del giudizio.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione S. G. con un motivo di impugnazione. Resiste con controricorso l’Istituto intimato.

Diritto

Col suddetto ricorso l’assicurato lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 – Insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ravvisato nella sentenza di primo grado un vizio di ultrapetizione in relazione al riconoscimento del diritto ad una rendita nella misura del 49% atteso che, come costantemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, l’incertezza sull’entità del danno giustificava la richiesta di riconoscimento del diritto ad una rendita nella misura indicata del 15% o in altra misura che, in caso di contestazione, sarebbe stata accertata. La formula usata, lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifestava la ragionevole incertezza del ricorrente sull’entità dell’invalidità permanente ed escludeva quindi il ritenuto vizio di ultrapetizione.

Il ricorso è fondato.

Rileva il Collegio che la censura del ricorrente involge l’interpretazione operata dal giudice d’appello in ordine al contenuto e all’ampiezza della domanda; tale interpretazione, siccome più volte ribadito da questa Corte, è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione, dal che consegue che il relativo giudizio comporta l’esame delle argomentazioni esposte dal giudice nella sentenza impugnata a suffragio delle proprie determinazioni.

E deve altresì rilevarsi che, per costante orientamento giurisprudenziale, nell’esercizio di tale potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto (Cass. sez. 2^, 10.2.2010 n. 3012; Cass. sez. lav., 9.9.2008 n. 22893; Cass. sez. lav., 17.9.2007 n. 19331; Cass. sez. lav., 14.3.2006 n. 5491), e può ritenere quindi una domanda implicitamente proposta a condizione che la stessa possa ritenersi comunque tacitamente avanzata e virtualmente contenuta nell’istanza introduttiva del giudizio (Cass. sez. 3^, 15.4.2010 n. 9052; Cass. sez. 3^, 26.10.2009 n. 22595; Cass. sez. 2^, 27.1.2009 n. 1929; Cass. sez. lav., 9.4.2004 n. 6972; Cass. sez. lav., 14.1.2004 n. 387; Cass. sez. lav., 21.1.2002 n. 572).

Ulteriore corollario di tale principio è che, allorchè sia denunciato con ricorso per cassazione siffatta erronea interpretazione, spetta al giudice di legittimità, versandosi in ipotesi di error in procedendo per omessa pronuncia su un capo della domanda che si afferma regolarmente proposto, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni della parti (Cass. sez. 3^, 14.3.2006 n. 5442).

Di siffatti conclamati principi ritiene il Collegio che la Corte territoriale non abbia fatto buon uso. In proposito deve innanzi tutto evidenziarsi che qualora l’attore abbia quantificato la richiesta azionata in una determinata somma (ove si tratti di azione risarcitoria) ovvero in una determinata percentuale (ove si tratti, come nel caso di specie, di riconoscimento di rendita da inabilità permanente), ponendo un preciso limite al contenuto della pretesa azionata, incorre senz’altro nel vizio di ultrapetizione il giudice che riconosca un importo o una percentuale superiore a quella esplicitamente indicata.

Posto questo principio, pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 3^, 28.1.2005 n. 1752; Cass. sez. 3^, 20.3.2006 n. 6096), questa Corte ha avuto modo a più riprese di evidenziare che, per contro, non ricorre il suddetto vizio di ultrapetizione allorchè con la propria domanda il ricorrente faccia riferimento ad una determinata somma (ovvero ad una determinata percentuale), chiedendo comunque il riconoscimento di una somma (o di una percentuale) eventualmente diversa che sarebbe stata accertata in corso di giudizio; in tal caso è stato da questa Corte rilevato che, alla stregua della corretta interpretazione della domanda proposta, con la richiesta così formulata “il ricorrente non ha certamente inteso limitare la liquidazione del danno agli importi richiesti, avendo, invece, semplicemente questi indicato nella misura minima, a suo avviso accoglibile. Infatti, la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma, accompagnata, come nella fattispecie, dalla parola “almeno” o da altre espressioni consimili (V., ad es., l’indicazione della “somma maggiore o minore che risulterà di giustizia”), non può essere considerata – agli effetti dell’art. 112 c.p.c. – come meramente di stile, in quanto essa, lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno, senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche” (Cass. sez. 3^, 24.1.2006 n. 1324).

La ratio ispiratrice di dette pronunce va ravvisata nell’esigenza di procedere ad una corretta interpretazione della domanda giudiziale proposta, dando rilievo a tutti quegli elementi da cui può ragionevolmente trarsi la conclusione che il ricorrente non abbia inteso limitare la propria richiesta alla somma (o alla percentuale) specificata, ma abbia ritenuto di indicare in tale somma (o percentuale) il limite minimo della domanda azionata, manifestando la obiettiva incertezza in ordine alla esatta quantificazione della richiesta azionata.

Orbene, nel caso di specie, la sollecitazione dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, in caso di contestazione, manifesta appunto siffatta incertezza in ordine all’esatta determinazione della percentuale di danno ed ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta determinazione dello stesso.

Nè il riferimento all’ipotesi di contestazione da parte dell’Inail può essere inteso nel senso che l’alternativa formulata non comportava che detta misura potesse essere superiore al 15% ma ipotizzava solo che potesse essere inferiore, atteso che la suddetta richiesta, e sul punto le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale a suffragio dell’interpretazione della domanda dalla predetta fornita si appalesano erronee sotto il profilo della non congruità delle stesse, aveva chiaramente lo scopo di sollecitare, “in caso di contestazione”, la nomina di uno specialista in materia il quale fosse di ausilio al giudice nella soluzione, a tutto campo, della questione controversa, in quanto oggetto di specifica contestazione, e che necessitava il possesso di specifiche conoscenze specialistiche.

Si impone pertanto, in accoglimento del ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (posto che la Corte territoriale, pur accogliendo l’appello proposto dall’Inps, ha rilevato che il S. presentava postumi permanenti nella misura del 49% quali conseguenza della denunciata malattia professionale a decorrere dal 1 aprile 1996, sotto il profilo della insussistenza di “dubbio alcuno che la relazione peritale, sia per quanto attiene alla valutazione della esposizione a rischio sia per quanto riguarda la ritenuta sussistenza di un grado indennizzabile di inabilità permanente, è del tutto esente da errori e non merita, quindi, alcuna censura”), la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con l’accoglimento della domanda proposta dal lavoratore. E pertanto l’Inail va condannato a corrispondere al ricorrente una rendita rapportata al 49% di inabilità lavorativa, con decorrenza dal 1 aprile 1996, oltre accessori da calcolarsi a norma della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6.

In ordine alle spese del giudizio, ritiene il Collegio di dover disporre la totale compensazione delle stesse, con riferimento sia alla fase di merito che al presente giudizio di legittimità, avuto riguardo alla peculiarità della materia ed alla obiettiva controvertibilità della questione dibattuta. Vanno infine poste definitivamente a carico dell’Inail le spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio effettuata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’Inail a corrispondere a S. G. una rendita rapportata al 49% di inabilità lavorativa, con decorrenza dal 1 aprile 1996, oltre accessori da calcolarsi a norma della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio; pone a carico dell’Inail le spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio effettuata.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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