Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12421 del 20/05/2010

Cassazione civile sez. II, 20/05/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 20/05/2010), n.12421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11137/2008 proposto da:

D.C.G. C.F. (OMISSIS), F.C. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TEMBIEN

15, presso lo studio dell’avvocato RASTELLO Nicola, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SANT’AGATA DE’ GOTI C.F. (OMISSIS) in persona del

Sindaco pro tempore C.A., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato DE

CURTIS CLAUDIA, rappresentato e difeso dall’avvocato ABBATE Giovanna;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 585/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato NICOLA RASTELLO difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNA ABBATE difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del gravame;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’ing. D.C.G. e l’arch. F.C. agivano nel novembre 1996 contro il Comune di Sant’Agata dei Goti, per il pagamento di competenze professionali relative alla direzione lavori e altre attività connesse alla costruzione di un edificio scolastico. Il 1 marzo 2007 la Corte d’appello di Napoli respingeva il gravame proposto avverso la sentenza del tribunale di Benevento del 27 settembre 2002.

Il tribunale aveva rilevato la nullità del contratto e determinato in circa L. 138 milioni l’indennizzo dovuto ai professionisti; preso atto del pagamento di acconti per importo lievemente superiore, aveva escluso ogni debito del Comune. In sede di appello i due professionisti lamentavano che l’indennizzo era stato parametrato ad una somma determinata dal consulente tecnico, ma era stato ridotto illegittimamente di una somma pari al 60% L. n. 404 del 1977, ex art. 6 e di un altro 20%, ai sensi della L. n. 155 del 1989, art. 4, comma 12 bis. Osservavano inoltre che illegittimamente era stato disposta la compensazione tra le somme pagate e quelle dovute, perchè il Comune avrebbe dovuto agire con altra azione per recuperare gli importi eventualmente accreditati.

La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado, rilevando: a) che l’importo a suo tempo versato dal Comune si riferiva al complesso delle prestazioni effettuate dai professionisti e che il tribunale non aveva effettuato una compensazione tra contrapposti crediti, ma conteggiato dare e avere riferiti all’unico rapporto; b) che correttamente era stata applicata la decurtazione del 20% di cui alle legge del 1989 per le prestazioni in favore di enti pubblici; c) che la liquidazione forfetaria delle spese al 60% era stata esclusa in forza della normativa del 1977, avente portata generale; che non vi era margine per altre liquidazioni, atteso che l’ammontare dell’indennizzo spettante ai professionisti doveva essere liquidato nella minor somma tra la diminuzione patrimoniale subita e l’entità reale dell’arricchimento.

D.C. e F. hanno proposto ricorso per cassazione notificato il 10 aprile 2008, affidandosi a due motivi. Il comune di Sant’Agata dei Goti, costituendosi con controricorso, ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione. Avviata la trattazione con il procedimento in Camera di consiglio, la causa all’adunanza dell’11 marzo 2009 è stata rimessa a pubblica udienza. In prossimità di entrambe le udienze sono state depositate memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo lamenta violazione dell’art. 99 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insegnano le Sezioni Unite che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità’ di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis c.p.c., si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (SU 26020/08; Cass 4008/08). Affinchè il quesito di diritto abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 1, che risulti individuata la discrasia tra la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata, che deve essere enunciato (SU 3519/08). Contrariamente a quanto dedotto in memoria da parte ricorrente, la formulazione del quesito di diritto è necessaria anche nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto può implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., che ha introdotto, anche per l’ipotesi di ricorso in esame, il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte. (SU 23732/07).

Ora tanto il primo motivo che il secondo, il quale denuncia falsa applicazione della L. n. 155 del 1989, art. 4, comma 12, non presentano in alcun punto la formulazione degli indispensabili quesiti di diritto. Neppure la valutazione più meditata effettuata in sede di pubblica udienza, giustificata dalla complessità del caso e dalla consistenza della trattazione scritta consente di sfuggire a questo riscontro.

Analogamente risulta inammissibile il profilo del secondo motivo, con il quale si denunciano tutti i possibili vizi di motivazione relativamente alla determinazione del compenso liquidato dai giudici di merito in favore dei professionisti. Sono invero trattati nel motivo più profili di doglianza e manca l’indicazione del fatto controverso. Nella norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass. 16002/07).

Il secondo motivo ricade quanto alla censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella ipotesi qui descritta e non consente in alcun modo di sfuggire alla conseguente declaratoria di inammissibilità. Mette conto precisare che la rimessione a pubblica udienza non vale ad escludere la possibilità per il Collegio di dichiarare la inammissibilità di un ricorso, non essendo prevista alcuna statuizione definitiva sul punto: la rimessione è pronunciata infatti sul presupposto che per la complessità del caso non sussiste evidenza decisoria nel senso rappresentato dalla relazione ex art. 380 bis c.p.c., ferma la possibilità del Collegio, valutato adeguatamente il caso, di pervenire alle conclusioni già oggetto di valutazione in sede camerale.

Segue da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna di parte soccombente alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010

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