Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12400 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 16/06/2016, (ud. 01/03/2016, dep. 16/06/2016), n.12400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26310/2013 proposto da:

S.L., nato a (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA A BOITO 31, presso lo studio dell’avvocato MARTA

ELENA ANGELA DIAZ, rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRO

NATALE DIAZ, TERESA PES giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

B.G., considerato domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO PUTZOLU giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 200/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 26/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE ALBENOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.L. convenne in giudizio l’agente di polizia B. G. e il Ministero dell’interno e chiese il risarcimento dei danni. Sostenne di aver riportato gravi lesioni, essendo stato attinto da due colpi di arma da fuoco esplosi dall’agente che gli aveva puntato l’arma a distanza ravvicinata, mentre si apprestava a uscire, con il fratello M., dal bar dove questi era stato aggredito da altri avventori e lui era intervenuto in suo soccorso.

Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo non provata la dinamica del sinistro sostenuta dall’attore, per essere stato lo stesso attinto da un solo colpo partito accidentalmente nel corso della colluttazione con l’agente, mentre cercava di uscire dal bar e veniva trattenuto dallo stesso agente. La Corte di appello di Cagliari, espletata consulenza tecnica sulle caratteristiche generali della pistola mitraglietta utilizzata, rigettò l’impugnazione (sentenza del 26 marzo 2013).

Si difendono con distinti controricorsi il Ministero e B. G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione di inammissibilità, sollevata dal Ministero, per essere stato il ricorso notificato all’Avvocatura distrettuale e non all’Avvocatura generale dello Stato è priva di pregio.

Di recente questa Corte, ribadendo un principio consolidato, ha affermato che “Qualora il ricorso per cassazione sia notificato all’Avvocatura distrettuale dello Stato anzichè all’Avvocatura Generale dello Stato, il vizio della notifica è sanato, con efficacia ex tunc, dalla costituzione in giudizio del destinatario del ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo”. Ha poi, precisato che “poichè la sanatoria è contestuale alla costituzione del resistente, deve ritenersi tempestiva la notifica del controricorso ancorchè intervenuta oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., non avendo tale termine iniziato il suo decorso in ragione dell’inefficacia della notifica dell’atto introduttivo” (Cass. n. 4977 del 2015).

2.La Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda di danni ritenendo non assolto dall’attore l’onere della prova in ordine ai fatti addotti a fondamento, essendo la domanda basata su una dinamica del sinistro che non aveva trovato riscontro nelle risultanze istruttorie.

Essenzialmente – delimitato il perimetro delle testimonianze utilizzabili, anche sulla base dell’accoglimento del motivo di appello relativo all’art. 257 c.p.c. – il giudice del merito ne ha valutato non attendibili alcune e si è soffermato su quella del fratello dell’attore, giudicandola non attendibile sulla base di altre risultanze istruttorie (rapporto di polizia di denuncia dell’attore per resistenza a pubblico ufficiale, contenente sommarie informazioni testimoniali dei proprietari del bar presenti all’evento; rapporti degli altri due agenti che avevano preso parte all’azione di polizia; certificato medico attestante lesioni dell’agente detentore dell’arma dalla quale il colpo era esploso).

Quindi, la Corte di appello ha trovato conferma della dinamica sostenuta dalla controparte negli esiti della consulenza tecnica, che aveva ritenuto possibile un colpo accidentale in quel tipo di arma, nelle circostanze di fatto di una colluttazione, rigettando l’eccezione di nullità della stessa per violazione del contraddittorio. A tal fine, ha rilevato che non era dato comprendere neppure quale era la censura dell’appellante, posto che il consulente aveva comunque riprodotto tutto attraverso fotografie.

3. Il ricorrente censura la decisione con dieci motivi con la tecnica della scomposizione; pertanto, le censure possono essere raggruppate nella loro portata essenziale.

3.1. Sono inammissibile quelle censure in cui si denuncia: omessa motivazione (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5) per non aver preso in esame la cartella clinica dell’attore, nella parte in cui dava atto di cicatrici rotondeggianti, al fine di desumere che i colpi erano stati due e non uno, così screditando anche il fratello testimone che pure aveva riferito di due colpi (settimo); l’omesso esame di altri testi (invocando l’art. 111 Cost. nel decimo).

3.1.1. Anche a prescindere dalla circostanza che i testi sono stati ritenuti irrilevanti per non aver riferito circostanze rilevanti (pag. 6 sentenza), è applicabile ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

La norma introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne deriva che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività. Resta fermo, in ogni caso, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. Un. n. 8053 del 2014, e, successivamente, molteplici decisioni delle sezioni semplici).

3.2. Pure inammissibili sono le censure con le quali (motivi ottavo e nono) si invoca la nullità della consulenza d’ufficio per violazione del principio del contraddittorio e dell’imparzialità del giudice (artt. 192 e c.p.c., art. 111 Cost.).

Si tratta di riproposizione di censure già proposte nel giudizio di secondo grado, nel quale al consulenza è stata disposta, e valutate dal giudice, che le ha escluse, ed oggi riprospettate in sede di legittimità con l’obiettivo di ottenere, al di là della invocazione della lesione delle norme di diritto, una inammissibile nuova valutazione.

3.3. I primi sei motivi del ricorso sono esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione. Escluso per non conferenza l’invocazione dei commi quarto e quinto dell’art. 111 Cost., relativi specificamente al contraddittorio nel processo penale, il fondo della censura consiste nella pretesa violazione del principio dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), con conseguente violazione del principio di imparzialità del giudice (art. 111 Cost., comma 2), in riferimento alla utilizzazione del rapporto di polizia e degli atti ad esso allegati (art. 2700 c.c.). Sostiene il ricorrente che, in violazione delle suddette disposizioni, la Corte di appello avrebbe posto a fondamento del rigetto la ricostruzione della dinamica del sinistro sostenuta dai convenuti, dando esclusivo rilievo a prove non assunte nel processo civile e svalutando quelle assunte nel processo (in primo luogo la testimonianza del fratello dell’attore).

3.3.1. Le censure non hanno pregio.

A prescindere dai profili di inammissibilità nella parte in cui il ricorrente ripropone solo una diversa interpretazione dei fatti, le censure sono infondate perchè il giudice ha fatto corretta applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. n. 2168 del 2013, n. 22020 del 2007, n. 9620 del 2003).

Da un lato, i rapporti ed i verbali della polizia giudiziaria sono atti pubblici che, ai sensi dell’art. 2700 c.c., fanno fede fino a querela di falso, della provenienza, degli atti compiuti dal pubblico ufficiale, nonchè dei fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti alla sua presenza. Dall’altro, per quanto attiene alle circostanze di cui lo stesso pubblico ufficiale ha avuto notizia da altre persone – tra cui anche informazioni di polizia ed assunzione di testi senza giuramento – i rapporti forniscono pur sempre al giudice un materiale indiziario utilizzabile, se non superato da prova contraria.

Il giudice, che può valutare autonomamente, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria, può valutare anche le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, potendo la parte contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale.

3.3.2. Nella specie, la Corte di merito ha valutato: i rapporti degli altri due agenti operanti in ordine a quanto accaduto in loro presenza; le sommarie informazioni dei proprietari del locale presenti all’evento; il certificato medico dell’agente che impugnava l’arma, allegato al rapporto. E, su tale base, ha ricostruito l’accadimento del fatto, contrapponendolo alla testimonianza del fratello dell’attore (che aveva avuto parte attiva nello stesso evento) e ad altre testimonianze ritenute non informate.

4. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza, tenuto conto, ai fini della quantificazione, che il B. non ha partecipato all’udienza pubblica e non ha depositato memorie.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida: in favore del B. in Euro 6.000,00, di cui 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge; in favore del Ministero dell’interno in Euro 7.800, per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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