Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12399 del 07/06/2011
Cassazione civile sez. trib., 07/06/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 07/06/2011), n.12399
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 14130/2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore in
carica pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
F.E. (OMISSIS), in proprio e nella qualità di
legale rappresentante della società TRATTORIA COLONNA DI FERRI
ETTORE & C. S.N.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FEDERICO
CESI 44, presso lo studio dell’avvocato MERLINO Giuseppe, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VOLA ANGELO, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 20/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
DI BOLOGNA, SEZIONE DISTACCATA di PARMA del 22/2/08, depositata il
23/04/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
24/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;
è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di F.E. in proprio e n.q. di l.r. della Trattoria Colonna di Ferri Ettore C. s.n.c. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per sanzioni D.L. n. 12 del 2002, ex art. 3, comma 3, conv. in L. n. 73 del 2002, ex art. 3, comma 3, la C.T.R. Emilia Romagna confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo.
2. L’unico motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, conv. in L. n. 73 del 2002, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., sostenendo che avrebbero errato i giudici d’appello ad annullare la sanzione sulla base delle comunicazioni dell’Inps e del Ministero del lavoro, fondate esclusivamente sulla dichiarazione della lavoratrice secondo la quale l’assunzione era avvenuta il medesimo giorno dell’ispezione) è manifestamente infondato.
L’art. 3, comma 3 D.L. citato prevede che l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria è punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra 1’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 144 del 2005, ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., tale disposizione nella parte in cui non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione, con la conseguenza che, ai fini del calcolo della sanzione, il datore di lavoro può essere ammesso a provare una diversa data di inizio del rapporto di lavoro e che, in assenza di limiti in proposito, può fornire tale prova con qualunque mezzo e anche per presunzioni.
Nella specie, l’Agenzia ricorrente sostiene che, risultando in proposito solo la dichiarazione della lavoratrice, da ritenersi dichiarazione di comodo, la prova fornita non sia sufficiente, in mancanza del concorso di altri elementi, tuttavia occorre rilevare che, secondo la univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità, solo al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento, esaminare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge, e che tale valutazione del giudice di inerito è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, essendo peraltro appena il caso di evidenziare che nella specie neppure risulta proposta censura per vizio di motivazione.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.300,00 di cui Euro 1.200,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2011