Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12418 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 11/05/2021), n.12418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2179/2020 proposto da:

A.N., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DAMIANO FIORATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CAGLIARI, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 3392/2019 del TRIBUNALE di

CAGLIARI, depositato il 19/11/2019 R.G.N. 2256/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. il Tribunale di Cagliari, con decreto pubblicato il 19 novembre 2019, ha rigettato il ricorso proposto da A.N., cittadino del Bangladesh appartenente alla etnia (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, respinto la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. il Tribunale, dato atto di aver sentito personalmente l’interessato nel corso dell’audizione del 25 luglio 2019 traendone il convincimento si trattasse di “migrante che ha lasciato il proprio paese per un insieme di ragioni, tra le quali l’esigenza di trovare lavoro appare nettamente prevalente”, ha ritenuto che dalle fonti internazionali consultate e specificamente indicate risultasse come “alcuna persecuzione ai danni del popolo (OMISSIS)” venisse consumata nel Paese, di provenienza dell’istante, trattandosi piuttosto di “emarginazione” che “trova adeguata spiegazione nella storia di popolo nomade e nella conseguente difficoltà di omologarsi agli stili di vita della maggioranza della popolazione”; ha anche rilevato che “gli atti descritti dall’interessato come persecutori (la ritorsione subita dopo l’infruttuoso tentativo della madre di curare una malata) non appaiono, sufficientemente caratterizzati nella loro consistenza oggettiva per potersene dedurre una finalità discriminatoria e non, piuttosto, una violenta rappresaglia legata ad uno specifico fatto episodico”; in ordine alla richiesta protezione umanitaria il Tribunale ha premesso che “il ricorrente non versa in alcuna situazione specifica di vulnerabilità, avuto riguardo alle sue condizioni personali ed al suo stato di salute”; per quanto riguarda gli accadimenti in cui il richiedente ha raccontato di essere coinvolto – secondo la Corte – “si tratta di fatti risalenti ad anni fa e non appare verosimile che possa persistere attualmente una volontà ritorsiva, in suo, danno, soprattutto in considerazione del fatto che il suo coinvolgimento non avrebbe trovato origine in nessuna sua condotta individuale ed autonoma”; circa l’integrazione dell’ A., il Tribunale l’ha giudicata “insufficiente, dal momento che non parla la lingua italiana e fuori dallo svolgimento del rapporto di lavoro nulla emerge con riguardo alla familiarità ed ai legami con persone che non appartengono alla cerchia dei suoi connazionali immigrati”; quindi, per il Tribunale sardo che cita, espressamente Cass. n. 4455 del 2018, “all’esito della valutazione comparativa richiesta non appare raggiunto dal ricorrente un livello di integrazione tale che il suo rientro in patria possa configurare in suo danno la perdita di diritti fondamentali acquisiti”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 4 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo denuncia un “error in procedendo”, sostenendo che il “Tribunale sardo, anzichè operare una doverosa ricerca sulla discriminazione di cui sono vittime gli appartenenti alla etnia (OMISSIS) in Bangladesh si lasciava andare a impressioni e giudizi meramente soggettivi sui quali fondava la decisione di rigetto”; il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge perchè il Tribunale “dava per acquisita e accertata l’appartenenza dell’odierno ricorrente all’etnia (OMISSIS)” e “riconosceva la discriminazione, ed emarginazione degli appartamenti alla stessa, tuttavia erroneamente pure in presenza di tele presupposto non prendeva in considerazione l’applicazione della normativa sopra richiamata limitandosi a generici giudizi soggettivi e di valore sulle ritenute usanze degli stessi”; il terzo mezzo denuncia il medesimo errore, ancora sotto forma di violazione o falsa applicazione di legge, con particolare riguardo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), circa l’individuazione del “grave danno” che può essere ravvisato, anche se i responsabili di esso siano “soggetti non statuali”;

2. i primi tre motivi di ricorso, congiuntamente scrutinabili per connessione, risultano inammissibili per come formulati;

essi sono privi di adeguata specificità, risolvendosi in una mera elencazione di norme, senza l’osservanza del fondamentale principio secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa, ad una parte ben specificata della decisione espressa (v., da ultimo, Cass. n. 2959 del 2020; conf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013); in caso contrario, la censura – pur formalmente formulata come vizio di violazione, di norme legge – nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un Sindacato non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

le censure partono poi dall’errato assunto che il provvedimento impugnato avrebbe riconosciuto che gli appartenenti alla etnia (OMISSIS) sarebbero soggetti a “persecuzioni”, mentre i giudici di merito, sulla scorta delle informazioni assunte e specificamente indicate, hanno esplicitamente negato la circostanza e tanto si traduce in un giudizio di fatto non sindacabile in questa sede;

3. con l’ultimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 86 del 1998, art. 5, comma 6, quanto al mancato riconoscimento della protezione umanitaria; si critica la sentenza impugnata per non aver adeguatamente effettuato la valutazione comparativa richiesta da Cass. n. 4455 del 2018, eccependo che l’ A., in caso di rientro in patria, si troverebbe privato “della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, tenuto conto che “ha una occupazione da anni sul suolo italiano e ha imparato la nostra lingua”;

4. il Collegio giudica il motivo fondato;

alla luce dei principi enunciati da questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018; Cass. SS.UU. n. 24960 del 2019), la condizione di vulnerabilità suscettibile di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria può essere desunta dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto dallo straniero in Italia e la situazione soggettiva ed oggettiva in cui questi si verrebbe a trovare in caso di rientro nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”;

il giudice del merito è dunque tenuto ad operare la comparazione in ragione, del proprio dovere di collaborazione istruttoria officiosa, al fine di accertare se con il rimpatrio possa determinarsi, all’attualità, non il mero peggioramento della condizione di vita goduta dallo straniero nel nostro paese, ma, tenuto conto della sua condizione soggettiva ed oggettiva (età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale, ecc.), una compressione dei diritti umani correlati al suo profilo, che lo priverebbe della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale;

tale giudizio comparativo deve riguardare (ove allegata) anche la condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi (Cass. n. 16119 del 2020; v. pure Cass., n. 18443 del 2020);

5. ciò posto, nella specie il Tribunale sardo ha premesso che l’etnia (OMISSIS), popolo nomade cui appartiene il richiedente protezione, si trova in una situazione di “oggettiva emarginazione” in Bangladesh, praticando “lavori, scarsamente remunerativi” in una “condizione di povertà endemica”, riconoscendosi altresì “la oggettiva impossibilità di esercitare alcuni diritti fondamentali, come ad esempio l’elettorato attivo”; il Tribunale, poi, pur ritenendo “insufficiente” l’integrazione in Italia dell’istante, ammette che dispone “di regolare attività lavorativa” ed ha nel nostro Paese “legami” con persone che appartengono alla “cerchia dei suoi connazionali immigrati”; conclude però apoditticamente escludendo che “il rientro in patria possa configurare la perdita di diritti fondamentali acquisiti”;

pertanto il Collegio giudicante non ha adeguatamente comparato la situazione personale vulnerabile di chi, per appartenenza ad un identificato gruppo sociale, ha vissuto nel Paese di origine e nel quale dovrebbe essere rimpatriato una condizione di “emarginazione”, di “povertà endemica”, di “impieghi scarsamente remunerativi”, di “oggettiva impossibilità di esercitare alcuni diritti fondamentali”, rispetto a quella vissuta in Italia dove ha un lavoro regolare e legami con connazionali, senza quindi verificare concretamente se risultasse un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti ambientali nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di ogni vita che possa dirsi degna di essere vissuta;

6. conclusivamente il provvedimento impugnato deve essere cassato in relazione al motivo accolto – dichiarati inammissibili gli altri – con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si atterrà ai principi innanzi enunciati nel rivalutare la richiesta di protezione per motivi umanitari, all’esito provvedendo anche sulle spese.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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