Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12401 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/05/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 09/05/2019), n.12401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18857/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.V., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al controricorso, dagli avv.ti Alessio Giulio CAVAGNARO e

Filippo SCIUTO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale

del secondo difensore sito in Roma, alla via E. Gianturco, n. 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 88/03/2017 della Commissione tributaria

regionale della LIGURIA, depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Luciotti Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di un avviso di accertamento di maggiori redditi di un’associazione professionale di cui la contribuente faceva parte, accertati ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, e divenuto definitivo per mancata impugnazione dello stesso sia da parte dell’associazione che degli associati, con la sentenza impugnata la CTR della Liguria respingeva sia l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, sia quello incidentale proposto dall’arch. C. e confermava la sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente, aveva parzialmente annullato la cartella di pagamento statuendo la non debenza delle sanzioni amministrative pecuniarie in ragione della “particolare situazione nella quale si è trovato il contribuente che ha subito il comportamento infedele del professionista”;

– avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la controricorrente deposita memoria nonchè sentenza della CTR Liguria, n. 89/03/2017 del 24/01/2017, emessa nei confronti di altro associato, tale Fabio Salvi, con attestazione di passaggio in giudicato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, sostenendo che i giudici di appello, nonostante la definitività dell’avviso di accertamento prodromico all’emissione della cartella di pagamento e la censurabilità di questa soltanto per vizi propri, aveva accolto un motivo di impugnazione dell’atto impositivo escludendo l’applicabilità delle sanzioni irrogate con il medesimo.

2. Prima di passare all’esame del mezzo di cassazione devono esaminarsi le eccezioni della controricorrente di inammissibilità del ricorso agenziale. Del tutto destituita di fondamento è quella di difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione nel ricorso delle parti rilevanti degli atti meritali necessari per la verifica dell’esistenza di un giudicato interno formatosi con riferimento alla richiesta agenziale di inammissibilità dell’originario ricorso della contribuente, in quanto l’Agenzia delle entrate non “chiede, in sostanza, una declaratoria di inammissibilità dello stesso ricorso introduttivo”, bensì deduce un error in indicando, in relazione al quale il contenuto di quegli atti è del tutto irrilevante, non essendosi formato sulla statuizione di esclusione delle sanzioni alcun giudicato interno. Da ciò consegue l’insussistenza anche delle altre eccezioni della controricorrente, ovvero quella di “violazione ed elusione del “giudicato”, atteso che è la stessa controricorrente ad affermare che l’appello dell’Agenzia delle entrate aveva investito proprio la questione dell’applicabilità delle sanzioni, oltre a quella della “mancata aderenza alla ratio decidendi”, ravvisata con riferimento ad un asserito obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, espressamente escluso dalla CTR, nonchè ad un provvedimento di autotutela adottato dall’amministrazione finanziaria che, però, in nulla incide sull’applicabilità delle sanzioni che resta l’unica questione oggetto del presente giudizio. Infondata è anche l’eccezione di giudicato esterno in quanto la sentenza prodotta dalla controricorrente riguarda non l’avviso di accertamento emesso nei confronti dell’associazione professionale e dei singoli associati, ma la cartella di pagamento emessa nei confronti di soggetto diverso (uno degli associati) che non può, pertanto, spiegare efficacia di giudicato nel presente giudizio, in cui, diversamente da quanto sostiene la controricorrente, non si pone alcuna questione di litisconsorzio.

3. Ciò precisato, ritiene il Collegio che il motivo sia fondato e vada, quindi, accolto, ponendosi la statuizione d’appello in evidente contrasto con il principio di intangibilità della pretesa erariale incardinata in un atto impositivo che il contribuente abbia omesso di impugnare (circostanza pacifica) e, pertanto, divenuto definitivo con riferimento sia alle imposte richieste che alle sanzioni applicate, potendo il contribuente che si veda notificare una cartella di pagamento emessa sulla base di quell’atto impositivo, dedurre soltanto vizi propri della cartella e non altri (cfr., ex Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25995 del 31/10/2017, Rv. 646417). Pertanto, il giudice di merito che, nel giudizio di impugnazione di una cartella di pagamento emessa sulla scorta di un avviso di accertamento, accerti che quest’ultimo è divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte del contribuente, deve astenersi dall’esaminare le eventuali questioni di merito dedotte con riferimento alla pretesa fiscale, anche in punto di trattamento sanzionatorio ed anche con riferimento all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie più favorevoli per l’intervento dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015 (v. Cass. n. 17972 del 2013, n. 26479 del 2016 e n. 15978 del 2017, nonchè da ultimo Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25288 del 2018, in motivazione, pag. 3, prima alinea), limitando l’indagine soltanto ai vizi attinenti esclusivamente all’emissione, alla notifica e al contenuto della cartella di pagamento, ove dedotti.

4. Conclusivamente, il motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e, non residuando ulteriori accertamenti in fatto da compiere, alla stregua delle deduzioni delle parti e del contenuto della sentenza impugnata, la causa va decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso della contribuente che va condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, compensandosi le spese dei giudizi di merito in considerazione dei profili sostanziali del giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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