Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12410 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2446-2019 proposto da:

T.P., P.M., in proprio e nella qualità di

genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore

T.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA 52, presso

lo studio dell’avvocato GUIDO CECINELLI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato EMANUELE SPINAS;

– ricorrenti –

contro

AIG EUROPE SA, già AIG EUROPE LIMITED, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIANCARLO MARINIELLO;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, e CIRCOLO DIDATTICO

(OMISSIS), in persona del Dirigente Scolastico pro tempore,

domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 513/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

pubblicata il 4/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2009 i coniugi T.P. e P.M., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore T.L., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cagliari, il Ministero della Pubblica Istruzione e il Circolo Didattico (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dal minore a seguito del sinistro verificatosi in data 9 febbraio 2008. Dedussero gli attori che, nella predetta data, mentre nell’aula scolastica era in corso la ricreazione, T.L. si era chinato sotto il proprio banco per raccogliere una penna quando, all’improvviso, un compagno di classe, inciampando, gli era finito addosso, facendogli battere il volto sul pavimento e causandogli la frattura di tre denti.

A seguito di tale sinistro, il minore era stato sottoposto a dolorose e costose cure e aveva riportato un danno permanente, il cui ammontare era stato individuato dal consulente tecnico di parte tra 0,5 e 1 punto percentuale di decremento.

Costituitosi in giudizio, il Ministero chiese ed ottenne l’autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice e, nel merito, contestò la responsabilità del personale scolastico, essendosi il sinistro verificato in modo repentino, fortuito e imprevedibile.

La società chiamata in causa, Chartis Europe S.A., si costituì e aderì alle difese del convenuto.

Si costituì, altresì, in giudizio il Circolo Didattico ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, chiese il rigetto della domanda.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 1750/2016, pubblicata il 3 giugno 2016, dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Circolo didattico, tenuto conto che “l’attribuzione agli istituti scolastici ed ai circoli didattici di personalità giuridica, disposta dal D. P. R 8 marzo 1999 n. 275, ha conferito loro autonomia gestionale ed amministrativa, ma non li ha privati della qualità di organi dello Stato” e rigettò la domanda, essendo emerso dall’istruttoria che “non vi fosse alcuna peculiare situazione di pericolo, fosse stata adeguatamente predisposta una idonea vigilanza con due insegnanti all’interno della classe ed il danno sia derivato da un gesto repentino dell’alunno, non prevedibile nè evitabile neppure a mezzo di una presenza costante e attenta”.

Avverso la sentenza di primo grado T.P. e P.M., in proprio e nella dedotta qualità, proposero gravame del quale il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di seguito indicato anche M.I.U.R., per brevità) e il Circolo Didattico (OMISSIS) nonchè la Aig Europe Limited (già Chartis Europe S.A.) chiesero il rigetto.

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 513/2018, pubblicata il 4 giugno 2018, aderendo alle conclusioni del Tribunale, rigettò l’impugnazione, condannò gli appellanti al pagamento delle spese di quel grado e diede atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 e succ. mod., art. 13, comma 1-quater, comportanti l’obbligo del versamento, da parte degli appellati, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Avverso la sentenza della Corte di merito T.P. e P.M., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore T.L., hanno proposto ricorso per cassazione basato su cinque motivi, cui hanno resistito con distinti controricorsi, da una parte il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Circolo Didattico (OMISSIS) e, dall’altra, Aig Europe S.A. (già Aig Europe Limited).

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va rilevato che effettivamente, come eccepito dalla società assicuratrice, il ricorso risulta proposto dai genitori anche nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio T.L., il quale, però, ben prima della proposizione del ricorso e dell’emissione della sentenza impugnata, è divenuto maggiorenne, come si evince dalla data di nascita dello stesso indicata a p. 1 del ricorso.

Pertanto, il ricorso proposto nella predetta qualità dai genitori è inammissibile (Cass., sez. jn. 28/07/2005, n. 15783; Cass. 21/03/2011, n. 6346; Cass., 4/04/2013, n. 8194; Cass. 26/07/2013, n. 18128; Cass., ord., 27/09/2018, n. 23189).

1.1. Si precisa che non va disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di T.L., in quanto litisconsorte necessario, essendo già stato parte del giudizio nei precedenti gradi di merito in relazione ai riflessi patrimoniali e non patrimoniali della

domanda a lui riferibili, sia pure per effetto della rappresentanza/ legale dei medesimi genitori, e risultando l’impugnazione così proposta inidonea a determinare la presenza del figlio nella fase d(r legittimità, atteso che il gravame appare prima facie infondato, rivelandosi, perciò, l’integrazione del contraddittorio attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. sez. un., 23/09/2013, n. 21670; v. anche Cass., sez. un., ord., 22/03/2010, n. 6826; Cass., 17/06/2013, n. 15106; Cass., ord., 21/05/2018, n. 12515).

3. Si osserva, inoltre, che il ricorso nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Circolo Didattico (OMISSIS) risulta notificato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato, sicchè tale notifica è nulla (Cass., 0.I., 17/10/2014, n. 22079; Cass., 0.I., 15/01/2015, n. 608); tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, dalla quale non vi è motivo di discostarsi in questa sede, qualora il ricorso per cassazione sia così notificato, il vizio della notifica è sanato, con efficacia ex tunc, dalla costituzione in giudizio del destinatario del ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo; peraltro, poichè la sanatoria è contestuale alla costituzione del resistente, deve ritenersi tempestiva la notifica del controricorso ancorchè intervenuta oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., non avendo tale termine iniziato il suo decorso in ragione dell’inefficacia della notifica dell’atto introduttivo (Cass. 28/07/1997, n. 7033; Cass. 12/03/2015, n. 4977); ne consegue che nel caso all’esame il controricorso depositato dalla difesa erariale, alla luce del principio appena richiamata, deve ritenersi tempestivo.

4. Passando all’esame del ricorso di T.P. e P.M., in proprio, va anzitutto evidenziato che la Corte di appello ha ribadito il difetto di legittimazione passiva del Circolo Didattico di (OMISSIS), nei confronti del quale la parte appellante aveva proposto impugnazione senza contestare la statuizione del primo giudice in ordine alla carenza di titolarità passiva di detto Circolo; e tale statuizione della Corte di merito non è stata specificamente censurata in questa sede, con conseguente inammissibilità di ogni doglianza nei confronti di detta parte.

5. Con il primo motivo, lamentando “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2048 c.c.” i ricorrenti asseriscono che, nel caso all’esame, occorrerebbe far riferimento all’art. 2048 c.c., in base al quale l’onere probatorio del danneggiato sarebbe meno gravoso rispetto a quello previsto in caso di applicazione dell’art. 2043 c.c. e si esaurirebbe nella dimostrazione che il fatto si è verificato nel tempo in cui il minore è rimasto affidato alla scuola, mentre spetterebbe all’insegnante dimostrare di non aver potuto impedire l’evento. Sostengono che, nella specie, le decisioni di merito avrebbero “cercato di intaccare l’orientamento prevalente della giurisprudenza caratterizzato da un estremo rigore nel valutare la condotta dell’insegnante, il quale”, non avrebbe, però, fornito la prova liberatoria.

6. Con il secondo motivo, deducendo “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.”, i ricorrenti sostengono di aver assolto all’onere probatorio posto a loro carico mentre, di converso, l’istituto scolastico o per lo stesso il M.I.U.R. non avrebbero fornito alcuna prova liberatoria.

7. Entrambi i motivi sopra richiamati – che, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, avendo la Corte di merito, con giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, ritenuto l’assoluta repentinità e imprevedibilità dell’evento nonchè l’insussistenza di una condotta negligente delle insegnanti e della mancata adozione di misure idonee di preventive di tipo organizzativo o disciplinare (v. sentenza impugnata p. 6 e 7) (arg. ex Cass. 13/11/2015, n. 23202).

Inoltre, la denuncia della violazione delle norme di cui agli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. non risulta articolata secondo i

criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass., ord., 28/02/2018, n. 4699; Cass. 29/05/2018, n. 13395; Cass., ord., 23/10/2018, n. 26769; v. anche Cass., sez. un., 5/08/2016, n. 16598, in particolare p. 14 della motivazione) e lamenta, in sostanza, soltanto un’erronea valutazione delle prove.

Si evidenzia, infatti, al riguardo, che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune Piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “Valutazione delle prove” (v. in particolare Cass. n. 11292 del 2016, già cit.).

8. Con il terzo motivo, denunciando “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata sostenendo che la Corte di merito non avrebbe preso in considerazione tutti i motivi di appello.

8.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stati compiutamente riportati, nel ricorso, nella loro integralità, tutti i motivi di appello, dei quali si lamenta l’omessa valutazione, sì da consentire alla Corte di apprezzare l’interesse alla formulazione della censura, di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n. 17049).

9. Con il quarto motivo si lamenta “l’insufficiente motivazione circa l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”.

10. Con il quinto motivo si deduce “nullità della sentenza impugnata per insufficienza della motivazione”.

10.1. Entrambi i predetti motivi, relativi a censure motivazionali e che, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili per più ragioni.

10.2. Si evidenzia, anzitutto, che, pur essendo le doglianze di cui al quinto mezzo state veicolate dai ricorrenti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non ex n. 5 della stessa norma, come indicato, invece, in relazione al quarto motivo, le stesse comunque lamentano una insufficiente motivazione (secondo il precedente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), motivazione che nella specie c’è, non è meramente apparente ed è conforme ai canoni di cui all’art. 132 c.p.c..

10.3. Tanto precisato, le censure all’esame, riconducibili nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono inammissibili ex art. 348-ter c.p.c., u.c..

Ed invero, nell’ipotesi di cd. “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (si pone in rilievo che, nella specie, l’atto di citazione in appello è del 6 dicembre 2016, come indicato nel ricorso, v. p. 3), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3 ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 10/03/2014, n. 5528).

Nel caso in esame tale onere non risulta essere stato assolto dai ricorrenti.

10.4 Inoltre, si rileva che i motivi in parola sono comunque inammissibili anche perchè i ricorrenti, lungi dal proporre delle doglianze che rispettino il paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del codice di rito, ripropongono, come peraltro chiaramente indicato già nella rubrica dei mezzi all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 12/10/2017, n. 23940).

10.5. Ed infatti, alla luce del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stat omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

10.6. Infine, si osserva che con entrambi i motivi in scrutinio si tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

11. Il ricorso proposto dai ricorrenti in proprio va, pertanto, rigettato.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

13. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dai ricorrenti nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio T.L., rigetta il ricorso dal ricorrenti in proprio e li condanna, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Circolo Didattico (OMISSIS) in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, e, in favore di AIG Europe S.A., in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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