Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1240 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 21/01/2020), n.1240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14462-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.F.D.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA

PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO HINNA DANESI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO MECOCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2372/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 10/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RITENUTO

Che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 2372/06/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 10.04.2014, la quale, in sede di giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., aveva accolto “parzialmente” l’appello di D.F.D.A. in merito alla richiesta di rimborso delle imposte che la contribuente riteneva indebitamente corrisposte, demandando all’Amministrazione Finanziaria ogni indagine utile a quantificare il rimborso spettante.

Ha rappresentato che la controversia traeva origine dalla istanza di rimborso presentata dalla contribuente, quale erede di L.A., tesa ad ottenere la restituzione delle ritenute fiscali effettuate nel 2000 a suo dire indebitamente dal Fondo di previdenza integrativa complementare tenuto dall’Enel al momento della liquidazione della propria quota di partecipazione, pari ad Euro 2.012.680,57, sulla quale erano state trattenute le imposte applicando l’aliquota del 38,56%. L’Ufficio aveva rigettato l’istanza, sostenendo la corretta applicazione dell’aliquota media determinata per la tassazione separata ai fini dell’indennità di fine rapporto.

La D.F., che invece riteneva del tutto illegittimo il regime impositivo applicato, sostenendo di contro che alle prestazioni erogate in forma di capitale in dipendenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione maturati a favore degli iscritti la ritenuta dovesse essere operata nella misura del 12,50% (peraltro sulla differenza tra il capitale erogato e i premi riscossi, ai sensi dell’art. 42, comma 4 del TUIR, ratione temporis vigente), aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che con la sentenza n. 165/24/2007 aveva accolto in parte il ricorso, dichiarando tassabile con l’aliquota agevolata la porzione corrispondente al rendimento di polizza.

Avverso la pronuncia l’Agenzia aveva proposto appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettato con sentenza n. 53/01/08. L’Agenzia aveva impugnato anche questa pronuncia, che questa Corte aveva accolto con sentenza n. 2376/2012, cassando la decisione della Commissione regionale e rinviando il processo al giudice del rinvio per il riesame del merito della controversia, somministrando il principio di diritto cui attenersi per la sua definizione.

All’esito del giudizio di rinvio la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza oggetto del presente ricorso, riconosceva in parte le ragioni del ricorso introduttivo della contribuente, demandando di fatto all’Ufficio l’accertamento del dovuto.

La ricorrente censura la decisione con due motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, degli artt. 384 e 392 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè, accogliendo parzialmente le ragioni della contribuente e demandando all’Ufficio la determinazione della misura esatta del rimborso, pur avendo la difesa del contribuente dichiarato l’assenza di impiego del capitale accantonato sul mercato finanziario, aveva dato per certa l’esistenza di un rendimento su cui applicare l’aliquota del 12,50%, in tal modo violando il principio di diritto enunciato in sede di legittimità, che richiedeva il previo accertamento della esistenza di una quota della prestazione previdenziale erogata sottoponibile alla aliquota fiscale agevolata;

con il secondo, articolato in subordine, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla omissione dell’esame della sussistenza o meno di somme derivanti dall’investimento sul libero mercato del capitale costituito nel Fondo.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza.

Si è costituita la controricorrente, che ha eccepito l’infondatezza dei motivi, chiedendo il rigetto del ricorso e, per l’ipotesi che l’interpretazione sostenuta dall’Ufficio sulla determinazione dei “rendimenti netti” fosse ritenuta conforme, ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 482 del 1985, art. 6, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il primo motivo è fondato e trova dunque accoglimento.

Con esso l’Agenzia si duole che il giudice del rinvio abbia deciso in difformità dal principio di diritto somministrato da questa Corte nel giudizio rescindente.

Il giudice regionale, chiamato a decidere in sede di rinvio, pur prendendo atto del principio di diritto, secondo il quale “”per “rendimento” deve intendersi “il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato””, si è limitato ad affermare che “gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 vanno assoggettati al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la sorte capitale corrispondente alla attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del rendimento deve essere applicata la ritenuta del 12,50% prevista dalla L. n. 482 del 1995, art. 6”. Quindi, concludendo, ha dichiarato che fosse onere della Amministrazione finanziaria “espletare ogni utile indagine al fine di poter dare esecuzione alle pronunzie giurisdizionali, soprattutto in presenza di indizi di prova forniti dal contribuente in sede di richiesta di rimborso….”.

Con tale argomentazione il giudice del rinvio, pur consapevole che il principio di diritto riconosceva l’applicazione della aliquota agevolata al solo “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”, senza alcun accertamento concreto sull’impiego del capitale nel mercato, ne ha dato per scontata la sua esistenza, peraltro demandando all’Amministrazione finanziaria il compito di determinarne l’entità.

A prescindere se tale tecnica di redazione della pronuncia perfezioni una ipotesi di motivazione apparente, di fatto essa non tiene conto del principio di diritto somministrato dalla Corte di legittimità, tanto più che dagli atti difensivi delle parti emerge con chiarezza che l’Agenzia aveva specificamente lamentato che l’aliquota del 12,50% fosse stata applicata alle somme erogate al dipendente, senza accertarne la riconducibilità al rendimento proveniente da investimenti del capitale accumulato, o invece al rendimento di altra provenienza. In altri termini il giudice del rinvio, pur avendo dichiarato di applicare esclusivamente sulla parte relativa al rendimento la ritenuta a titolo di imposta del 12,50%, di cui alla L.n. 482 del 1985, art. 6, è pervenuto a conclusioni generiche e non sorrette da una congrua analisi giuridica della fattispecie concreta. In particolare, non è stato compiuto un accertamento sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi fosse stato, e in che entità, l’impiego da parte del Fondo, sul mercato, del capitale accantonato, e quale e quanto fosse stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, rispetto alla cui sola frazione, alla luce del principio di diritto somministrato, poteva giustificarsi l’affermata tassazione al 12,50%.

In conclusione il motivo trova accoglimento, con assorbimento del secondo motivo, peraltro articolato in via subordinata.

La sentenza va pertanto cassata.

Tuttavia, poichè dagli elementi che emergono nelle rispettive difese, non vi è necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa anche nel merito.

A tal fine è opportuno ribadire il principio affermato nella sentenza n. 2376/2012, che a sua volta riporta il principio già affermato dalle Sez. U, sent. n. 13642/2011 delle Sez. U, secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di Previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR, solo per quanto riguarda la sorte capitale, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento (per tale dovendosi intendere, in base a quanto precisato nella motivazione della medesima decisione, il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato) si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR”.”.

Emerge dunque in modo inequivoco che il “rendimento” è quello conseguito sul mercato.

Quanto poi al significato da attribuire al termine “mercato”, la sentenza delle Sez. U in particolare, dopo aver dato conto della evoluzione normativa, avverte il “difficile approccio del legislatore italiano con la previdenza complementare, che ha delineato un percorso incerto della disciplina di queste forme integrative trasformate nel tempo da “tutela assicurativa”, rispondente al principio del risparmio finanziario (che trova la propria garanzia costituzionale nell’art. 47 della Carta fondamentale), a “tutela previdenziale”, rispondente al principio del risparmio previdenziale (che trova la propria garanzia costituzionale nell’art. 38 della Carta fondamentale): la differenza principale tra le due forme di risparmio sta nel fatto che, nel primo caso l’investimento concerne una somma che è già patrimonio del soggetto, mentre nel secondo caso, l’investimento concerne una somma che origina da redditi di lavoro.” (pag 8 della sentenza delle Sez. U). Nel prosieguo la sentenza, registrando che la scelta per una tassazione netta tout court analoga a quella applicata ai redditi di lavoro è intervenuta solo a partire con il D.Lgs. n. 124 del 1993 (art. 13, comma 9, introdotto dalla L. n. 335 del 1995, art. 11) ma per le prestazioni erogate in forma di capitale a favore di soggetti iscritti ad enti di previdenza complementare in epoca successiva all’entrata in vigore del suddetto decreto, ha ritenuto che per gli iscritti in data anteriore il sistema dovesse contemplare un doppio binario di trattamento fiscale, non potendo ignorarsi la “composizione strutturale delle prestazioni stesse”. Ciò perchè “…nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione di mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Sicchè possono essere tassate in modo analogo al TFR esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie PIA), si applica la tassazione nella misura del 12,50% ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6….” (pag. 9 della sentenza).

La piana lettura del passaggio motivazionale delle Sez. U evidenzia che il principio generale da essa affermato distingue la “sorte capitale” dal “rendimento netto imputabile (solo quest’ultimo) alla gestione sul mercato da parte del Fondo del “capitale accantonato”.

Rispetto al principio generale affermato a pag. 9, la circostanza che il principio di diritto, formulato a pag. 10, menzioni il solo sintagma “rendimento” non svilisce il riferimento alla composizione complessiva, costituita da “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”.

L’interpretazione della decisione n. 13642 del 2011 trova d’altronde conferme nei successivi arresti della Cassazione, con significative precisazioni che non ne scalfiscono tuttavia l’impianto.

In particolare la successiva giurisprudenza di legittimità si è attestata su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rinvenienti dall’effettivo investimento da parte del fondo sul mercato finanziario del capitale accantonato, costituendone il rendimento (tra le tante, cfr. Cass. n. 29583/2011; 280/2012; n. 7724-7728/2013; n. 3136/2014; n. 1977/2015; n. 720/2017).

Si è infatti sostenuto che l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo ai sensi della L. n. 482 del 1985, ex art. 6, si giustifica in ragione della equiparazione tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e quelli corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, posta dall’art. 41 (ora art. 44), comma 1, lett. g – quater), e dall’art. 42 (ora art. 45), comma 4, del TUIR. E’ stato anzi evidenziato che l’applicazione non è dunque direttamente riconducibile alla L. n. 482 del 1985, art. 6, (espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da “imprese di assicurazione” in dipendenza di “contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato”), ma solo in via analogica ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione; analogia a sua volta giustificata dalla comune considerazione delle due fattispecie nel TUIR quali ipotesi omogenee di redditi di capitale. Non si è mai dubitato dunque che la ragione della eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti ai dirigenti Enel aderenti al descritto fondo di previdenza integrativa non vada ricercata – neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di P.I.A. prima del 1998- nella natura assicurativa della prestazione, nè tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione” è giustificabile l’applicazione del meccanismo impositivo previsto dalla L. n. 482 cit., art. 6. Nella giurisprudenza anzi, quando l’erogazione delle quote di partecipazione è stata successivamente operata dal fondo succeduto al PIA, ossia Fondenel (1998), si è esclusa la possibilità di distinguere tra P.I.A. e Fondenel – ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato P.I.A. e rendimenti riferibili invece alla gestione Fondenel del periodo successivo -, così come è stata esclusa la possibilità di considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta (ma insussistente) natura assicurativa delle prestazioni (cfr. Cass., sent. n. 24525 del 2017).

Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, ex art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato.

Se da un lato, per quanto detto, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, dall’altro però si è avvertito che non v’è ragione di ulteriormente circoscrivere tale requisito ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo indicazione contenuta nella Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle entrate e avallata da diverse sentenze successive alla pronuncia delle Sezioni Unite (cfr. le citate Cass. nn. 7724-7728 del 2013; n. 3136 del 2014; n. 1977 del 2015), ma invece non contenuta in quest’ultima che, del tutto condivisibilmente, parla soltanto di “gestione sul mercato”, senza alcuna aggettivazione. Il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla “gestione sul mercato” del capitale accantonato identifica invero la ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito rappresentata dall’essere questo il risultato degli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).

Si è peraltro precisato che “deve però di certo escludersi che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito). Tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel) costituisce infatti comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perchè abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale” (sempre la citata Cass., 24525 del 2017).

La ricostruzione ermeneutica della disciplina dunque, come già rappresentato nella pronuncia n. 13642 cit., distingue in modo inequivocabile il trattamento fiscale di quanto corrispondente al capitale accantonato (secondo le regole della tassazione separata propria della struttura previdenziale dei redditi di lavoro) e del rendimento netto imputabile alla gestione di mercato (secondo le regole fissate nell’art. 6 cit., analogicamente applicabili per certa ricostruzione della vicenda giuridica, al 12,50%). Quest’ultimo trattamento in conclusione va applicato solo al rendimento di gestione del capitale sul mercato, anche finanziario ma non solo, se e nella misura conseguita e, sul piano processuale, se e nella misura provata.

Ebbene, questi gli approdi della giurisprudenza, tutta la pur corposa difesa della controricorrente evidenzia inequivocamente che non esistono elementi da cui desumere una fonte dei rendimenti diversa dall’intero “patrimonio netto” dell’Enel. E a tal fine tutte le perizie allegate e alle quali si fa riferimento, così come le attestazioni a firma del Dott. B., provano solo che il capitale del fondo, all’epoca denominato PIA, non abbia mai investito sui mercato. Di certo non può addursi che per “mercato” possa intendersi l’intero patrimonio dell’impresa.

D’altronde la lunga difesa del controricorrente si infrange proprio sul tenore letterale della motivazione della sentenza del giudice di legittimità nel giudizio rescindente, che nel somministrare il principio di diritto prescrive che “per rendimento deve intendersi il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.”.

In realtà, proprio considerando la complessa e imponente struttura economico-finanziaria dell’Enel, nulla avrebbe impedito di gestire il Fondo, con impieghi sul mercato – quello finanziario, quello immobiliare o quello relativo ad altre attività similari -, ma ciò, per una libera e assolutamente discrezionale scelta aziendale, non si è fatto, almeno sino all’epoca della liquidazione della quota partecipativa del defunto L.A., di cui è erede l’odierna controricorrente.

Le ragioni illustrate, e la libertà di organizzazione e gestione del Fondo cui da ultimo si è accennato, escludono infine la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 482 del 1985, art. 6, ventilata dalla difesa della D.F..

In conclusione il ricorso introduttivo va rigettato.

La complessità giuridica e fattuale della vicenda impone la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese dei giudizi di legittimità e di tutti i gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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