Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1241 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13317/2019 proposto da:

A.J., difeso dall’avv. Mario Novelli, domiciliato presso la I

sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato in data 12.03.2019, ha rigettato la domanda di A.J., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo riconducibili i fatti narrati agli atti persecutori previsti dalla Convenzione di Ginevra (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dalla regione del Punjab del Pakistan in quanto ingiustamente accusato della morte del fratello dell’uomo cui aveva chiesto un prestito per poter curare il proprio padre e con cui aveva un’officina in società).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione A.J. affidandolo a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Lamenta il ricorrente che, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di Ancona e dalla Commissione Territoriale, le sue dichiarazioni sono coerenti, genuine e plausibili. E’ stata, inoltre, omessa ogni valutazione sulla situazione generale del paese d’origine, e, in particolare, del Punjab, regione di provenienza del richiedente.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c).

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado ha sottovalutato la vicenda del ricorrente, non considerando che, in caso di rimpatrio, in relazione all’accusa di omicidio, lo stesso correrebbe il rischio di subire una condanna a morte o di un danno grave.

Inoltre, il giudice di merito ha fornito una visione del tutto parziale della realtà del Punjab del Pakistan, zona caratterizzata da una violenza generalizzata e indiscriminata, con conseguente sussistenza dei presupposti per la protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Ancona ha effettuato solo una parziale ed insufficiente istruttoria sulla situazione del Pakistan e, in particolare del Punjab.

4. I primi tre motivi, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni connesse, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va preliminarmente osservato che la decisione del giudice di merito di non concedere lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria per la fattispecie ex art. 14, lett. a) e b) è stata sorretta da due autonome “rationes decidendo”.

In primo luogo, infatti, il racconto del richiedente – secondo cui lo stesso sarebbe fuggito dal Pakistan per il timore di essere arrestato per l’omicidio del fratello del proprio socio – non è stato ritenuto credibile dal Tribunale di Ancona. Ciò sul rilievo che il ricorrente non era stato in grado di circostanziare la propria vicenda (nomi, tempo luogo), nè di fornire dettagli in ordine sia al rapporto con l’uomo cui aveva chiesto il prestito – in un primo tempo qualificato come datore di lavoro e poi come socio – sia alla lite, all’esito della quale era partito il colpo di pistola che aveva ucciso il fratello di quest’uomo.

In secondo luogo, il giudice di merito ha osservato che, anche a voler ritenere credibile il racconto, in ogni caso, costituiva elemento ostativo al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria la circostanza che il richiedente avesse commesso un grave reato all’estero, integrandosi quindi una clausola di esclusione della protezione internazionale.

Quanto alla prima “ratio decidendi” (inattendibilità del racconto del richiedente), va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate – come sopra già illustrate – le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile.

D’altra parte, il ricorrente, si è limitato ad invocare apoditticamente la credibilità del proprio racconto senza neppure dedurre la eventuale grave anomalia motivazione del decreto impugnato, come detto, unico vizio censurabile in sede di legittimità.

Orbene, l’accertata inammissibilità delle censure mosse alla prima “ratio decidendi” rende inammissibili le censure svolte anche alla seconda.

In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni” tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza – ma analogo ragionamento può svolgersi anche per l’inammissibilità – delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).

Quanto alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va osservato che il giudice di merito, ha accertato, alla luce di fonti internazionali qualificate ed aggiornate (Rapporto EASO agosto 2017, sito dell’UNHCR nel maggio 2017), l’insussistenza nella regione del Punjab del Pakisitan della dedotta situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato.

Tale valutazione di fatto, in quanto di esclusiva competenza del giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente si appalesano come di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Evidenzia il ricorrente di essere meritevole della protezione umanitaria in ragione dello stato di insicurezza della zona del Punjab in Pakistan ed in relazione al suo percorso di integrazione nel paese di accoglienza.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, non ha minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione di insicurezza alla propria condizione personale ed ha svolto mere censure di merito alla precisa affermazione del Tribunale di Ancona secondo cui lo stesso sarebbe comunque in grado, in caso di rimpatrio, di soddisfare i bisogni e le ineludibili esigenze di vita personale.

Infine, il richiedente si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione, non considerando che tale elemento, secondo il costante insegnamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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