Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12398 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33728-2018 R.G. proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Vittorio

Veccia elettivamente domiciliato in Roma, Via Telese, n. 35, presso

lo studio dell’avvocato Emanuele Vocino;

– ricorrente –

contro

CREDITO FONDIARIO S.P.A., in persona del procuratore speciale, nella

qualità di mandataria di SIENA NPL 2018 S.R.L., rappresentata e

difesa dall’avvocato Alessandra Cappuccilli ed elettivamente

domiciliata in Roma, Via Bressanone, n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Maria Luisa Casotti Cantatore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 223/2018 del Tribunale di Larino, depositata

il 05/07/2018;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 9 gennaio 2020 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

S.M., quale terzo datore di ipoteca a garanzia di un mutuo stipulato fra la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e suo figlio S.V., ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso il pignoramento del fondo ipotecato, lamentando la circostanza che il perito stimatore avrebbe omesso di rilevare l’esistenza di un rapporto di affitto stipulato nel 1999 e tacitamente rinnovato alla scadenza (15 ottobre 2014) per ulteriori 15 anni.

Il giudice dell’esecuzione rigettava la richiesta di sospensione dell’espropriazione forzata ed assegnava un termine per introdurre il giudizio nel merito.

Il S. introduceva l’opposizione nel merito innanzi al Tribunale di Larino che, nel contraddittorio con la Banca, rigettava la domanda e condannava l’opponente al pagamento delle spese processuali. Contro tale decisione il S. ricorre per tre motivi. La Credito Fondiario s.p.a., nella qualità di mandataria di Siena NPL 2018 s.r.l. (subentrata nella titolarità del credito), ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Il S. ha depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490; Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, Rv. 633504 – 01 e in motivazione pag. 36 ss.) – deve esaminarsi anzitutto il terzo motivo di ricorso, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio. Infatti, il predetto principio consente l’esame delle censure verificandone l’impatto operativo, piuttosto che la coerenza logico-sistematica, sostituendo il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze costituzionalizzate di economia processuale e di celerità del giudizio, con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare le altre (Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014, Rv. 631058).

Il Tribunale ha respinto l’opposizione agli atti esecutivi con una doppia motivazione.

Per un verso, ha posto in evidenza che il contratto di affitto che il S. intenderebbe opporre al creditore procedente e agli eventuali aggiudicatari del fondo è stato costituito dopo l’iscrizione ipotecaria ed è, pertanto, nei confronti di questi inefficace. Rileva, in particolare, il Tribunale che il contratto di affitto stipulato il 15 ottobre 1999 è scaduto il 14 ottobre del 2014 per concorde volontà degli originari contraenti. Gli stessi il successivo 20 ottobre 2014 hanno stipulato un nuovo contratto di affitto, che non costituirebbe diversamente da quanto sostiene l’opponente – una proroga automatica di quello precedente. A tal fine il Tribunale valorizza la circostanza che esso ha costituito oggetto di una specifica convenzione nella quale, oltre tutto, si specifica che detto rapporto avrà la durata di 15 anni “con decorrenza dalla data odierna”.

La seconda ratio decidendi poggia sull’applicazione, al caso di specie, dell’art. 2923 c.c., comma 3. Ed infatti, a parere del Tribunale, ricorre senz’altro il presupposto del canone di affitto “inferiore di un terzo rispetto al giusto prezzo”, posto che l’azienda agricola, estesa per oltre 14 ettari, è stata concessa in affitto a fronte di un canone annuo di appena Euro 671,39; importo che il Tribunale indica come “ictu oculi risibile, simbolico, dissimulante ex se il maldestro tentativo di disincentivare eventuali acquirenti”.

La seconda ratio decidendi viene impugnata con il terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2923 c.c.. In particolare, sostiene il ricorrente che la norma applicata dal Tribunale sarebbe del tutto “inconferente”, poichè non giustificherebbe il rigetto dell’opposizione con cui si richiedeva di riconvocare il perito stimatore, onde redigere una descrizione dello stato di diritto dell’immobile che tenesse conto del contratto di affitto. Ciò in quanto – prosegue il ricorrente “l’aggiudicatario, prima ancora di partecipare all’asta, ha il diritto di essere messo a conoscenza dell’affitto in corso” (pag. 8).

Il motivo è infondato.

Il S., infatti, deduce la lesione di un interesse che non gli appartiene, neppure indirettamente. Quand’anche fosse ravvisabile, in astratto, un interesse del debitore esecutato ad una informativa in ordine alle caratteristiche dell’immobile di cui viene espropriato, al fine di sollecitare una più ampia partecipazione alla gara e trarne il maggior prezzo, in concreto deve rilevarsi che il dato omesso è certamente di segno contrario, in quanto casomai avrebbe avuto l’effetto di dissuadere i potenziali interessati. Semmai, a potersi dolere dell’omessa informazione avrebbe potuto essere l’aggiudicatario, non il debitore esecutato.

Com’è noto, la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo. Ne deriva che la parte che proponga ricorso per cassazione deducendo una nullità processuale, ha l’onere di indicare in concreto quale pregiudizio le sia derivato da siffatta nullità e quale diverso e migliore risultato avrebbe potuto effettivamente conseguire in assenza del vizio denunciato (ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017, Rv. 645194 01; Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014, Rv. 633693 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 3024 del 07/02/2011, Rv. 616771 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 23/02/2010, Rv. 611709 – 01).

Il S. non ha ottemperato a tale onere e il motivo, pertanto, deve essere respinto.

Poichè la ratio decidendi basata sull’inopponibilità della locazione, ai sensi dell’art. 2923 c.c., comma 3, (sul punto v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16718 del 01/10/2012, Rv. 624069 – 01), non risulta scalfita dalla relativa censura, ciò determina l’assorbimento degli altri motivi di ricorso, attinenti all’altra ragione della decisione. Infatti, l’eventuale loro fondatezza non sarebbe sufficiente a far cadere l’intero apparato argomentativo della sentenza impugnata ed a determinarnee la cassazione.

In conclusione, il terzo motivo di ricorso deve essere rigettato e gli altri due sono assorbiti.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

rigetta il terzo motivo ricorso, assorbiti i restanti. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 24 giugno 2020

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