Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12397 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2021, (ud. 22/01/2021, dep. 11/05/2021), n.12397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13106-2017 proposto da:

CASA DI RIPOSO MARIA SS. DEL ROSARIO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

presso lo studio dell’Avvocato GIOVANNI PALMERI, che la rappresenta

e difende assieme all’Avvocato ANGELO CUVA giusta procura speciale

estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANGELA PROVENZANI

giusta procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4162/11/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 29.11.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/1/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Casa di Riposo Maria SS. del Rosario propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia aveva accolto l’appello del Comune di Palermo avverso la sentenza n. 46/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, che aveva accolto il ricorso proposto avverso cartella di pagamento TARSU 2009;

il Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, L.R. Sicilia n. 7 del 1992, art. 13, L. n. 142 del 1990, art. 4, art. 49 Statuto del Comune di Palermo, D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, art. 14 Regolamento Tarsu Comune di Palermo) e si lamenta che la CTR abbia erroneamente affermato la competenza della Giunta, e non del Consiglio comunale, per gli atti adottati dal Comune per determinare la tariffa TARSU, nonostante con sentenza TAR Sicilia n. 1550/2009 fosse stata annullata la Delib. Giunta relativa al 2006;

1.2. si lamenta quindi che l’annullamento giudiziale della Delib. di fissazione delle tariffe Tarsu per l’anno 2006 aveva comportato l’invalidità anche della Delib. relative alla tariffa per l’anno 2009 e che in base all’art. 49 dello Statuto del Comune di Palermo, l’organo competente a deliberare le variazioni della Tariffe Tarsu era la Giunta comunale;

1.3. la doglianza è infondata;

1.4. in tema di TARSU, l’annullamento giurisdizionale della Delib. comunale di determinazione della tariffa per un’annualità precedente non ha efficacia caducante sulle delibere (non impugnate) meramente “ripetitive” degli anni successivi, poichè ogni deliberazione tariffaria regola la materia in modo autonomo rispetto alla precedente e dovendosi quindi escludere sia l’operare del giudicato esterno, sia il dovere del giudice tributario di disapplicare in via incidentale l’atto sulla base di tale presupposto (cfr. Cass. nn. 286757/2018; conf. Cass. n. 19333/2019 in motiv.);

1.5. questa Corte, inoltre, ha reiteratamente affermato che in tema di TARSU, nella vigenza della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 32, comma 2, lett. g), la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione di beni e servizi (nella specie, tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri e locali adibiti a uso abitazione) è di competenza della giunta e non del consiglio comunale poichè il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione, e, inoltre, i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali all’individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria (cfr. Cass. n. 8336/2015, resa con riferimento a TARSU applicata da Comune siciliano);

1.6. a tal riguardo si è espressa dapprima Cass. n. 360/2014 e poi Cass. n. 913/2016, dovendo peraltro precisarsi, assumendo le seguenti argomentazioni carattere decisivo ai fini della decisione, che nella Regione Siciliana, dotata di competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali – artt. 14 e 15 Statuto regione Siciliana approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 (pubblicato nella G.U. del Regno d’Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – trova applicazione la riserva contenuta nella L. n. 142 del 1990, art. 4 recepita a livello regionale dalla L.R. Siciliana n. 48 del 1991, art. 1, lett. a), secondo la quale lo Statuto, nell’ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente e in particolare determina le attribuzioni degli organi;

1.7. pur dovendosi ritenere che il T.U. enti locali (D.Lgs. n. 267 del 2000, abrogativo della L. n. 142 del 1990) non è stato recepito nella Regione siciliana (cfr. Cass. n. 10230/2012, Cass. n. 11396/2011; Cass. n. 18563/2009), è decisiva la circostanza, che, ai sensi dell’art. 49 dello Statuto del Comune di Palermo, la Giunta, all’interno delle competenze ad essa riservate, ha anche quella di adottare variazioni delle tariffe e aliquote dei tributi comunali e dei corrispettivi dei servizi a domanda individuale entro i limiti indicati dalla legge o dal Consiglio comunale (cfr. in termini CGA 641/2012);

1.8. in senso ostativo neppure potrebbe sostenersi che difettava nel caso di specie una preventiva Delib. del Consiglio Comunale che avesse fissato i limiti entro cui la Giunta avrebbe potuto procedere alle variazioni delle tariffe e delle aliquote dei tributi comunali, atteso che la mancata individuazione dei predetti limiti, da parte del Consiglio Comunale, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, comma 2, non determina l’incompetenza della giunta in materia tariffaria (cfr. Cass. n. 28675/2018);

1.9. questa Corte, con ordinanza n. 22532/2017, ha quindi affermato, in termini più generali, che, in tema di TARSU, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lett. f), spetta al Consiglio comunale l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, oltre alla disciplina generale delle tariffe per la fruizione di beni e di servizi, mentre è di competenza della Giunta la determinazione delle relative aliquote, in continuità con quanto già previsto dalla L. n. 142 del 1990, previgente art. 32, comma 2, lett. g);

2.1. con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 68, 65, 69, L. n. 241 del 1990, art. 2, L. n. 212 del 2000, art. 7 per avere la CTR omesso di disapplicare l’atto regolamentare del Comune stante il considerevole divario tra le tariffe applicate per le abitazioni e quelle per le case di riposo;

2.2. anche tale doglianza va disattesa;

2.3. va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di TARSU, è legittima la Delib. comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime, in quanto la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore (cfr. Cass. nn. 15050/2017 17498/2017, 8336/2015, 4797/2014; v. anche Cass. nn. 11655/09 e 15861/11, rese con riguardo a controversie analoghe a quella qui esaminata);

2.4. la Commissione Tributaria Regionale si è, dunque, uniformata a tale orientamento, correttamente estendendolo anche alla struttura collettiva della casa di riposo, che svolge attività recettiva ed offre servizi completi di ospitalità del tutto analoghi, sotto il profilo della capacità produttiva dei rifiuti, ai complessi alberghieri;

2.5. quanto alla carenza di motivazione della delibera, questa Corte ha, inoltre, affermato che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della Delib. comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (cfr. Cass. nn. 7044/14; così Cass. n. 22804/2006);

3.1. anche l’eccezione di incostituzionalità relativa all’art. 68 cit. con riguardo alla pretesa arbitraria differenziazione delle tariffe TARSU senza tener conto della capacità produttiva dei rifiuti, sollevata dal contribuente con il terzo motivo, è infondata, in quanto la disciplina dei presupposti costitutivi dell’imposizione deriva da legge statale e non da fonte secondaria, e la norma di legge non autorizza l’ente impositore ad ignorare l’indice di produttività dei rifiuti, semmai gli consente di esercitare una potestà regolamentare differenziata per categorie di attività in base a verificabili dati tratti dalla comune esperienza;

3.2. su tale questione si richiama la citata giurisprudenza di legittimità, da ultimo ribadita – in controversia con lo stesso Comune di Palermo – da Cass. sent. n. 28676/2018;

4.1. va infine anche respinta la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per preteso contrasto con la normativa unionale del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 65,68 e 69 in ordine alla determinazione delle tariffe TARSU in relazione al principio “chi inquina paga”;

4.2. il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 di cui si contesta la violazione, lascia ai Comuni un ampio spazio di discrezionalità nell’esercizio della potestà regolamentare in materia, limitandosi a prevedere che ai fini della classificazione in categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti tassabili con la medesima misura tariffaria, i Comuni tengono conto “in via di massima” di gruppi di attività e tra questi gli esercizi alberghieri sono inseriti nello stesso gruppo delle abitazioni per nuclei familiari (lett. c), ma ciò non significa, come dianzi illustrato, che la classificazione debba necessariamente essere uguale tra abitazioni ed alberghi;

4.3. si richiama in particolare, quanto già affermato da questa Corte (cfr. Cass. nn. 28676/2018, 2202/2011), secondo cui “in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perchè è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perchè la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. artt. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”;

4.4. tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16.7.09 in causa C-254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla TARSU, nonchè di norme di un regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati);

4.5. nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia rispetto al principio evincibile dall’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall’art. 11 della direttiva 75/442), la CGUE ha affermato che “è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonchè della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purchè non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili… sicchè, in definitiva, il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442″;

5. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va dunque rigettato;

6. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune controricorrente, liquidate in misura pari ad Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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