Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12407 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1049-2019 proposto da:

A.- S. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE

PRATELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, già INA ASSITALIA SPA, in persona dei

Procuratori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 951/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2003 il Ministero della Difesa convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ancona, la Ditta A. e S. S.r.l. (ora indicata, v. ricorso, come A.- S. S.r.l) al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni consistiti nelle spese sostenute per il recupero e la custodia di una motovedetta e quelle necessarie per rimetterla in efficienza, motovedetta che era stata affidata alle riparazioni della predetta società ed era affondata mentre si trovava nel porto canale dove si stavano eseguendo i lavori.

Si costituì la convenuta chiedendo il rigetto della domanda proposta e chiamando in causa l’Assitalia S.p.a. che, costituendosi a sua volta, chiese il rigetto della domanda e contestò l’operatività della garanzia.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 952/2012, accolse, per quanto di ragione, la domanda proposta dal Ministero della Difesa nei confronti della convenuta e, per l’effetto, condannò quest’ultima a versare all’attore la somma di Euro 73.981,60, oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata in base agli indici ISTAT dal 18/03/2008 fino alla data di quella sentenza ed oltre interessi legali dalla data da ultimo indicata al saldo; condannò la convenuta a rifondere all’attore le spese di lite; condannò la terza chiamata Assitalia S.p.a. a tenere indenne la convenuta di quanto la stessa era tenuta a versare all’attore a titolo di risarcimento danni e spese in base a quella sentenza; condannò la società terza chiamata a rifondere alla convenuta le spese di lite; pose le spese della c.t.u. definitivamente a carico della convenuta e della terza chiamata, in solido, e, nei rapporti interni, in misura del 50% ciascuna.

Avverso la sentenza Ina Assitalia S.p.a. propose impugnazione.

Si costituì la Ditta A. e S. S.r.l., che contestò l’appello, chiedendone il rigetto, e propose, a sua volta, appello incidentale condizionato, chiedendo, nell’ipotesi in cui fosse stato accolto l’appello principale, di rigettare la domanda risarcitoria avanzata in primo grado o, in subordine, di riconoscere il concorso colposo del Ministero della Difesa nella causazione del danno.

Si costituì in secondo grado anche ii Ministero della Difesa chiedendo il rigetto dell’appello,

La Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 951/2018, pubblicata il 18 giugno 2018, rigettò l’appello incidentale; accolse parzialmente l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò infondata la richiesta di garanzia avanzata dalla A. e S. S.r.l. ed escluse l’obbligo dell’Ina Assitalia S.p.a. a tenere indenne l’assicurata per i danni causati; compensò le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio tra la A. e S. S.r.l. e l’Ina Assitalia S.p.a.; condannò la A. e S. S.r.l. al pagamento, in favore del Ministero, delle spese di lite del grado di appello; confermò nel resto la sentenza impugnata.

Avverso la sentenza della Corte di merito A.- S. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi, cui hanno resistito, con distinti controricorsi, Generali Italia S.p.a., già INA Assitalia S.p.a., conferitaria del ramo di azienda assicurativo Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali S.p.a., e il Ministero della Difesa.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nello specifico per violazione e/o errata e/o falsa applicazione del disposto degli artt. 1176 e 1224 c.c.”, la società ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito, nel rigettare l’appello incidentale proposto, ha ravvisato, “ancorandosi” al dettato normativo di cui all’art. 1176 c.c., la sua responsabilità per l’affondamento del natante, ritenendo che i suoi tecnici avrebbero dovuto, una volta rimossi i collettori di scarico al fine della riparazione, ripristinare la situazione quo ante, ovvero, in concreto, chiudere i collettori di scarico per evitare infiltrazioni di acqua marina.

Sostiene la ricorrente che, in tal modo, la Corte territoriale avrebbe falsamente applicato al caso di specie la norma richiamata, che, a parere della medesima ricorrente, non dilaterebbe i compiti cui è tenuto il debitore al fine di adempiere puntualmente, ma rappresenterebbe unicamente una chiave di interpretativa per il giudicante, nel caso in cui sia chiamato a valutare la portata dell’inadempimento; l’art. 1176 c.c. non imporrebbe al contraente un ulteriore e non qualificato dovere di diligenza ma, con riferimento alla figura media del buon padre di famiglia, offrirebbe all’interprete un criterio generale per valutare la condotta dell’obbligato nell’adempiere o nel non adempiere le obbligazioni da lui assunte. Ad avviso della ricorrente, secondo il disposto normativo degli artt. 1176 e 1224 c.c., il prestatore d’opera, per adempiere esattamente l’obbligo assunto, deve eseguire l’opus a regola d’arte e secondo gli accordi intervenuti e deve compiere tutte quelle attività ed opere che, secondo il principio di buona fede e l’ordinaria diligenza dell’homo eiusdem condicionis ac professionis sono funzionali al raggiungimento del risultato voluto, salvo il caso di una pattuizione dettagliata e completa dell’attività da svolgere.

Assume la ricorrente che, nella specie, il rapporto contrattuale con il Comando Carabinieri di Pesaro concerneva un’obbligazione specifica e dettagliata, ovvero la sola asportazione e riparazione dei motori del natante, attività che avrebbe dovuto essere eseguita parzialmente sull’imbarcazione, per quanto riguardava la prima fase, e nell’officina della ditta, per quanto ineriva alla seconda fase. Pertanto, essendo l’obbligazione in parola circoscritta a tali precise attività, la disponibilità dell’imbarcazione era tornata, una volta rimossi i propulsori, immediatamente in capo alla Compagnia Carabinieri di Pesaro, che avrebbe, quindi, potuto disporre del natante a sua volontà esclusiva, perfino “tirandolo a secco piuttosto che lasciandolo nel porto”.

Sostiene la ricorrente che, essendo, nella specie, l’obbligazione assunta unicamente quella di rimuovere i motori dall’imbarcazione e quindi ripararli presso la sua officina e non essendo risultati, dall’istruttoria espletata, danni strettamente conseguenti alla rimozione dei propulsori nè danni concernenti la loro riparazione, la Corte avrebbe violato il disposto di cui agli artt. 1176 e 2224 c.c., nell’affermare che la chiusura dei collettori di scarico del natante fosse parte dell’obbligazione dalla medesima assunta, in quanto la diligenza dell’adempimento avrebbe potuto essere rapportata solo all’obbligazione dedotta e non avrebbe potuto ricomprendere ulteriori interminati gravami.

1.1. Il motivo è infondato.

Nell’adempimento dell’obbligazione il debitore deve usare la diligenza media (che è sempre tale, sia con riferimento a quella del buon padre di famiglia richiesta in generale nelle prestazioni comuni e regolata dall’art. 1176 c.c., comma 1., sia con riferimento a quella professionale o imprenditoriale, disciplinata dall’art. 1176 c.p.c., comma 2, che è, infatti, pur sempre diligenza media, anche se riferita alla categoria professionale o imprenditoriale cui il debitore appartiene o dovrebbe appartenere nell’assumere l’obbligazione). Va poi evidenziato che tale diligenza costituisce, secondo autorevole e condivisibile dottrina, non solo criterio fondamentale di determinazione della prestazione obbligatoria ma anche criterio di responsabilità.

L’art. 1176 c.c. detta, quindi, una clausola generale che fissa un criterio di valutazione, per un verso, obiettivo e, per altro verso relativo, perchè l’indagine del giudice, in caso di contrasto, deve essere condotta con riferimento al singolo caso di specie, variando la portata della diligenza a seconda delle diverse situazioni, e ciò anche nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale (o imprenditoriale) (v., a tale ultimo riguardo, Cass. 31/07/2002, n. 11382).

Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la diligenza esigibile dal professionista o dall’imprenditore, nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle loro attività, è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione a loro richiesta (Cass. 25/09/2012, n. 16254) e che incorre in responsabilità il debitore che, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’attività esercitata, mantenga una condotta non conforme alla diligenza dovuta in relazione alle circostanze concrete del caso, con adeguato sforzo tecnico e con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari o utili all’adempimento della prestazione dovuta e al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonchè ad evitare possibili eventi dannosi (Cass. 15/02/2007, n. 3462; Cass. 31/05/2006, n. 12995).

Nella specie, non risulta sussistente la denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in quanto la Corte di merito ha correttamente applicato le norme richiamate, attenendosi ai principi sopra menzionati, che vanno ribaditi in questa sede, e ha operato, quindi, una ricostruzione sull’estensione degli obblighi anche ad attività consequenziali, procedendo ad una individuazione in fatto delle stesse, con valutazione non censurabile in sede di legittimità.

2. Il secondo motivo. è così rubricato: “ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nello specifico omesso esame del fatto che il Comando dei Carabinieri non si sia attivato post affondamento al fine di contenere i danni al natante, ai sensi dell’art. 1227 c.c., e del correlato quantum risarcitorio da danno patrimoniale, oggetto di discussione tra le parti”.

La società ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe totalmente omesso di analizzare il comportamento del Comando dei Carabinieri a seguito dell’affondamento, comportamento che la stessa A.- S. S.r.l. avrebbe denunciato in quanto avrebbe aggravato le condizioni del natante e, in particolare, ne avrebbe determinato un deterioramento, sicchè i costi per la messa in sesto della motovedetta – come sostenuto dal C.T.U. – sarebbero passati da una stima di Euro 35.000,00, se effettuati subito dopo l’affondamento, ad oltre Euro 80.000,00, a seguito dell’incuria durata anni. Segnatamente la ricorrente denuncia che la Corte di merito non avrebbe provveduto a valutare le prove documentali in atti, essenziali ai fini della decisione, omettendo di valutare l’inerzia colposa del Comando dei Carabinieri di Pesaro e il correlato aggravamento dei danni all’imbarcazione, danni dei quali la ricorrente stessa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., non dovrebbe essere chiamata al ristoro, anche qualora sia riconosciuta responsabile del primo evento dannoso.

2.1. Il motivo è infondato, in quanto, contrariamente a quanto rappresentato dalla ricorrente, la Corte di merito (v. p. 7 e 8 della sentenza impugnata) ha considerato anche il comportamento del Comando dei Carabinieri di Pesaro e la dedotta inerzia, espressamente ritenendoli irrilevanti ai fini della configurabilità, nel caso all’esame, dell’invocato concorso del fatto colposo del danneggiato che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., limita (comma 1) o esclude (comma 2) il diritto al risarcimento del danno. Si osserva, peraltro, che questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, che va ribadito in questa sede, che l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, – cui si riferisce specificamente il motivo all’esame e che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore (o il danneggiato) avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza – integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta – come nel caso all’esame – da motivazione (Cass. 5/07/2007, n. 15231).

3. Con il terzo motivo, rubricato “ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e o falsa applicazione di norme di diritto, nello specifico per violazione e/o errata applicazione dell’art. 17 delle condizioni che regolano l’assicurazione INA ASSITALIA SPA e dell’art. 1917 c.c.”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha accolto l’appello proposto dalla società assicuratrice avverso il capo della sentenza di primo grado con cui era stata riconosciutala piena valenza della copertura assicurativa.

Sostiene la ricorrente che il ragionamento esegetico seguito dalla Corte di merito al riguardo costituirebbe “una esplicita violazione del disposto dell’art. 17 del contratto di assicurazione intercorrente tra la deducente ed INA ASSITALIA SPA, nonchè dell’art. 1917 c.c., secondo il quale l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta in contratto”. Deduce la ricorrente, richiamando anche una pronuncia di questa Corte, che il momento rilevante ai fini della copertura assicurativa non sarebbe quello della verificazione dell’evento dannoso, bensì quello in cui si sarebbero verificate le concause che avrebbero poi portato alla produzione del sinistro da indennizzare. Orbene, ad avviso della A.- S. S.r.l., in base alla ricostruzione operata dalla Corte territoriale, la ricorrente sarebbe responsabile in quanto, al momento della rimozione dei motori, non avrebbe chiuso adeguatamente i collettori di scarico dell’imbarcazione, collettori attraverso cui sarebbe entrata l’acqua marina che avrebbe danneggiato il natante.

Seguendo tale ricostruzione, a parere della società ricorrente, il momento genetico del danno dovrebbe corrispondere al frangente in cui la medesima ha asportato i motori, cioè al momento in cui essa aveva la detenzione dell’imbarcazione, sicchè, ai sensi dell’art. 17 del contratto di assicurazione in questione, la società assicuratrice sarebbe tenuta a manlevare la ricorrente da ogni pregiudizio conseguente alla detenzione a qualsiasi titolo di quest’ultima sul bene danneggiato, e, conseguentemente, la Corte di merito avrebbe violato e/o falsamente applicato l’art. 1917 c.c..

3.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo stato riportato, nello stesso, il tenore letterale della clausola di cui all’art. 17 del contratto di assicurazione nè essendo state fornite puntuali indicazioni necessarie all’individuazione del documento in cui tale clausola è contenuta, con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente a tale documentazione, come pervenuta presso questa Corte, al fine di renderne possibile l’esame, e neppure essendone stati precisati la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e le modalità e i tempi della sua produzione o acquisizione nel giudizio di merito (Cass., ord., 23/03/2010, n. 6937; Cass., sez. un., ord., 25/03/2010, n. 7161; Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469).

3.2. Tanto impedisce, peraltro, di verificare la sussumibilità di tale clausola nell’ambito della richiamata norma dell’art. 1917 c.c..

3.3. Inoltre, con riferimento alla censurata interpretazione della clausola contrattuale, si evidenzia che la ricorrente non ha provveduto neppure a specificare quali regole dell’interpretazione legale sarebbero state disattese dalla Corte di merito, pur avendo questa Corte di legittimità già avuto modo di precisare che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e s.s.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9/10/2012, n. 17168; Cass., ord., 15/11/2017, n. 27136). Questa Corte ha pure ripetutamente chiarito che per sottrarsi a sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 17/03/2014, n. 6125; Cass. 20/11/2009, n. 24539; Cass. 22/02/2007, n. 4178).

4. Va disattesa l’istanza volta alla ricostruzione del fascicolo di primo grado formulata dalla ricorrente (v. p. 29 del ricorso), risultando, alla luce di quanto sopra evidenziato, irrilevante tale ricostruzione ai fini del decidere.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della società ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente gìudizìo di legittimità, che liquida, in favore della società controricorrente, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e, in favore del Ministero controricorrente, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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