Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12393 del 17/05/2017

Cassazione civile, sez. I, 17/05/2017, (ud. 30/03/2017, dep.17/05/2017),  n. 12393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20373/2016 proposto da:

D.D.M., quale madre della minore B.J.E.,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Dario Girotti, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.A.M., quale curatore speciale della minore

B.J.E., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa Naggar

Magda N., giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Assessore pro tempore alle Politiche Sociali e Abitative del Comune

di Torino – quale tutore provvisorio, B.G., Procuratore

Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino;

– intimati –

avverso la sentenza n. 38/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Girotti Dario che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato N. Magda Naggar che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Torino, sez. minorenni, con sentenza 2 agosto 2016, ha confermato la sentenza impugnata che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di B.J.E., nata il (OMISSIS).

2.- La Corte ha riferito della condizione di inadeguatezza genitoriale della madre, D.D.M., e dello stato di abbandono in cui versava la figlia J., attualmente inserita dal dicembre 2015 in una famiglia con i requisiti dell’adozione; ha narrato che la D.D. si era allontanata dalla comunità presso la quale i Servizi sociali avevano disposto il suo inserimento e aveva contravvenuto ai relativi obblighi, non presentandosi agli incontri con gli esperti o adducendo giustificazioni non credibili; che la sua personalità presentava importanti criticità derivanti dal suo vissuto, che ne avevano compromesso lo sviluppo affettivo e le capacità genitoriali; che la D.D. aveva avuto una seconda figlia, N., la cui nascita in assenza di un concreto progetto di vita e di un partner confermava le riscontrate carenze della sua personalità; che il sostegno profuso dalla comunità e dai servizi sociali aveva dato buoni risultati nei confronti di N., mentre diversa era la condizione di J., il cui riavvicinamento alla madre era considerato dagli esperti come negativo e avrebbe potuto compromettere la crescita della bambina, nonostante la disponibilità manifestata dalla madre, tenuto conto che i tempi di maturazione di un adulto sono molto più lenti.

3.- Avverso questa sentenza la D.D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si è opposta l’avv. Z.A.M., curatore speciale della minore J.; il ricorso è stato notificato anche a B.G., il quale non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente D.D.M., madre di J., ha dedotto la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., e L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 12, per non essere stata sentita nel primo grado di giudizio, avendo il Tribunale, con decreto in data 12 marzo 2015 (comunicato lo stesso giorno), anticipato (al 18 marzo 2015) la data dell’udienza fissata (il 1 aprile) per la sua audizione, con l’effetto che il termine per la comparizione non era stato congruo e non era stata rifissata l’audizione sebbene richiesta.

1.1.- Il motivo è infondato.

Il termine di sei giorni per la comparizione dinanzi al Tribunale non può dirsi incongruo, a norma della L. n. 184 del 1983, art. 12, comma 1; inoltre, la ricorrente – che è stata sentita nel giudizio di appello – non ha precisato nel motivo di avere indicato, a sostegno dell’eccezione di nullità sollevata nell’atto di appello, gli eventuali elementi diversi ed ulteriori (rispetto a quelli già valutati) che il Tribunale avrebbe potuto ricavare dalla sua audizione, al fine di determinare una decisione in senso diverso.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8, e art. 30 Cost., per avere la sentenza impugnata dichiarato lo stato di adottabilità di J. sulla base di un giudizio astratto e ipotetico e senza avere accertato fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato abbandono, morale e materiale. La D.D. ha evidenziato che il suo problema era la precarietà abitativa ed economica, della quale aveva informato i servizi sociali, ai quali si era rivolta, come risultava dalla relazione dei servizi sociali del 23 gennaio 2014; che la sua condizione di precarietà economica ed abitativa non giustificava il provvedimento adottato dal Tribunale; che si era allontanata dalla casa dove viveva, con la suocera e con il marito ( B.G.) dal quale si era separata, a causa dell’ambiente malsano; che si era sempre presa cura della figlia e del suo benessere psicofisico, come risultava dalle positive relazioni dei servizi sociali del 23 gennaio, 1 aprile e 7 novembre 2014 e dalle dichiarazioni delle educatrici professionali all’udienza dinanzi alla Corte d’appello del 7 giugno 2016, che attestavano lo stato di sostanziale benessere della bambina e l’attenzione e l’amore nei suoi confronti; che si era pentita di essersi allontanata insieme alla figlia dalla Comunità di (OMISSIS); che i giudici di merito non avevano valutato i positivi esiti del percorso introspettivo intrapreso per comprendere gli errori commessi e che le sue difficoltà, dovute anche alla sua giovane età, erano transitorie e reversibili.

Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato il mancato esame di punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, concernenti la valutazione delle sue condizioni e la positiva evoluzione del percorso personale da essa intrapreso; ha riferito di essere stata costretta a sospendere gli incontri con la figlia a causa di una malattia che l’aveva colpita e di avere successivamente chiesto vanamente di riprendere gli incontri; che era indimostrata l’affermazione secondo cui il riavvicinamento di J. alla madre costituiva un fattore perturbante dell’equilibrio attuale di entrambe e dell’altra figlia N.; che non erano stati valutati i suoi miglioramenti nell’acquisizione delle capacità genitoriali, avendo essa dimostrato di essere idonea a occuparsi dell’altra figlia, rispetto alla quale non era stato aperto alcun procedimento di adottabilità.

2.1.- E’ necessaria una premessa di carattere generale.

La L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1, mira a garantire il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia naturale attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere l’insorgere di situazioni di difficoltà e di disagio che possano compromettere la crescita del minore (Cass. 29 marzo 2011, n. 7115; 28 giugno 2006, n. 15011; 14 aprile 2006, n. 8877). Questa Corte ha evidenziato il “carattere prioritario” del diritto del minore di crescere nell’ambito della famiglia di origine, previsto dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, onde di esso è consentito il sacrificio solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti, tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo e l’equilibrio psicofisico del minore stesso (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011). Ciò perchè – si deve ribadire – nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine, il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, è il mezzo preferenziale per garantire la crescita equilibrata del bambino (Cass. 10 luglio 2014, n. 15861).

La L. n. 184 del 1983, art. 8, pone, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, la situazione di abbandono causata dall’essere il minore privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Nel sistema della legge, in definitiva, la situazione di abbandono, quale presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, comportando il sacrificio dell’esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è configurabile solo quando si accerti che la vita offerta dai congiunti sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico del minore, così da fare considerare la rottura del legame familiare come strumento necessario per evitare più gravi pregiudizi (Cass. 29 marzo 2011, n. 7115; 26 gennaio 2011, n. 1838; 31 marzo 2010, n. 7959; 1 febbraio 2005, n. 1996; 7 febbraio 2002, n. 1674). Situazione da accertarsi, da parte del giudice del merito, in base a riscontri obbiettivi e valutazioni prognostiche che siano basate su “fatti” aventi carattere indiziario di “sicura valenza probatoria” (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011; 12 maggio 2006, n. 11019).

La richiamata valorizzazione del legame naturale – nella logica di gradualità e di sussidiarietà degli interventi che ispira la L. n. 184 del 1983, secondo la prospettiva, comune alle Convenzioni internazionali, che assegna all’istituto dell’adozione il carattere di estremo rimedio – rende necessario un “particolare rigore” nella valutazione della situazione di abbandono quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, finalizzata esclusivamente all’obiettivo della tutela dei suoi interessi (Cass. 14 maggio 2005, n. 10126; 14 aprile 2006, n. 8877; e più di recente Cass. 22 novembre 2013, n. 26204; 14 aprile 2016, n. 7391).

La L. n. 184 del 1983, ha imposto allo Stato un preciso dovere di intervenire con mezzi idonei a consentire ai minori di vivere ed essere educati nella famiglia di origine (art. 1). Questa Corte ha ribadito, anche recentemente, che è compito del giudice di merito verificare prioritariamente se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio familiare, poichè la dichiarazione dello stato di adottabilità è legittima solo nel caso in cui sia impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare (Cass. 26 marzo 2015, n. 6137). E’ questa una indicazione in linea con la giurisprudenza della Corte Edu, secondo la quale l’interesse di un genitore e di suo figlio a stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare, sicchè le misure che portano a una rottura dei legami tra il minore e la sua famiglia possono essere applicate solo in circostanze eccezionali (Corte Edu, 1 luglio 2004, Couillard Maugery c. Francia, ric. n. 64796/01), dal momento che “il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può di per sè giustificare che egli venga sottratto alle cure dei suoi genitori biologici” (principio ribadito, da ultimo, da Corte Edu, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia, ric. n. 52557/14). La medesima Corte ha puntualizzato che, costituendo l’adozione una misura eccezionale, gli Stati membri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno l’obbligo di assicurare che le proprie autorità giudiziarie e amministrative adottino preventivamente tutte le misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento tra genitori biologici e figli e a tutelare il superiore interesse di questi ultimi, evitando per quanto possibile l’adozione (Corte Edu, 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia, ric. n. 33773/01). Infatti, il ruolo di protezione sociale svolto dalle autorità nazionali “è precisamente quello di aiutare le persone in difficoltà, di guidarle nelle loro azioni e di consigliarle, tra l’altro, sui mezzi per superare i loro problemi” e, nel caso in cui i genitori siano “persone vulnerabili”, “le autorità devono dare prova di un’attenzione particolare e devono assicurare loro una maggiore tutela” (v., da ultimo, Corte Edu, 13 ottobre 2015, cit.). Quest’ultima pronuncia ha ritenuto che il legame tra la madre, che si trovava in condizione di vulnerabilità, e i figli non fosse stato preso in debita considerazione dalle autorità nazionali, le quali avevano adottato la misura eccessiva della rottura del legame familiare, benchè nella fattispecie fossero praticabili altre soluzioni, al fine di salvaguardare sia l’interesse dei minori sia il diritto del genitore di vivere con loro.

2.2.- Entrambi i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini, ritenendo il Collegio che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente giustificato il giudizio riguardante lo stato di abbandono della minore J..

2.2.1.- La Corte d’appello ha evidenziato la “inadeguatezza genitoriale” della D.D., la sua “fragilità” emotiva, le “importanti criticità derivanti dal suo vissuto che ne hanno influenzato negativamente lo sviluppo affettivo e compromesso la capacità genitoriali” (nella sentenza di primo grado si parla di “labilità” e “instabilità emotiva”, “immaturità”, “tendenza all’impulsività”, “disturbo borderline di personalità”) e la indisponibilità manifestata verso il programma di sostegno predisposto dai servizi sociali, come dimostrato dalle assenze e dai ritardi agli incontri fissati in comunità; la Corte ha tratto argomenti negativi a carico della D.D. dalla sua seconda gravidanza “sortita in assenza di un concreto progetto di vita e di un partner con cui condividere l’esperienza di un figlio” e dalle versioni discordanti sulla paternità; ha ritenuto irrilevante che la D.D. abbia manifestato invece una buona capacità genitoriale nei confronti dell’altra figlia ( N.) ed ha considerato “elemento perturbante” l’eventuale riavvicinamento di J. alla madre che pregiudicherebbe l’equilibrio raggiunto dalla D.D. con l’altra figlia; in conclusione, ha osservato che “i tempi di recupero della madre risultano tardivi e inadeguati alle esigenze di J.” e che i tempi di crescita di una bambina sono “molto più veloci rispetto a quelli di maturazione di un adulto”.

2.5.- Nel ragionamento della Corte d’appello, il giudizio di irrecuperabile incapacità genitoriale della D.D. risulta essere una diretta conseguenza della constatata fragilità della sua personalità (considerata dalla sentenza di primo grado come “patologia psichica”), del suo allontanamento dalla comunità e della negativa valutazione della seconda gravidanza.

Tuttavia, nella giurisprudenza di questa Corte, è costante il principio secondo cui, ai fini dell’accertamento dello stato di abbandono quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali, anche permanenti, che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli senza danni irreversibili per il relativo sviluppo ed equilibrio psichico, essendo necessario accertare la capacità genitoriale in concreto, a tal fine verificando l’esistenza di comportamenti pregiudizievoli per la crescita equilibrata e serena dei figli e tenendo conto della positiva volontà del genitore di recuperare il rapporto con essi (Cass. n. 7391/2016 cit.; 22 novembre 2013, n. 26204 e 29 ottobre 2012, n. 18563). E la compromissione della capacità di allevare ed educare i figli è ravvisabile solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto e di cui il giudice di merito deve specificamente dare conto, senza possibilità di dare ingresso – come invece è avvenuto nella specie – a giudizi sommari, seppure espressi da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio (Cass. n. 7391/2016 cit.).

Quella concernente la seconda gravidanza è una valutazione, non solo, poco pertinente rispetto allo scopo di dimostrare la incapacità genitoriale della D.D., ma è anche contraddetta dal contestuale accertamento della idoneità genitoriale della stessa D.D. rispetto alla seconda figlia, N., non avendo la Corte di merito offerto concreta e adeguata spiegazione nè delle ragioni per le quali essa sarebbe una buona madre per una figlia e non per l’altra nè, in definitiva, del giudizio negativo circa una eventuale riunificazione del gruppo familiare.

Inoltre, se è vero che l’esigenza di accertare l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole deve certamente tener conto della veloce crescita dei minori, sì che l’attesa di tale esito va esclusa ove incompatibile con i tempi di compiuto ed armonico sviluppo dei minori stessi, tuttavia, si deve pur sempre considerare che l’evoluzione del bambino di oggi in un adolescente e poi in una definitiva personalità adulta dovrà necessariamente fare i conti con la gravità della irreversibile recisione del legame biologico (Cass. n. 15861/2014 cit.) che, secondo i principi sopra esposti, deve costituire una extrema ratio.

Nella specie si è preferito interrompere in modo definitivo il legame della figlia con la madre, anzichè porre in campo tutte le misure di sostegno necessarie a ripristinare il proficuo esercizio della funzione genitoriale e a tutelare il prioritario interesse del minore a recuperare la relazione con il genitore biologico, tanto più che la positiva volontà del genitore di ovviare alla mancanza di assistenza morale e materiale è un elemento importante da prendere in considerazione (v. Cass. n. 7391/2016 cit.), come risulta anche dalla L. n. 1984 del 1983, art. 15, lett. b). La sentenza impugnata non ha valutato la possibilità di desumere questa positiva volontà dal fatto che la D.D. si era rivolta volontariamente ai servizi sociali per chiedere sostegno alla genitorialità; per altro verso, nel valutare l’allontanamento dalla comunità, non ha preso in considerazione le giustificazioni rese dalla D.D., nè ha considerato che la dichiarazione dello stato di adottabilità non costituisce mai una sanzione da applicare automaticamente in caso di violazione delle prescrizioni per l’attuazione del programma di recupero, essendo pur sempre necessaria la prova della irrecuperabilità delle capacità genitoriali (arg. L. n. 184 del 1983, ex art. 15, lett. c).

3.- Ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Torino, sez. minorenni, in diversa composizione, che dovrà riesaminare il caso, attenendosi ai principi sopra indicati.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo e terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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