Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12397 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19852-2018 R.G. proposto da:

O.G., rappresentato e difeso da sè stesso ed

elettivamente domiciliato presso il proprio studio in Roma, Via

Adalberto, n. 6;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– resistente –

contro

BANCO DI NAPOLI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 209/2018 del Tribunale di Napoli, depositata

il 09/01/2018;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 9 gennaio 2020 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

Con precetto notificato il 5 febbraio 2014 O.G. intimava al Banco di Napoli s.p.a., che era stato terzo pignorato in una procedura esecutiva a carico dell’I.N.P.S., il pagamento delle somme risultanti da un’ordinanza che veniva contestualmente notificata.

Il Banco proponeva opposizione, eccependo l’intervenuta prescrizione decennale del credito.

Il Giudice di pace di Napoli, nel contraddittorio anche con l’ente esecutato I.N.P.S., accoglieva l’opposizione.

L’ O. ha appellato la decisione, ma il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile il gravame, rilevando che, essendo la somma precettata inferiore ad Euro 1.100,00, la sentenza impugnata doveva considerarsi pronunciata secondo equità. Sarebbe, dunque, spettato all’ O. individuare specificatamente i principi informatori o regolatori della materia rimasti violati; onere al quale l’ O. non aveva ottemperato, essendo infondata la dedotta violazione dell’art. 6 CEDU.

Avverso tale decisione l’ O. ha proposto ricorso per cassazione per un unico motivo.

Il Banco di Napoli s.p.a. non ha svolto attività difensiva. L’I.N.P.S. ha depositato una copia del ricorso notificatole con in calce una procura speciale alle liti conferita ai propri difensori.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

In via preliminare, deve essere esaminata d’ufficio la validità della costituzione in giudizio dell’I.N.P.S. effettuata mediante il solo deposito in cancelleria di una procura speciale redatta su atto separato e materialmente congiunta alla copia del ricorso notificata a mezzo PEC all’Istituto.

Tale costituzione è irrituale e priva di effetti. Infatti, l’art. 370 c.p.c. prevede, quale unica modalità di tramite la quale colui contro il quale è proposto il ricorso può contraddire, la notificazione e il successivo deposito in cancelleria di un controricorso che abbia con gli stessi requisiti di forma e di sostanza del ricorso (artt. 365 e 366 c.p.c.), in quanto compatibili. Inoltre, anche la procura alle liti è irrituale, in quanto nel ricorso per cassazione non è previsto che essa possa essere resa in calce al ricorso cui si intende resistere.

Pertanto, l’I.N.P.S. non è regolarmente costituito nel presente giudizio.

Passando all’esame del ricorso, si deve rilevare che il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, ha ritenuto inammissibile il gravame proposto dall’ O. sul duplice presupposto che, da un lato, la sentenza del giudice di pace fosse stata resa secondo equità e che, dall’altro, l’appellante non avesse ottemperato all’onere di dedurre specificatamente la sussistenza dei presupposti ricorrendo i quali soltanto, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., u.c., l’appello si sarebbe potuto ritenere ammissibile.

In relazione a tale statuizione, il ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 113,339 e 616 c.p.c., nonchè dell’art. 15 delle disp. gen.. In particolare, l’ O. sostiene che il giudice d’appello non avrebbe colto il rapporto di specialità intercorrente tra l’art. 339 c.p.c., comma 3, e l’art. 616 c.p.c.. La L. 18 giugno 2009, n. 69, ha abrogato la parte finale dell’art. 616 c.p.c., che prevedeva che l’opposizione all’esecuzione fosse decisa “con sentenza non impugnabile”. Ritiene il ricorrente che il “nuovo” art. 616 c.p.c., quale risulta dalla riformulazione che ha reintrodotto l’appellabilità a critica libera della sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione, costituisca norma speciale e perciò derogativa rispetto all’art. 339 c.p.c., comma 3.

La censura è manifestamente infondata.

Questa Corte, infatti, ha già affermato – in un caso perfettamente identico – che, in tema di opposizione all’esecuzione, pur dopo l’abrogazione, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, del divieto di appellabilità (introdotto, modificando l’art. 616 c.p.c., u.c., dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52), le sentenze del giudice di pace pronunciate, in ragione del valore della lite, secondo equità necessaria sono appellabili solo per le ragioni indicate dall’art. 339 c.p.c., comma 3, ossia con motivi limitati (Sez. 3, Sentenza n. 23623 del 24/09/2019, Rv. 655491 – 01).

Ciò in quanto il legislatore del 2009, abrogando la regola della non impugnabilità introdotta nel 2006, ha semplicemente ripristinato la vigenza della regola generale di cui all’art. 339 c.p.c., comma 1, Regola che, all’evidenza, non deroga a quanto previsto dal comma 3 della medesima disposizione, ponendosi rispetto alla stessa, al contrario, in rapporto di regola generale e regola speciale. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

Non si fa luogo alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, poichè le parti non hanno svolto attività difensiva. Conclusione che, per le ragioni innanzi esposte, va tenuta ferma anche per l’I.N.P.S., non ritualmente costituitosi.

Sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 24 giugno 2020

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