Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12411 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 11/05/2021), n.12411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18221/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

C.E., C.A., Z.C., eredi di C.R.;

– intimati –

e contro

C.S., erede di C.R., rappresentato e difeso

dall’avv. Pietro Viola e dall’avv. Alessandra Pavese, domiciliato in

Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione n. 23, n. 143/23/13,

pronunciata il 15/02/2013, depositata il 31/05/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 febbraio

2021 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la causa verte sull’impugnazione, da parte degli eredi di C.R., di un avviso di accertamento – fondato sul processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di finanza all’esito di una verifica fiscale nei confronti dell’impresa individuale del contribuente (deceduto nelle more del giudizio), operante nel settore dell’allevamento ittico -che recuperava a tassazione IRPEF, per il 1997, maggiore imponibile, accertato induttivamente sulla base dei costi per l’impiego di manodopera “in nero”. Invece, è estraneo al presente giudizio, perchè coperto da giudicato interno (vedi infra), altro contestuale avviso per omesse ritenute alla fonte sulle retribuzioni della manodopera irregolare;

2. la CTP di Lecce rigettò la domanda, con sentenza (n. 187/2006) riformata dalla CTR pugliese, la quale, con la pronuncia indicata in epigrafe, nel contraddittorio dell’ufficio, ha accolto l’appello degli eredi del contribuente, in base alle seguenti considerazioni: (i) l’accertamento non teneva conto del fatto che il soggetto d’imposta, nel corso degli anni, aveva optato per il regime forfetario, sicchè l’Amministrazione finanziaria, che nello stesso arco temporale aveva sempre “riconosciuto e accettato” le dichiarazioni dal medesimo presentate, in caso di accertamento fiscale, avrebbe dovuto determinare il reddito imponibile utilizzando il procedimento forfetario e non quello ordinario; (ii) non ricorrevano i presupposti, di fatto e di diritto, per sostenere che l’obbligato svolgesse attività commerciale in quanto (cfr. pag. 6 della sentenza) “Pescare in un bacino assegnato e vendere il pescato è certamente attività ittica che gode di un regime particolare, sia per la determinazione del volume di affari sia per la determinazione del reddito d’esercizio”;

3. l’Agenzia ricorre per la cassazione con un motivo, C.S. resiste con controricorso, mentre gli altri eredi di C.R. sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso (“Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 29 e 78, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 nr 3 c.p.c.”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’attività e la vendita di prodotti ittici, da parte di un’impresa, rilevi di per sè come attività agricola, essendo l’A.F. onerata della prova della natura commerciale dell’attività, senza considerare che la mera opzione, del titolare dell’impresa, esercente l’attività di pesca in acque dolci, non comporta l’automatico riconoscimento della natura agricola dell’attività svolta, essendo onere del contribuente, e non dell’Amministrazione, dimostrare che effettivamente detta attività non produce reddito d’impresa perchè viene esercitata entro determinati limiti di reddito e l’allevamento si svolge con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno su cui insiste la produzione. Da un’altra angolazione giuridica, l’Agenzia rimarca che l’opzione della parte privata per il regime forfetario era priva di rilievo, trattandosi, nella specie, di un controllo sostanziale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, con il quale l’ufficio aveva verificato l’irregolarità di quanto risultante dalla dichiarazione, e, quindi, la mancanza dei requisiti per fruire del regime tributario agevolato, con conseguente (ri)determinazione dei maggiori ricavi, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. c), in ragione dell’incidenza della manodopera “in nero”;

1.1. il motivo è fondato;

è indirizzo consueto di questa Sezione tributaria (ex aliis: Cass. 18/01/2018, n. 1126, n. 1127, n. 1128, n. 1129 che, in continuità con Cass. n. 22582/2006, Cass. n. 11273/2003, hanno consolidato l’orientamento di Cass. 20/10/2001, n. 13476), cui va data continuità, in mancanza di argomenti che ne attestino la fallacia, quello secondo cui “La regola – stabilita dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 78, comma 4 (attuale art. 56 t.u.i.r., comma 5) – che consente al contribuente che esercita un’attività di allevamento di animali di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per il regime ordinario di determinazione del reddito di impresa, così rendendo facoltativo il regime forfetario, altrimenti operante, vale esclusivamente nelle ipotesi, fisiologiche, di corrispondenza tra reddito dichiarato e reddito effettivo dell’impresa di allevamento, non anche allorchè sussistono i presupposti per l’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2.”;

tale canone giuridico si attaglia alla fattispecie concreta, caratterizzata dall’accertamento del reddito, con metodo induttivo, sulla base dei costi della manodopera “in nero” (quale dato di fatto acclarato mercè il giudicato interno di cui supra), sicchè la CTR è incorsa in un primo errore di diritto là dove, sulla base dell’asserita (ma in vero inesistente) indefettibilità della determinazione forfetaria del reddito, ha negato, in linea di principio, la ricostruzione induttiva del reddito di impresa;

l’altro errore della CTR è reso palese dal tenore letterale della (succitata) perentoria affermazione secondo cui “Pescare in un bacino assegnato e vendere il pescato è certamente attività ittica che gode di un regime particolare”, a compendio dello snodo argomentativo, del pari censurabile, in base al quale l’ufficio non avrebbe provato che l’attività dell’imprenditore era commerciale e non agricola; tali asserzioni collidono con il consolidato orientamento nomofilattico (riguardante una vicenda analoga a quella in esame), che il Collegio condivide, per il quale “In tema di imposte sui redditi, l’attività di allevamento del bestiame non può essere ricondotta alla previsione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 29, comma 2, lett. b), (attuale art. 32 t.u.i.r., comma 2, lett. b)), e va considerata industriale o commerciale, qualora l’allevamento non sia effettuato con mangimi ottenuti, almeno per un quarto di quelli necessari per l’alimentazione del bestiame, dai terreni dell’azienda. Ne consegue che, in tal caso, ai sensi del citato D.P.R. n. 917, art. 78, il reddito eccedente ha natura di reddito d’impresa e l’imprenditore ha l’obbligo – la cui inottemperanza determina l’inattendibilità della contabilità aziendale e pone a carico del contribuente l’onere di provare i fatti impeditivi o estintivi dell’accertamento effettuato dall’Ufficio – di tenere il registro di carico e scarico degli animali allevati, distintamente per specie e ciclo di allevamento, con l’indicazione degli incrementi e decrementi verificatisi per qualsiasi carico nel periodo d’imposta.” (Cass. 14/02/2014, n. 3487; conf., ex multis: Cass. 23/12/2019, n. 34408);

la CTR, discostandosi da questi principi, ha disconosciuto la fondatezza della pretesa erariale senza considerare che la legittima determinazione del reddito, con metodo induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, anzichè forfetariamente, ai sensi dell’art. 78 t.u.i.r., esclude in toto l’applicabilità di quest’ultima disposizione (cfr., in senso conforme: Cass. n. 13476/2001, cit., in motivazione);

2. all’accoglimento dell’unico motivo di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice d’appello, in diversa composizione, per il nuovo esame della causa e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia (sezione staccata di Lecce), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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