Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12403 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 11/05/2021), n.12403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 3884 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

P.B., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

ricorso, dall’Avv. Maria Grazia Castauro ed elettivamente

domiciliato in Roma, Via Marcello Prestinari, 13 presso lo studio

dell’Avv. Paola Ramadori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3569/64/15 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia depositata il 10.8.2015;

udita nella camera di consiglio del 28.1.2021 la relazione svolta dal

consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 3569/64/15 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha esposto, in punto di fatto, che il contribuente, titolare di farmacia, ha impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Brescia un avviso di accertamento relativo all’anno 2009 con determinazione di maggiori redditi imponibili a fini IVA e maggiori imposte e sanzioni.

L’accertamento si è basato su quanto emerso nel corso di indagini di Polizia Giudiziaria svolte nei confronti del pensionato Pa.Ti. dalle quali è risultato che il ricorrente, grazie all’intermediazione dell’indagato, ha illegalmente importato medicinali.

Esperito negativamente il tentativo di mediazione, anche in ragione di pronuncia del medesimo giudice di primo grado favorevole all’Amministrazione per annualità diverse da quelle per le quali si procede in questa sede, la Commissione tributaria provinciale ha rigettato il ricorso.

La CTR ha respinto l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado.

Ha evidenziato l’esito negativo del diverso giudizio svoltosi davanti ai giudici tributari per le pretese tributarie dell’Amministrazione relative agli anni precedenti, mettendo altresì in evidenza la diversità tra l’oggetto del processo penale (nel corso del quale il Pa. è stato assolto dal reato di cui all’art. 443 c.p.) da quello tributario.

In ordine alla fondatezza dell’accertamento opposto, ha segnalato che la stessa è risultata provata, in fatto, dalle annotazioni presenti su un’agenda sequestrata a casa del pensionato; agenda nella quale risultavano annotati accanto al nominativo ” P.”, gli importi del materiale acquistato.

La circostanza è stata anche confermata dalle dichiarazioni dello stesso Pa..

A parere della CTR tali elementi costituivano presunzioni “gravi precise e concordanti” ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 idonee a fornire “puntuale ed esaustiva motivazione degli atti impugnati”.

I giudici di appello hanno ritenuto infondata la tesi difensiva basata, fra l’altro sulla mancata conoscenza del Pa. da parte delle collaboratrici del contribuente e sulla circostanza che i Carabinieri, all’esito di verifiche effettuate a campione sui medicinali ad effetto stupefacente e sulle modalità di conservazione dei farmaci, non avessero contestato alcunchè.

L’esistenza di una regolare contabilità e la possibilità di effettuare acquisti regolari presso altri fornitori sono state ritenute circostanze tali da non escludere l’esistenza di negoziazioni “in nero”.

Le spese sono state poste a carico del contribuente che propone ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi.

Resiste l’Agenzia con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Gli elementi valorizzati in sentenza (annotazioni dell’agenza) non sono sufficienti a reggere la motivazione e, comunque, contrastano con altre risultanze istruttorie emerse nel corso del procedimento.

2. Il secondo motivo ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si fonda sull’utilizzazione, in chiave probatoria, delle dichiarazioni del Pa. nonostante il divieto di prova testimoniale che informa il processo tributario.

3. Il terzo motivo contiene la censura di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per non avere pronunciato sull’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che è stato motivato, a sua volta, con il mero richiamo degli elementi emersi dalle indagini di polizia tributaria.

4. Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non essersi pronunciata la CTR sull’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 sollevata per mancata allegazione degli atti istruttori riguardanti l’indagine penale.

5. Il quinto motivo riguarda la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in quanto la CTR ha ritenuto inconferente la sentenza di assoluzione n. 209/2013 del Tribunale di Brescia, nonostante l’avviso di accertamento impugnato si sia fondato solo sulle indagini svolte nell’ambito di quel procedimento penale.

6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

In primo luogo lo è con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., la quale, come già ripetutamente affermato da questa Corte, potrebbe essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorchè ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (ex multis, in tal senso, Cass. sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785, p. 4.1, e, da ultimo, 13 febbraio 2020, n. 3541).

Nel caso in esame, sotto il profilo della censura delle norme codicistiche citate, il contribuente lamenta l’insufficienza, ai fini della prova della correttezza del ricalcolo del reddito imponibile, degli elementi indicati dalla CTR come dotati di valore indiziario.

Si è, quindi, al di fuori del parametro di censurabilità delineato dalla giurisprudenza sopra riportata alla quale si presta totale adesione.

Nel caso di specie, la CTR ha ritenuto di assegnare valore presuntivo sia alla documentazione rinvenuta presso terzi, che alle dichiarazioni rese da colui che aveva redatto la documentazione.

E’ generalmente consentito che l’Amministrazione, nel procedere ad un accertamento fiscale, fondi il proprio operato sulla base di documentazione acquisita presso terzi e di dati appresi da terzi, spettando, in tal caso, sul contribuente la prova della infondatezza della pretesa tributaria (tra le molte si veda Cass. sez. 5, 16 settembre 2016, n. 18232).

Nè appare accoglibile il profilo di contestazione che attiene al mancato accoglimento delle tesi difensive addotte per contrastare le risultanze di quelle presunzioni.

Sul punto la sentenza è fornita di una motivazione logica e sufficiente.

Ed è proprio laddove la critica si concentra sulla “congruità” e “logicità” della motivazione (termini espressamente riportati a pag. 25 del ricorso) che si manifesta un ulteriore profilo di inammissibilità del gravame.

in realtà, con il motivo in questione, a fronte della statuizione della sentenza impugnata dietro, la deduzione della violazione di parametri di legge (ossia degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)), se ne scherma un’altra che aggredisce la motivazione in ordine agli elementi riportati in ricorso; deduzione, che è inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è sottoposta, ratione temporis, l’impugnazione della sentenza in questione, depositata il 10 agosto 2015.

L’intera seconda parte del motivo, infatti, si concentra sull’esercizio scorretto del potere di valutazione del materiale probatorio da parte del giudicante attraverso argomentazioni tese a dimostrare, non già la falsa applicazione delle norme asseritamente violate, quanto un difetto motivazionale che risiede nell’affermata inidoneità delle prove offerte dal contribuente a superare la presunzione posta a base dell’accertamento fiscale.

A tale proposito è sufficiente rilevare che il motivo (laddove contiene censure motivazionali ed a prescindere dalla qualificazione data dalla parte nella rubrica) deve qualificarsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sul punto si ricorda il fondamentale arresto con cui è stato precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose altre conformi successive).

7. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Con esso il contribuente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e dell’art. 2729 c.c. per avere errato i giudici di merito nel fare assurgere a rango di prova la dichiarazione resa dal Pa. in sede di indagini preliminari quando costui ha dichiarato che il nominativo ” P.” indicato sull’agenda si riferiva alla “farmacia” del sig. P..

Tuttavia, nel valutare la prova dichiarativa, la CTR non ha violato, in alcun modo, la norma indicata atteso che essa preclude di fondare la decisione tributaria esclusivamente su quel tipo di prova, non di utilizzarla quale elemento indiziario unitamente all’ulteriore materiale istruttorio.

E’ infatti ammessa la produzione di dichiarazioni di terzi sia da parte del contribuente che dell’Amministrazione.

Sul punto si richiama Cass. sez. 6-5, 16 marzo 2018, n. 6616 secondo cui “nel giudizio tributario, anche il contribuente, come l’Amministrazione finanziaria, ha la possibilità di introdurre dichiarazioni scritte rese da terzi, aventi valenza indiziaria in proprio favore, in conformità ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU, stante l’irrogazione, nell’ambito dello stesso, di sanzioni assimilabili a quelle penali”.

Tuttavia il valore probatorio delle dichiarazioni non è in alcun modo assimilabile a quello della prova testimoniale “pura” in quanto verrebbe sostanzialmente vanificata la previsione contenuta nell’art. 7, comma 4, sopra citato.

In merito Cass. sez. 6-5, 19 novembre 2018, n. 29757 ha precisato, infatti, che “nel processo tributario il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 non osta alla produzione sia da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in ragione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost., del contribuente, di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale che assumono valenza indiziaria sul piano probatorio. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha ritenuto insufficiente ad integrare la prova contraria richiesta al contribuente la sola dichiarazione scritta della madre, in assenza di ulteriori elementi).

In termini Cass. sez. 5, 12 aprile 2013, n. 8987.

Pertanto, qualora il giudice di merito valuti la prova testimoniale acquisita attraverso la dichiarazione scritta unitamente al residuo materiale istruttorio e non faccia assurgere tale dichiarazione ad unico elemento fondate la decisione, non viola in alcun modo la norma.

8. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente e presentano plurimi profili di inammissibilità.

Si tratta di censure ricondotte al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che non potevano essere formulate in ragione del divieto posto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Ed infatti “nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse”.

Si tratta di orientamento consolidato di questa Corte (Cass. sez. 2, 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. sez. 1, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. sez. L, 6 agosto 2019, n. 20994) che va qui condiviso e ribadito.

Nella specie il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce che, piuttosto, in base a quanto riportato in ricorso (pagg. 11 – 12 e 18 – 20) risultano essere fondate sulla identica ricostruzione di fatto.

A ciò deve aggiungersi che con nessuno dei motivi indicati si prospetta l’omessa motivazione su un “fatto storico” ma (terzo e quarto motivo) l’omessa decisione su alcune eccezioni formulate sin dall’impugnazione avverso l’avviso di accertamento e (quinto motivo) l’omessa motivazione su un elemento istruttorio sul quale, peraltro, entrambe le decisioni di merito hanno formulato un identico giudizio di irrilevanza.

Ne deriva che il ricorso deve essere complessivamente rigettato essendo prive di fondamento anche le argomentazioni difensive precisate con la memoria difensiva.

La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sopportate dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 1.400,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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