Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12418 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29697-2018 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato LUISA MARRAZZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELA PERIZI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI COSENZA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 32, presso lo studio

dell’avvocato TONINO PRESTA, rappresentato e difeso dall’avvocato

AGOSTINO ROSSELLI;

– controricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE CULTURALE “LE MUSE”, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI CARLO TENUTA;

– controricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1722/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

F.G. evocava in giudizio, in data 11 ottobre 2006, davanti al Tribunale di Cosenza, la locale amministrazione comunale, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla caduta verificatasi il 15 ottobre 2004, sul tratto discendente delle scalinate che congiungono via Alimena con via Montesanto, a causa di una intercapedine creatasi durante i lavori di allestimento del palcoscenico per una manifestazione tenutasi un mese prima. Riteneva responsabile il Comune di Cosenza, sia in quanto proprietario delle scale e relative pertinenze, sia per avere realizzato l’opera necessaria allo svolgimento dello spettacolo. Si costituiva il convenuto, rilevando che l’evento si era verificato per colpa esclusiva della vittima; in ogni caso otteneva di chiamare in causa l’associazione culturale “Le Muse” e T.F., rappresentante di tale associazione, per essere garantito da ogni pretesa. Si costituivano questi ultimi, chiedendo ed ottenendo di chiamare in causa la Milano Assicurazioni S.p.A.;

il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 28 giugno 2013, rigettava la domanda dell’attrice;

avverso tale decisione proponeva appello F.G., ritenendo erroneamente ignorati i fatti provati e per violazione dell’art. 2051 c.c., apparentemente richiamato in premessa dal Tribunale, ma non applicato in concreto. Si costituiva l’associazione culturale, eccependo l’inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e l’infondatezza nel merito. La compagnia Unipol, incorporante la Milano Assicurazioni S.p.A., formulava analoghe difese;

la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 6 ottobre 2017, rigettava l’impugnazione, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite costituite;

avverso tale decisione propone F.G., affidandosi a cinque motivi che illustra con memoria. Resistono con controricorso l’associazione culturale “Le Muse”, in persona del legale rappresentante e T.F. e, con separato controricorso, il Comune di Cosenza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1917 c.c. e artt. 106,115,116,331 e 345 c.p.c., oltre che dei principi fissati in materia di ermeneutica dalla Corte di legittimità. Erroneamente la Corte avrebbe rilevato che la domanda di condanna in solido dell’associazione culturale e del Comune di Cosenza, oltre che dell’assicuratore, sarebbe stata proposta per la prima volta in grado di appello. Secondo la Corte territoriale, l’attrice non aveva esteso in primo grado la domanda nei confronti dell’associazione, mentre l’appellante non avrebbe azione diretta nei confronti dell’assicuratore per la responsabilità civile, non ricorrendo l’ipotesi di assicurazione obbligatoria per la circolazione dei veicoli. Al contrario, in sede di precisazione delle conclusioni (udienza del 13 dicembre 2015), l’attrice avrebbe chiesto l’accoglimento della domanda, mediante applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano “con ogni conseguenza, ivi inclusa la condanna dei convenuti alle spese e competenze di giudizio”. In comparsa conclusionale avrebbe espressamente richiesto di accogliere la domanda, con condanna in solido del Comune di Cosenza, dell’associazione culturale e della Milano Assicurazione S.p.A.. Sotto altro profilo la chiamata in giudizio dell’associazione culturale andrebbe inquadrata come chiamata del terzo corresponsabile, al quale si estende automaticamente la domanda attorea. Inoltre, anche con riferimento all’assicuratore, il giudice di appello avrebbe ignorato il contenuto della comparsa di costituzione e risposta, in appello, dell’associazione culturale, la quale aveva richiesto di essere tenuta indenne, dalla Milano Assicurazioni S.p.A., riguardo ad ogni pretesa;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 2051 c.c., dell’art. 21C.d.S. e del decreto del 10 luglio 2002, oltre che dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. In particolare, la Corte di merito avrebbe disatteso le censure contenute nell’atto di appello riguardo alla mancanza della prova del nesso di causalità. La pericolosità, invece, sarebbe immediatamente desumibile dai fatti accertati in corso di causa, ai quali andrebbe aggiunto l’elemento dell’allestimento del palco nel quale non era segnalata l’esistenza delle intercapedini laterali;

con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2051 c.c., dell’art. 2697c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte non avrebbe considerato che il rapporto di custodia non era oggetto di contestazione e avrebbe dovuto porre la responsabilità a carico del custode sul quale gravava l’onere della colpa esclusiva o concorrente del danneggiato. Tale prova non sarebbe stata fornita perchè le fotografie esaminate dai giudici di merito risalirebbero ad un momento successivo al sinistro, mentre gli altri elementi addotti sarebbero insufficienti;

con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo. La Corte avrebbe errato, anche sotto tale profilo, ritenendo non dimostrato il nesso di causalità, senza esaminare compiutamente gli elementi istruttori che, invece, consentivano di ricostruire l’episodio della caduta dell’attrice nell’intercapedine creata dai lavori, non segnalati, di allestimento del palco;

con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 1227 c.c., e dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità. La corte d’appello non avrebbe specificato quale dei due criteri contenuti nell’art. 1227 c.c., avrebbe applicato, dal momento che, dopo avere condiviso la decisione con la quale il tribunale aveva ricondotto l’evento, in via esclusiva, al comportamento della danneggiata, evocando nella sostanza il comma 1 della disposizione, avrebbe comunque collocato il comportamento della attrice nell’ambito di una responsabilità concorrente e non esclusiva;

il ricorso è infondato. Il secondo e terzo motivo, strettamente connessi, non colgono nel segno, perchè la mancanza di prova del nesso causale si riferisce alla dimostrazione della dinamica e alla riferibilità dell’evento alle caratteristiche della cosa, e non alla riferibilità dell’evento al caso fortuito o al fatto del terzo o – come nel caso di specie – a quello del danneggiato. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ragionevolmente argomentato individuando esclusivamente in tale ultima condotta la causa dell’evento;

il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia da questa Corte, secondo cui, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, va valutata tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento – come nel caso di specie – interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. n. 2478, 2480 e 2482 del 2018 e da ultimo Cass. n. 9315 del 03/04/2019);

il quarto motivo è inammissibile perchè è dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in violazione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, che non consente siffatta censura nell’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di decisione fondata sulle medesime ragioni, inerenti questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata;

il quinto motivo è inammissibile, perchè si traduce in una critica alla motivazione sotto il profilo della presunta contraddittorietà della stessa, apparentemente dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ma non più consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando scevra, come nella specie, dei soli gravissimi vizi rilevanti, come elaborati fin da Cass. Sez. U. 8053 del 2014;

anche a poter prescindere da ciò, il motivo non è specifico, perchè non si confronta con la argomentazione centrale della decisione impugnata (nei termini sopra individuati) e non evidenzia un concreto interesse della parte a prospettare una siffatta censura;

la prima censura, per quanto detto, rimane assorbita, attesa l’infondatezza delle censure oggetto dei successivi motivi e la conseguente irrilevanza della questione dell’estensibilità o meno della domanda risarcitoria, comunque infondata, ai chiamati in causa;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore di ciascuno dei controricorrenti, costituito con separato controricorso e, quindi, in favore dell’associazione culturale “Le Muse” e T.F., costituiti con unico atto e in favore del Comune di Cosenza, che ha depositato separato controricorso. Mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245), va dichiarato che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.T.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso nella Camera di Consiglio della Sesta Terza Sezione-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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