Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12419 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/05/2017, (ud. 28/04/2017, dep.17/05/2017),  n. 12419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5833/2016 proposto da:

CODACONS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9 SC

C – 2^ P. INT. 2-3, presso lo studio dell’avvocato CARLO RIENZI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

08/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia in data 26 maggio 2015, CODACONS chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, intrapreso dall’istante nel giugno 2006, giudizio conclusosi con decreto di perenzione del 20 dicembre 2014, dopo la presentazione di istanza di prelievo in data 15 aprile 2013.

Con decreto del 3 luglio 2015 il consigliere delegato della Corte di Perugia rigettava la domanda. Avverso tale decreto CODACONS proponeva opposizione, che veniva respinta dal collegio della Corte d’Appello di Perugia con decreto dell’8 gennaio 2016.

La Corte d’appello ha confermato il decreto opposto, che aveva negato il paterna d’animo del ricorrente legato alla durata del processo amministrativo e considerato strumentale la proposizione dell’istanza di prelievo rispetto alla domanda ex lege n. 89 del 2001, attesa l’inerzia mostrata da CODACONS nel non evitare la perenzione del processo presupposto. Ha spiegato il collegio della Corte di Perugia che il primo giudice avesse correttamente desunto la natura “anomala” dell’istanza di prelievo del 2013, in quanto effettuata soltanto al fine di instaurare il giudizio di equa riparazione per non ragionevole durata, senza denotare alcun interesse effettivo alla decisione nella causa davanti al TAR Lazio, della quale, infatti, il ricorrente aveva poi lasciato maturare a distanza di pochi mesi la perenzione. Si trattava, quindi, non di un’inammissibilità della domanda di indennizzo ex L. n. 89 del 2001, quanto di un rigetto per difetto di patema d’animo legato alla durata del procedimento, visto che il procedimento amministrativo fin dal 2006 era stato subito cancellato dal ruolo.

Il CODACONS ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso il decreto dell’8 gennaio 2016 ed il Ministero dell’economia e delle finanze resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e dell’art. 6 CEDU, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente richiama la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – sez. 1, 25 febbraio 2016 (ricorsi: 17708/12, 17717/12, 17729/12, 22994/12, caso Olivieri ed altri c. Italia); deduce, quindi, che nel giudizio davanti al TAR Lazio, dopo che era stata fissata l’udienza camerale del 9 novembre 2006 e rinunciata la domanda cautelare, con cancellazione dal ruolo, non era stata tenuta più alcuna udienza fino al decreto di perenzione del 2014, circostanza non addebitabile a CODACONS nè tale da far presumere una sua carenza di paterna d’animo; evidenzia che non si trattava di lite temeraria e che non poteva, quindi, essere negato l’indennizzo.

Il ricorso è infondato.

Non rileva quanto deciso nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – sez. 1, 25 febbraio 2016, non essendo qui questione di irricevibilità della domanda di tutela ai sensi della L. n. 89 del 2001, per mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

La Corte d’Appello di Perugia, nell’ambito dell’apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito (che rimane sindacabile in sede di legittimità non per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, come propone il ricorrente, ma soltanto per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), ha accertato che il CODACONS, dopo aver promosso nel 2006 il giudizio amministrativo davanti al TAR Lazio, e dopo aver rinunciato alla domanda cautelare ed essersi visto cancellare la causa dal ruolo nello stesso anno 2006, non aveva compiuto più alcun atto di procedura, se non l’istanza di prelievo dell’aprile 2013, cui era seguito il decreto di perenzione del 2014. La Corte d’Appello ha quindi tratto il proprio convincimento di insussistenza del danno per disinteresse della parte a coltivare il processo non dalla dichiarazione di perenzione del giudizio (deduzione automatica la cui correttezza, nella disciplina antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 208 del 2015, era stata effettivamente da questa Corte più volte smentita: da ultimo, cfr. Cass. Sez. 6-2, 09/07/2015, n. 14386), quanto dalla valutazione del comportamento processuale del ricorrente, che non avrebbe rivelato, stante la sua assoluta inerzia processuale, costantemente mantenuta sin dall’iniziale pendenza della domanda, alcun interesse all’ottenimento del bene della vita dedotto in lite, di tal che il protrarsi del processo presupposto non è apparso ai giudici di merito idoneo a produrre conseguenze percepite dalla parte come a sè sfavorevoli. In forza di tale apprezzamento di fatto, la Corte d’Appello di Perugia ha quindi negato, nel caso concreto, l’esistenza di un danno non patrimoniale derivante dalla violazione del termine ragionevole di durata del processo svoltosi davanti al TAR Lazio.

Il ricorso va quindi rigettato e le spese del giudizio di cassazione vanno regolate secondo soccombenza nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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