Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12428 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 21/05/2019, dep. 24/06/2020), n.12428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4496/2015 proposto da:

GEA GESTIONI ECOLOGICHE E AMBIENTALI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA,

rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI GIUSEPPE LOCATELLO,

LIDIA BENINCA’;

– ricorrente –

contro

S.E., F.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO SPAGNOLO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA MINOZZI;

– controricorrenti –

e contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 294/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 08/08/2014 R.G.N. 266/2013.

La CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di Trieste con sentenza n. 294 in data 12 giugno – 8 agosto 2014, pronunciando sul gravame interposto da A.G., F.L. e da S.E., in riforma dell’impugnata emessa dal giudice del lavoro di Pordenone il 26 luglio 2012, accertava e dichiarava che l’attore A. aveva diritto all’inquadramento quarto livello dall’ottobre 2002 a tutto il 2005 nonchè dall’aprile 2006 poi al quarto livello B, che l’attore S. aveva diritto all’inquadramento al quarto livello dal dicembre 2002 e dal livello quattro A da giugno 2003 in poi e che l’attore F. aveva diritto all’inquadramento quarto livello dal gennaio 1997 nonchè dal giugno 2003 in poi al quarto livello A. Condannava, di conseguenza, la convenuta GEA S.p.A., appellata costituita in giudizio, al pagamento agli attori delle differenze retributive maturate per effetto dell’accertato superiore inquadramento dal 15 settembre 2002 quanto alla posizione di A., dal 26 maggio 2003 per F. e da quinquennio anteriore alla data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio per S., oltre accessori di legge. Condannava, infine, la società appellata al pagamento delle spese relative ad entrambi gradi del giudizio;

avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la S.p.A. GEA – Gestione Ecologiche ed Ambientali con sede in (OMISSIS), come da atto notificato il 9 febbraio 2015, affidato cinque motivi, cui hanno resistito i soli F.L. ed S.E. mediante controricorso del 19 marzo 2015, rimanendo intimato l’ A..

Soltanto la società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo parte ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 10 -sub livello terzo nonchè livello quarto- e dell’art. 11 del c.c.n.l. per i lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana, in data 31 ottobre 1995, in relazione agli artt. 1362, 1363, 1365 e 2103 c.c.;

con la seconda doglianza alla società ricorrente ha dedotto nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per violazione falsa e applicazione degli artt. 112,324,342 e 434 c.p.c., anche in relazione all’art. 2909 c.c., poichè nulla avevano dedotto gli appellanti in ordine agli altri requisiti ai quali correttamente la sentenza di primo grado aveva fatto riferimento (disponibilità a turni di servizio 24 ore su 24 con variazioni di impiego anche nell’arco della stessa giornata di lavoro unitamente alla imprescindibile idoneità psico-fisica, possesso delle varie previste certificazioni amministrative professionale in ordine alla conduzione di tutti i mezzi di trasporto, raccolta spiazzamento etc. del parco mezzi aziendali per i quali occorreva il necessario possesso della patente di grado C o superiore; rendicontazione giornaliera scritta del servizio; svolgimento di compiti di piccola manutenzione riparativa dei mezzi affidati). In relazione a detti requisiti, nulla essendo stato dedotto degli appellati, era stata eccepita quindi l’inammissibilità del gravame con conseguente formazione di giudicato interno, posto che in difetto dei suddetti requisiti gli interessati, ancorchè in possesso di patente C, non potevano ottenere l’inquadramento nel quarto livello. Tuttavia, la Corte d’Appello non si era pronunciata sull’anzidetta eccezione, in violazione quindi delle succitate disposizioni di legge;

con il terzo motivo parte ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ha denunciato la nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,414,416,342,434 e 436 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c.. La Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare l’impugnazione, così come richiesto dall’appellata, per intervenuta decadenza e preclusione della prova sui fatti costitutivi delle domande, qualora avesse correttamente considerato, in base anche al testo della norma contrattuale sull’inquadramento, che il possesso della patente C non era condizione sufficiente per integrare il diritto al conseguimento del quarto livello. La motivazione al riguardo fornita dalla Corte distrettuale risultava meramente apparente, poichè non spiegava che la guida avrebbe dovuto riguardare tutti i mezzi per i quali i lavoratori necessariamente avrebbero dovuto essere in possesso delle relative autorizzazioni e abilitazione. L’impugnata pronuncia nulla aveva detto in ordine agli altri requisiti, che avrebbero dovuto essere comunque provati dai lavoratori istanti, quali fatti costitutivi delle loro domande di inquadramento del superiore livello;

con il quarto motivo è stato denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti. Gli intimati, infatti, non avevano condotto tutti i mezzi del parco aziendale e, comunque, non avevano allegato nè dimostrato di possedere le necessarie certificazioni amministrative e professionali per farlo. Inoltre, gli intimati non essendo abilitati a condurre, nè avendo effettivamente condotto, tutti i mezzi del parco macchine aziendale, non erano stati sottoposti a visita di idoneità per la turnazione di 24 ore su 24, nè avevano provveduto alla rendicontazione giornaliera del servizio svolto e nemmeno avevano disimpegnato compiti di piccola manutenzione riparativa dei mezzi loro affidati. Il terzo fatto decisivo omesso riguardava l’assegnazione alla guida di tutti i mezzi del pacco aziendale, laddove la sentenza impugnata si era limitata ad osservare la singolarità della adibizione alla guida di detti mezzi “invito domino”. Pure sotto questo profilo la sentenza de qua non poteva dirsi correttamente motivata, muovendo dall’errato presupposto che gli intimati fossero stati occupati nella guida di tutti i mezzi, che invece non avevano mai guidato. Neppure era stato mai chiesto loro di frequentare corsi professionali appositi per conseguire le necessarie certificazioni amministrative e professionali attestanti la capacità di condurre tutti i mezzi di trasporto aziendali In secondo luogo, si era trascurato di considerare -per evidente violazione e falsa applicazione di legge e del contratto collettivo nazionale di lavoro- come già spiegato nel primo motivo, che il diritto al superiore inquadramento derivava soltanto dal verificarsi di quanto previsto dall’art. 11 n. 3 c.c.n.l. 1995 in tema di mutamento di azione. Il fatto costitutivo riguardava nella specie l’assegnazione espressa alla conduzione di tutti i mezzi da parte datoriale e quindi il possesso dell’idonea relativa abilitazione, circostanza tuttavia che non era stata assolutamente allegata, nè dedotta nemmeno a fronte di espressa eccezione formulata con la memoria difensiva di costituzione in prime cure;

con il quinto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione degli artt. 414,416, e 425 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., non essendo state accolte le richieste della società di acquisire informazioni ex art. 425 c.p.c., sul fatto, tra l’altro, che GEA aveva limitato solo a tre dipendenti l’autorizzazione – e la conseguente verifica delle capacità – alla guida di tutti i mezzi della flotta aziendale, nonchè per aver conculcato il diritto della società di dare prova contraria ex art. 425, rispetto a quanto poi dalla stessa sentenza impugnata erroneamente statuito, cioè che le parti contrattuali avevano stabilito che il lavoratore in possesso della patente C ha diritto ad essere inquadrato nel quarto livello a condizioni date, perchè, diversamente – come peraltro riportato nell’esempio del livello 4 – doveva essere inquadrato nel terzo livello come correttamente GEA aveva fatto;

tanto premesso, il ricorso va disatteso per le seguenti ragioni, dovendosi in primo luogo rilevare l’insindacabilità in questa sede, di legittimità, dei motivati accertamenti in punto di fatto operati dalla Corte di merito. Invero, quest’ultima con la sentenza impugnata ha osservato, quanto agli istanti A. e F., che vi era prova del possesso da parte di costoro della patente di categoria C. In merito poi alle tre posizioni, inclusa perciò quella del S., risultava dimostrato come detti ricorrenti avessero condotto automezzi del tipo più disparato, inclusi quelli di classe C (notoriamente gli autocarri di peso superiore a pieno carico oltre 35 q.li), ciò che risultava dalle deposizioni dei testi C.C., B. e FA. ( S. e A. erano stati adibiti alla conduzione di tutti i tipi di automezzi in dotazione all’azienda, mentre il F. era stato adibito alla guida dell’autocompattatore-spazzatrice). Di conseguenza, secondo la Corte di merito, una volta provata l’adibizione alla guida di detti automezzi, sarebbe stato invero singolare se ciò fosse avvenuto “invito domino” e, fatto ancor più grave, senza abilitazione ed in mancanza dei requisiti di idoneità. Quanto poi alla declaratoria di cui al contratto collettivo, la Corte distrettuale ha osservato che il quarto livello competeva ai lavoratori in grado di condurre tutti i mezzi di trasporto, raccolta e spazzamento del parco mezzi aziendale per i quali fosse necessario il possesso di patente di grado C. Nel caso di specie risultavano dimostrati il possesso dell’abilitazione e lo svolgimento dell’attività di condotta, mentre la contrattazione operava una valutazione riferita soltanto all’idoneità a condurre determinati mezzi, senza aver riguardo alla misura, ai tempi e alla frequenza di tali mansioni (“… siano in grado di condurre…”), avendo evidentemente le parti sociali valutato meritevole di considerazione il dato del “saper fare” e così di poter fornire il proprio apporto anche in attività di lavoro più complesse ed implicanti diverse nonchè maggiori conoscenze;

pertanto, non è ravvisabile alcun errore di interpretazione, nei sensi invece prospettati con il primo motivo di ricorso, laddove il c.c.n.l. nell’ambito dei profili e delle funzioni esemplificativi per il 4 livello, indica in particolare i lavoratori in possesso delle previste certificazioni amministrative e professionali, acquisite se necessario con appositi corsi professionali, che siano in grado di condurre tutti i mezzi di trasporto, raccolta e spazzamento etc. del parco mezzi aziendali per i quali sia necessario il possesso della patente C o di grado superiore, circostanze tutte come si è visto insindacabilmente accertate dalla Corte di merito, la cui decisione, peraltro, è l’unica processualmente rilevante, siccome adottata dal giudice di grado superiore e soggetta quindi al mezzo d’impugnazione previsto e disciplinato dall’art. 360 c.p.c.;

non assume valenza dirimente, poi, il fatto che il contratto collettivo si limiti a precisare che lo svolgimento delle anzidette mansioni implica inoltre la completa idoneità fisica debitamente certificata, comprese le turnazioni di servizio 24 ore su 24 e così via, trattandosi appunto di requisiti ed attività accessori di carattere soggettivo e oggettivo inerenti alla posizione ed agli obblighi del lavoratore da inquadrare nell’anzidetto livello e che non differiscono, peraltro, nemmeno in modo significativo da quanto in proposito richiesto per il III livello (lavoratori che svolgono con continuità ed organicità, in maniera contestuale e promiscua, mansioni riferibili a più aree funzionali e che abbiano idoneità fisica a tutte le mansioni, debitamente certificata, possesso della partente di grado B, disponibilità sottoscritta all’atto dell’inquadramento all’effettuazione di tutti i turni di servizio previsti dall’organizzazione aziendale, compresi quei turni che si attuano 24 ore su 24 e alle variazioni d’impiego nell’arco della stessa giornata lavorativa. Tali aree funzionali sono comprensive, oltre che delle mansioni di cui alla declaratoria di 2 livello, anche di quelle relative alla guida e utilizzo di tutti i mezzi conducibili con la patente B a disposizione dell’Azienda… ESEMPI…autista conduttore di automezzi e macchine operatrici per la guida dei quali è richiesta la partente di grado C o superiore). Al riguardo, dunque, le censure mosse con il primo motivo di ricorso (pagg. 3/9) appaiono inconferenti a fronte del dato testuale valorizzato dalla Corte territoriale circa l’idoneità richiesta dalla contrattazione collettiva sul punto (il saper fare), unitamente all’accertamento, in punto di fatto, nel merito circa il possesso di tutte le certificazioni ed abilitazioni occorrenti ed in ordine alla corrispondente adibizione, in concreto, evidentemente da parte datoriale, dei tre appellati alla conduzione di tutti gli automezzi del parco macchine aziendale. Inoltre, la Corte di merito ha considerato anche inverosimile che tutto ciò sia avvenuto invito domino, ossia senza il consenso, ancorchè tacito, da parte della stessa datrice di lavoro (fatto ancor più grave nell’ipotesi che tale desunta adibizione fosse per avventura intervenuta senza abilitazione ed in assenza dei requisiti di idoneità). Del tutto infondato, poi, appare anche il rilievo della mancanza di un puntuale incarico al dipendente, quale ulteriore fatto costitutivo del diritto all’inquadramento superiore, in relazione all’art. 11 del c.c.n.l. 1995 in tema di mutamento di mansioni, laddove diversamente opinando non potrebbe mai trovare pratica applicazione la disciplina, inderogabile, di cui all’art. 2103 c.c. (secondo il testo nella specie ratione temporis applicabile), visto che la norma prevede espressamente la nullità di ogni patto contrario. Ne deriva che l’adibizione, utile ai fini del superiore inquadramento ex cit. art. 2103, può, evidentemente, avvenire anche per fatti concludenti, senza bisogno perciò di un espresso e/o formale incarico, come in effetti appare accertato nel caso di specie qui in esame dalla Corte di merito, esclusivamente competente al riguardo, sicchè sono anche inammissibili, in relazione al vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, le contestazioni fattuali mosse sul punto (la sentenza, però, muove dall’arretato presupposto che gli intimati siano stati occupati nella guida di tutti i mezzi che, per contro, non hanno mai condotto – così a pag. 9 del ricorso per cassazione.

Cfr. Cass. lav. n. 11938 del 7/8/2003: l’attribuzione al lavoratore di una qualifica superiore in relazione all’esercizio di fatto, per un determinato periodo, delle mansioni corrispondenti, ai sensi dell’art. 2103 c.c., non esige che l’assegnazione delle mansioni avvenga mediante un provvedimento formale, essendo sufficiente a tal fine che di fatto detta assegnazione avvenga ad opera del datore di lavoro. V. analogamente Cass. lav. n. 7018 del 27/5/2000, secondo cui l’attribuzione al lavoratore di una qualifica superiore in relazione all’esercizio di fatto, per un determinato periodo, delle mansioni corrispondenti, ai sensi dell’art. 2103 c.c., non esige che l’assegnazione delle mansioni avvenga mediante un provvedimento formale, essendo sufficiente a tal fine che il datore di lavoro, anche mediante un comportamento concludente, manifesti il consenso all’espletamento delle mansioni superiori. Parimenti si è pronunciata questa Corte con la sentenza n. 11710 del 10/11/1995, secondo cui a norma dell’art. 2103 c.c. – come modificato dalla L. 30 maggio 1970, n. 300, art. 13 – applicabile anche agli enti pubblici economici, il diritto alla promozione alla categoria superiore non viene meno per il fatto che, in base a norme regolamentari o convenzionali, l’ente datore di lavoro sia tenuto a ricoprire i posti vacanti mediante concorso. In senso conforme anche Cass. lav. n. 251 del 10/01/2007, tenuto conto che, ove il datore di lavoro abbia natura giuridica privata, le norme che prevedono la selezione interna per le promozioni hanno portata di norme convenzionali di diritto privato, tali da non poter costituire idonea fonte derogatrice rispetto all’art. 2103 c.c.);

le precedenti considerazioni, circa l’infondatezza e l’inammissibilità delle censure formulate con il primo motivo di ricorso, sono evidentemente assorbenti rispetto alle questioni poste con doglianze mosse con il secondo motivo, peraltro senza nemmeno riprodurre ex art. 366 c.p.c., n. 6, la “memoria autorizzata dd. 20.5.2012 – di compendio del primo grado”, rispetto alla quale si assumono carenti allegazioni da parte degli attori – appellanti, sicchè non è possibile neanche verificare ricorrenza dei pretesi errores in procedendo ivi dedotti, peraltro da escludere in base alla complessiva motivazione della sentenza d’appello, che decidendo nel merito sulle reiterate domande dei lavoratori istanti ha in tal modo implicitamente superato anche le questioni poste con la suddetta non meglio indicata memoria del 20 maggio 2012 (non è stato infatti precisato se si sia trattato di autorizzazione ex art. 420 c.p.c., comma 1, ultimo periodo. “Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice”, a fronte degli oneri di precisa contestazione imposti dall’art. 416 c.p.c., ovvero di mere note difensive consentite dal giudicante ai sensi del medesimo art. 420, comma 6, ovvero delle note, anch’esse però di carattere meramente illustrativo, previste dell’art. 429 c.p.c., comma 2.

Per altro verso, cfr. anche Cass. I civ. n. 13425 del 30/06/2016, secondo cui in sede di impugnazione, non rileva nè l’omessa pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, nè l’omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l’eccezione è stata formulata, l’ha implicitamente rigettata. V. analogamente Cass. n. 15843 del 28/07/2015: l’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale. Pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità.

Cass. I civ. n. 17956/2015: la decisione di accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione dell’eccezione d’inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, senza che, in assenza di specifica argomentazioni, sia configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. Parimenti, secondo Cass. II civ. n. 20311 del 4/10/2011, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. In senso analogo v. anche Cass. nn. 16788 del 2006 e 10696 del 2007);

le stesse precedenti argomentazioni valgono anche in relazione alle doglianze formulate con il terzo motivo di ricorso, laddove in pratica si ripropongono le medesime questioni prospettate con le prime due censure, dovendosi quindi escludere i prospettati errores in procedendo, alla stregua delle complessive argomentazioni poste a sostegno della pronuncia di merito, di certo peraltro non inferiori al minimo costituzionale occorrente ex art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. (cfr. sul punto in part. Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014, nonchè successiva conforme giurisprudenza di legittimità in proposito), laddove inoltre del tutto inconferente appare anche il richiamo dell’art. 2697 c.c., norma che disciplina unicamente l’onere probatorio delle parti in ordine a contrapposte pretese, ma non già il libero apprezzamento delle risultanze processuali e probatorie, comunque acquisite agli atti, da parte del giudice di merito, esclusivamente competente al riguardo, valutazioni pertanto insindacabili in sede di legittimità, il cui controllo, come pure è noto, non si estende anche al fondamento, o meno, del ragionamento decisorio del provvedimento impugnato (v. tra le altre Cass. I civ. n. 16526 del 5/8/2016: in tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto.

Parimenti, secondo Cass. sez. 6-5, ordinanza n. 91 del 7/1/2014, il controllo di logicità del giudizio di fatto – nella specie ivi esaminata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il testo previgente allora ratione temporis applicabile, che ammetteva anche la valutazione di una carente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di Cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. In senso conforme, v. altresì Cass. nn. 15489 del 2007 e 5024 del 2012);

è inammissibile anche il quarto motivo, per tutte le considerazioni sopraenunciate riguardo alle prime tre censure, cui di conseguenza si rimanda integralmente per brevità al fine di evitare superflue ripetizioni, non ravvisandosi in sintesi alcun fatto, in senso storico, e decisivo (soprattutto per le ragioni indicate con riferimento alla prima doglianza), di cui sia stato omesso l’esame, mentre le circostanze all’uopo dedotte (v. pagine da 14 a 19 del ricorso per cassazione), attengono più che altro a questioni di diritto inerenti all’applicazione della contrattazione collettiva nel caso di specie, alla corretta portata dell’art. 2103 c.c., ed agli accertamenti in punto di fatto compiuti dalla Corte di merito, da questa giudicati in senso favorevole alle pretese azionate dai lavoratori istanti;

parimenti deve osservarsi, infine, per il quinto e ultimo motivo di ricorso, la cui doglianza non appare per nulla pertinente, in particolare, rispetto alle previsioni dell’art. 425 c.p.c., concernente le richieste di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali, associazioni però neppure indicate dalla parte interessata, contrariamente a quanto invece richiesto sul punto dello stesso art. 425, comma 1, mentre d’altro canto gli ultimi due commi della medesima norma prevedono soltanto il potere (“può”) del giudice di provvedere al riguardo, perciò chiaramente del tutto discrezionale, laddove se ne ravvisi la necessità, attesa per contro nella specie la non controversa formulazione della contrattazione collettiva di riferimento, perciò assolutamente pacifica tra le parti, per quanto concerne le declaratorie del III e IV livello, con relativi profili. Del resto, la possibilità di richiedere informazioni ex cit. art. 425, non è di certo equiparabile ad un vero e proprio mezzo di prova, sicchè appare del tutto fuori luogo l’affermazione della ricorrente circa l’asserito conculcamento del suo diritto a dare prova contraria ex art. 425, tenuto conto per giunta dell’anzidetta omessa indicazione dell’organizzazione sindacale cui la richiesta si sarebbe dovuta rivolgere, nonchè dell’assoluta genericità del riferimento alla limitata autorizzazione a soli tre dipendenti per la guida di tutti i mezzi della flotta aziendale, autorizzazione per contro evidentemente ritenuta dalla Corte di merito in base all’adizione di fatto degli appellanti, attuali intimati, da parte datoriale alla conduzione in concreto di tutti i macchinari in possesso della società. Peraltro, proprio le deduzioni contenute nelle pagine 21 e 22 del ricorso (6.a il negato diritto al 4 livello per il fatto di non aver guidato tutti i mezzi del parco aziendale – 6.b limitazione da parte di GEA solo a tre dipendenti dell’autorizzazione – con conseguente verifica delle capacità – alla guida di tutti i mezzi della flotta aziendale… scelta insindacabile ex art. 41 Cost., frutto di intese a livello sindacale mai disdettate) confermano, ancorchè indirettamente, la corretta applicazione della normativa di riferimento operata nella specie dalla Corte di merito, la quale, nell’accertare in concreto la suddetta adibizione, da parte della stessa datrice di lavoro, presupponendo con ciò pure la positiva verifica dei requisiti e delle capacità professionali, altrimenti inverosimile per la gravità di un tale comportamento, ha tratto le dovute conseguenze a norma della disciplina inderogabile di cui al cit. art. 2103, indipendentemente dalla libertà d’iniziativa economica privata riconosciuta dall’art. 41 Cost., però anche secondo le limitazioni ivi previste unitamente pure alle tutele di cui agli artt. 35 e 36 della stessa Carta, in base altresì alla contrattazione collettiva così come interpretata, però in modo non del tutto difforme da quanto sopra dedotto dalla stessa ricorrente. Invero, sul punto quest’ultima, in definitiva, contestava il diritto ex adverso preteso per il solo fatto che gli attori non avrebbero guidato tutti i mezzi del parco aziendale (però in contrasto con quanto appurato insindacabilmente dalla Corte triestina) a differenza degli altri tre dipendenti, a tale scopo autorizzati dalla stessa datrice di lavoro sulla scorta di non meglio indicate intese raggiunte a livello sindacale;

dunque, il ricorso deve essere respinto, senza alcun regolamento delle spese limitatamente al solo intimato A., per il quale comunque non vi è stata alcuna specifica difesa in suo favore. Per contro, la società, rimasta soccombente, deve rimborsare le spese in favore dei controricorrenti;

infine, stante l’esito integralmente negativo dell’impugnazione qui proposta, ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese relative a questo giudizio, che liquida, in favore dei soli controricorrenti, in complessivi Euro 5000,00, per compensi professionali ed in Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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