Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1241 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2019, (ud. 10/10/2018, dep. 17/01/2019), n.1241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8109-2017 proposto da:

P.D. domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO

PERRELLA in virtù di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1102/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.D. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cassino l’ex coniuge R.M., al fine di procedere allo scioglimento della comunione in passato esistente tra le parti sugli immobili ubicati in Cassino e Vallerotonda, con la condanna altresì alla restituzione delle somme indebitamente prelevate dalla convenuta, nonchè al pagamento di un’indennità per l’uso esclusivo dell’immobile un tempo adibito a casa coniugale.

La convenuta si costituiva in giudizio, e nell’opporsi alla domanda, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attore alla restituzione delle somme a sua volta prelevate dal conto corrente bancario cointestato, alla condanna ad un’indennità per il godimento esclusivo dell’altro bene immobile comune ed al pagamento dei ratei di mantenimento posti dal Tribunale a carico dell’attore in sede di separazione.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza del 29 settembre 2009 dichiarava sciolta la comunione ritenendo i beni non comodamente divisibili, e riconosceva un credito in favore della convenuta di Euro 4.777,23 e di Euro 13.500,00.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1102 del 19/2/2016, in parziale riforma della sentenza gravata, annullava il riconoscimento del credito in favore dell’appellata di Euro 4.777,23, confermando per il resto la decisione di prime cure.

Quanto alla denuncia circa la mancanza di motivazione della sentenza di primo grado in merito alla richiesta di rinnovo della CTU, i giudici di appello rilevavano che la consulenza d’ufficio aveva in realtà dato ampiamente conto delle circostanze sulle quali si fondavano i rilievi dell’attore, che erano a loro volta rappresentati da presunzioni soggettive legate ad asseriti errori di misurazione delle superfici dei due immobili.

In realtà, proseguiva la sentenza d’appello, il consulente d’ufficio aveva tenuto conto dell’effettiva consistenza dei cespiti, mentre quanto alla contestazione della stima, i valori suggeriti dall’ausiliario d’ufficio corrispondevano a quelli pubblicati dall’Agenzia del Territorio di Frosinone.

Quanto alla critica concernente la mancata condanna della convenuta al rimborso per la fruizione esclusiva del bene in Cassino, la sentenza d’appello osservava che non era stata fornita la prova del fatto che effettivamente la convenuta avesse iniziato a godere del bene in maniera esclusiva senza più dover provvedere anche ai figli non più coabitanti (e quindi non autosufficienti), essendo emerso che anche nel 2006 il Tribunale aveva confermato l’obbligo di mantenimento dei figli Ro. e G. a carico del padre, mancando altresì la prova che la convenuta avesse abitato da sola la ex casa coniugale. Era invece ritenuto parzialmente fondato il terzo motivo di appello nella parte in cui l’attore era stato condannato al pagamento delle somme dovute a titolo di assegno di mantenimento, in quanto ciò rappresentava un’indebita duplicazione di un titolo giudiziale già emesso a favore della R., laddove la contestazione in ordine alla legittimità della condanna alla restituzione delle somme che l’attore avrebbe indebitamente prelevato dal conto corrente comune, era inammissibile per difetto di specificità del motivo di appello ex art. 342 c.p.c.

Infine, quanto alla doglianza concernente il mancato esperimento della prova richiesta dall’attore, e finalizzata a dimostrare la sottrazione di ingenti somme da parte della convenuta, la Corte distrettuale ne riteneva l’inammissibilità, in quanto a fronte della motivazione del tribunale, che aveva rilevato che lo stesso attore non aveva fornito alcuna indicazione in merito al deposito dal quale il prelievo sarebbe stato indebitamente effettuato, l’appellante insisteva nella sua richiesta di ammissione della prova senza peritarsi di supplire a tale segnalata carenza.

Il motivo di appello non evidenziava ove si fosse annidato l’errore di valutazione commesso dal giudice di primo grado e non dimostrava in che modo la decisione sarebbe stata diversa, ove il Tribunale avesse dato ingresso alla prova di cui si lamentava la mancata ammissione.

P.D. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di tre motivi.

R.M. non ha svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le partii nonchè l’errata decisione in ordine alla richiesta di rinnovazione.

Si assume che la sentenza di appello ha disatteso la richiesta di rinnovare la CTU reputando che le contestazioni mosse dall’appellante non fossero condivisibili, e ciò sebbene fosse stata evidenziata l’esistenza di errori in ordine alla valutazione della consistenza degli immobili, alla loro misurazione ed alla mancata risposta in merito alle consistenze bancarie.

Si reitera in questa sede la critica alla valutazione ed alla stima degli immobili, ritenendosi che l’omessa valutazione degli elementi fattuali addotti per evidenziare la necessità del rinnovo della CTU impone la cassazione della sentenza.

Il motivo è privo di fondamento.

In primo luogo deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, il quale, anche nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, aveva ribadito che in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 17693/2013; conf. Cass. n. 22799/2017).

Nel caso di specie, peraltro i giudici di appello avevano fornito logica ed adeguata motivazione al fine di evidenziare le ragioni per le quali si reputava superfluo il rinnovo delle operazioni peritali.

Va altresì evidenziato che i fatti di cui sarebbe stata omessa la disamina da parte dei giudici di appello in realtà coincidono con le osservazioni critiche già mosse in grado di appello all’operato del Cu, e sulle quali la sentenza gravata ha avuto modo di diffondersi, onde rilevarne l’irrilevanza ai fini della dedotta erroneità delle conclusioni dell’ausiliario d’ufficio, sicchè va ribadita la insussistenza del dedotto vizio, anche alla luce di quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, che nella sentenza n. 8054/2014 hanno altresì sottolineato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie.

La decisione di appello ha mostrato di avere valutato i vari elementi idonei a concorrere alla complessiva determinazione del valore dei beni comuni, ritenendo corretta quella offerta dall’ausiliario, manifestandosi quindi insussistente la ricorrenza di un’omessa valutazione di uno degli elementi, che unitamente ad altri possono concorrere alla stima, ove il giudizio complessivo del giudice conforti quello dell’ausiliario, e ciò sebbene la motivazione non dia puntuale contezza di ognuna delle osservazioni delle parti.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito all’affermazione di insussistenza di un credito del ricorrente per il godimento esclusivo dell’immobile in Cassino da parte dell’ex coniuge.

Si sostiene che erroneamente si è ritenuto che non fosse stata offerta la prova del godimento esclusivo della ex casa familiare da parte della R. in assenza dei figli ormai divenuti autosufficienti e residenti altrove.

A tal fine si richiamano altri atti processuali dai quali si ricaverebbe la dimostrazione del trasferimento altrove dei figli, a tutela dei quali venne inizialmente disposta l’assegnazione della casa familiare.

Il motivo è infondato.

Ed, invero, in disparte la considerazione secondo cui in punto di diritto deve ritenersi, diversamente da quanto opinato dal giudice di appello, che, in presenza di un provvedimento che disponga l’assegnazione della casa familiare, il diritto del comproprietario non assegnatario a ricevere un corrispettivo per il godimento esclusivo necessiti della preventiva revoca del provvedimento giudiziale che abbia disposto in ordine al godimento (cfr. in tal senso, quanto meno per implicito, Cass. n. 5156/2012), in primo luogo la critica del ricorrente non si confronta con l’affermazione della Corte d’appello secondo cui sarebbe stato necessario provare, non solo la non coabitazione dei figli non autosufficienti, ma anche la circostanza che la R. non dovesse più provvedere al loro mantenimento, ed in secondo luogo si risolve nella sollecitazione a questa Corte ad un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, in difformità da quanto invece compiuto dal giudice di merito, cui la legge riserva tale compito.

La sentenza gravata ha, infatti, ritenuto che dal complesso delle risultanze istruttorie non fosse possibile ricavare la prova di quando la convenuta avesse iniziato ad abitare da sola la ex casa coniugale, dovendosi a tal fine richiamare quanto sopra esposto, in ordine alla non deducibilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato nel 2012, dell’omesso esame di determinati elementi istruttori, ove il fatto storico (nella specie l’occupazione esclusiva del bene in assenza di figli) sia stato comunque apprezzato in sentenza (e ciò anche a tacere del difetto di specificità del motivo che omette di riprodurre il contenuto degli atti che non sarebbero stati valutati, in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Il terzo motivo di ricorso denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonchè l’error in procedendo in ragione del mancato espletamento del mezzo di prova richiesto dal ricorrente.

In particolare, il giudice di appello avrebbe confermato la mancata ammissione dell’interrogatorio formale della convenuta, finalizzato ad accertare la sottrazione di somme dai depositi bancari in comunione legale da parte della ex moglie. Il motivo, oltre a non confrontarsi con quanto asserito in sentenza, e che cioè anche ove ammesso il mezzo istruttorio, non avrebbe in ogni caso fornito la pur minima indicazione di quale fosse il deposito bancario interessato dal prelievo asseritamente compiuto dalla controparte, risulta evidentemente formulato in violazione del principio di specificità, avendo la parte omesso di riportare in ricorso il contenuto dei capitoli di prova oggetto dell’interrogatorio formale, omissione questa che impedisce alla Corte di poter apprezzare la sua decisività e di riscontrare quindi la fondatezza della censura (cfr. Cass. n. 5043/2009; Cass. n. 19985/2017).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso che l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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