Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1241 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 21/01/2020), n.1241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29315-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2940/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 10/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza n. 2940/17/2016, depositata il 10.08.2016 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sez. Staccata di Catania, con la quale, confermando la decisione del giudice tributario di primo grado, era riconosciuto a S.A. il diritto al rimborso nella misura del 90% delle imposte versate negli anni 1990/1992, in applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, regolante la definizione agevolata dei rapporti fiscali dei residenti delle province di Siracusa, Ragusa e Catania, colpite dal sisma del 13 e del 16 dicembre 1990, così annullando il silenzio rifiuto opposto dalla Amministrazione.

Ha riferito che il contenzioso traeva origine dalla richiesta di rimborso delle imposte già versate dal S. e dall’impugnazione del silenzio – rifiuto opposto dalla Agenzia. Con sentenza n. 198/04/2012 la Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa aveva accolto la domanda del contribuente e, con la sentenza ora impugnata, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello dell’Ufficio.

L’Agenzia censura la sentenza con un unico motivo, dolendosi della violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso del 90% delle imposte versate dal contribuente negli anni 1990/1992, residente nella provincia di Catania interessata dal sisma del 1990, ma non lavoratore dipendente, bensì lavoratore autonomo.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale decisione.

Il contribuente, cui risulta telematicamente tempestivamente notificato l’atto di impugnazione, non si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il motivo è fondato e trova accoglimento.

Deve ribadirsi che con principio ormai consolidato questa Corte ha affermato che in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10% del dovuto; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato a medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post (Cass., sent. 20641/2007; 9577/2012; 4291/2018).

Tuttavia questo orientamento trova applicazione al contribuente che eserciti attività di lavoro dipendente, non anche all’esercente attività d’impresa o al lavoratore autonomo, quale pacificamente è il S., sicchè occorreva verificare la compatibilità della agevolazione con la qualità del contribuente.

A tal fine va premesso che la Commissione UE, con la decisione n. C-5549 final del 14/08/2015, che il giudice nazionale deve attuare anche mediante disapplicazione di norme contrastanti, ha stabilito all’art. 1 che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90 e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, Par. 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”.

E’ fatta salva l’ipotesi che si tratti di un “aiuto individuale” che “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti cd. de minimis (p. 2 dec. cit.), o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione del Reg. (CE) n. 994 del 1998, art. 1” (sull’applicazione del Trattato, artt. 92 e 93 – ora 87 e 88 – a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali), “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (p. 3 dec. cit.).

Ciò chiarito, nell’alveo applicativo dei principi elaborati dalla giurisprudenza e dalle decisioni Eurocomunitarie è inclusa non solo l’impresa, ma anche il professionista lavoratore autonomo. Sul punto questa Corte, già con riguardo agli interventi della Corte di Giustizia (sent. del 17/07/2008, in causa C-132/06, che aveva rilevato l’incompatibilità delle disposizioni di cui alla L. n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, del quale ne alterava il principio di neutralità fiscale), aveva affermato che in tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del dicembre 1990, a seguito dell’intervento della Commissione UE con la decisione del 14 agosto 2015, C (2015) 5549, non è applicabile ai soggetti che esplicano attività di “impresa comunitaria”, rispetto alla quale rileva esclusivamente lo svolgimento di attività economica volta a fornire beni o servizi, essendo invece irrilevante l’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette), sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo, soggetto di diritto privato o pubblico), rilevando esclusivamente lo svolgimento di una attività economica volta a fornire beni o servizi (Cass., ord. n. 29905/2017).

L’equivalenza dell’attività del libero professionista a quella d’impresa trovava riscontri in molteplici precedenti Eurocomunitari, consentendo di affermare che ciò “si raccorda sia con la normativa fiscale Europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (Direttiva UE, n. 2006/112/CE, artt. 9 e 51; conf. Direttiva UE, n. 77/388/CE, art. 4), sia con la normativa Europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi” (Direttiva UE, n. 2004/18/CE, art. 1, p.8)”. La nozione era recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final, 5 134, della Commissione UE, che infatti puntualmente afferma che “i soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese” ciò significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia)”.

In conclusione l’attività esercitata dal lavoratore autonomo deve essere considerata alla stregua dell’attività d’impresa ai fini della materia agevolativa considerata.

Ovviamente, come ancora chiarito dalla Commissione, “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio individuale è in linea con il regolamento de minimis applicabile.”.

A tal fine, partendo dal quadro precettivo ed interpretativo così sintetizzato, occorre sempre accertare che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (p.p. 2 e 3 della citata decisione), tenendo conto che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (cfr. Cass. n. 22377/2017; n. 11228/2011) e, in difetto, valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la decisione della Commissione UE del 14/08/2015, C(2015) 5549 final, fanno ritenere comunque compatibile gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, p. 2, lett. b), del TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (p. 150, lett. b)), verificando che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa (nel caso di specie dal singolo lavoratore autonomo) in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (p. 136), che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: cfr. p. 148 della decisione della Commissione).

Inoltre, ai fini della corretta applicazione del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato, anche quale aiuto de minimis (Cass. n. 14465/2017).

Peraltro, tenendo conto che l’onere della prova è a carico del contribuente che invoca il beneficio, occorre applicare il principio secondo cui deve essere consentita l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. Cass., n. 22377/2017; n. 5224/1998).

E’ palese che la commissione regionale, riconoscendo tout court al S. il rimborso invocato, non ha tenuto conto dei principi sopra esposti.

Considerato che:

Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente Commissione Regionale della Sicilia, che in diversa composizione, oltre che sulle spese processuali, procederà ad un nuovo esame per verificare se spettino o meno al contribuente le agevolazioni previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, conformandosi ai principi di diritto somministrati e alla luce della decisione n. C-5549 final del 14/08/2015 della Commissione UE.

P.Q.M.

La Corte cassa la decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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