Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12392 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 16/06/2016, (ud. 24/02/2016, dep. 16/06/2016), n.12392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.P. ( P.), domicilata ex lege in Roma,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa unitamente dagli avv.ti GIUGGIOLI GIACOMO, CONSIGLIO

Gabriele, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S. ((OMISSIS)), già titolare della cessata

impresa individuale CENTRO IPPICO LA MADONINNA, M.M.

((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in Roma, Via Fabio

Massimo 60, presso lo studio dell’avv. Caroli Enrico da cui sono

rappresentati e difesi giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– resistenti con procura –

avverso la sentenza n. 1610/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/04/2013, R.G.N. 2255/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato FRANCESCA CLERICI per delega;

udito l’Avvocato LETIZIA CAROLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – In data 8 gennaio 2005 P.P. rimase vittima di un incidente di equitazione avvenuto, sotto la guida dell’istruttrice M.M., nelle vicinanze del Centro Ippico La Madonnina in Garfagnana (LO), a distanza di circa un chilometro dal maneggio e su un terreno accidentato, là dove il cavallo, scivolando, fece balzare di sella la stessa P., provocandone la violenta caduta in terra.

Sulla scorta di tali fatti, P.P., dunque, convenne in giudizio M.M. ed il Centro Ippico La Madonnina per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti nel predetto sinistro.

L’adito Tribunale di Lodi, con sentenza dell’aprile 2010, sussumendo i fatti nella fattispecie legale di cui all’art. 2052 c.c.(per essere la P. esperta cavallerizza, iscritta alla Federazione Italiana Sport Equestre e, dunque, non venendo in rilievo l’attività di equitazione come attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c.), rigettò la domanda attorea, ritenendo che la prova liberatoria fosse stata fornita dalla stessa P., avendo essa riferito che l’incidente era dovuto ad uno “scivolone” del cavallo, fatto improvviso e di per sè causativo di conseguenze imprevedibili.

2. – Avverso tale decisione proponeva gravame P.P., che la Corte di appello di Milano rigettava con sentenza resa pubblica il 15 aprile 2013.

2.1. – La Corte territoriale riteneva – come già evidenziato dal primo giudice – che il sinistro si era verificato “allorquando l’animale in questione, scivolando sul terreno accidentato, sbalzava la giovane donna facendola rovinare a terra”, precisando altresì che “il terreno era accidentato e ghiacciato” (quale circostanza coerente con la data dell’evento: (OMISSIS)).

Il giudice di appello osservava, quindi, che, “in ragione delle condizioni climatiche e morfologiche del terreno, il semplice scarto di un cavallo lungo un terreno accidentato e ghiacciato doveva ritenersi… un evento non inusuale e imprevedibile, bensì, al contrario, prevedibile fra i possibili accadimenti legati all’incedere di un grosso animale in movimento, che una cavallerizza esperta, quale è pacificamente l’odierna appellante, ben avrebbe dovuto essere in grado di dominare in ragione della sua esperienza e che per questo motivo sarebbe stato logico aspettarsi dalla sua padronanza della disciplina equestre”.

Sicchè, soggiungeva il giudice di appello (altresì escludendo che fosse dimostrata la circostanza per cui la M. avesse forzato l’attrice “a rimontare a cavallo e a riprendere immediatamente la marcia immediatamente dopo la caduta”), “la condotta de11’attriootappo11anto apparti onoro stata ragione esclusiva del fatto dannoso, che si è quindi verificato per sua colpa esclusiva, come tale integrante… il caso fortuito liberatorio ex art. 2052 c.c.”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre P.P., affidando le sorti dell’impugnazione a sette motivi, illustrati da memoria.

Resistono con congiunto controricorso, illustrato da memoria, M.S., già titolare della cessata impresa individuale Centro Ippico La Madonnina, e M.M..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente, va dato atto della inammissibilità del controricorso (e, conseguentemente, della successiva memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dai controricorrenti) perchè tardivamente notificato ai sensi dell’art. 370 c.p.c., senza che venga addotta, da parte di M.S. e M.M., alcuna ragione atta a giustificare le reiterate notificazioni dell’atto, dopo la prima inutilmente esperita in (OMISSIS) (e non già all’indirizzo di piazza “(OMISSIS)”), effettuate oltre il termine di 40 giorni dalla notificazione del ricorso (avvenuta il 27 novembre 2013).

Tuttavia, la procura speciale conferita dalla parti intimate con il controricorso inammissibile resta valida come atto di costituzione, consentendo al difensore delle stesse di partecipare alla discussione orale della causa (tra le tante, Cass., 28 maggio 2013, n. 13183).

2. – Con il primo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2052 c.c..

La Corte d’appello di Milano avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la prova liberatoria ex art. 2052 c.c. solo in base al rilievo che essa P. fosse esperta cavallerizza, ma senza che fosse stata fornita alcuna prova positiva del “fortuito” da parte della M. e del Centro Ippico.

3. – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2728 c.c..

La Corte territoriale, in assenza di prova liberatoria del caso fortuito, non fornita dai convenuti, non avrebbe potuto apprezzare i fatti secondo il proprio libero convincimento e, quindi, fondare la valutazione su un fatto che non era stato dimostrato dalla controparte per vincere la presunzione legale.

4. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c..

La Corte di appello, anche a non voler ritenere applicabile l’art. 2728 c.c.., avrebbe fondato la sua decisione su semplici considerazioni personali e non su presunzioni gravi, precise e concordanti là dove ha ritenuto che la caduta dell’animale, conseguente allo scivolone dell’animale, costituiva un evento che l’odierna appellante ben avrebbe dovuto essere in grado di dominare in ragione della sua esperienza.

5. – Con il quarto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

La Corte d’appello avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova, ritenendo che fosse proprio la dott.ssa P. a dover fornire la prova della propria assenza di colpa e avendo escluso la responsabilità dei convenuti pur in assenza di qualsivoglia prova del caso fortuito.

6. – I motivi dal primo al quarto, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

6.1. – L’art. 2052 c.c. radica la responsabilità del proprietario dell’animale (o di chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso) sulla mera relazione di proprietà o di utilizzo dell’animale, nonchè sul nesso causale tra il comportamento dell’animale e l’evento dannoso. Fornita la prova di questi due elementi, il convenuto può andare esente da responsabilità – che è di natura oggettiva e prescinde, quindi, dalla colpa solo dimostrando il caso fortuito, costituito da un fattore esterno, che può essere anche il fatto del terzo o il fatto addebitabile esclusivamente allo stesso danneggiato.

Dunque, in base alla disciplina di cui all’art. 2052 c.c. grava sull’attore l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo, mentre la prova del fortuito è a carico del convenuto (tra le tante, Cass., 28 luglio 2014, n. 17091).

In armonia con le coordinate giuridiche appena rammentate il giudice d’appello ha escluso la responsabilità dei convenuti in ragione della ritenuta sussistenza del caso fortuito, assumente efficacia causale esclusiva nella produzione del danno (Cass., 15 dicembre 2015, n. 25223), ravvisandolo nel fatto colposo del danneggiato.

Difatti, il giudice del gravame, dapprima, ha escluso che potesse ravvisarsi un evento eccezionale e imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento dell’animale e il fatto causativo del danno, nello scarto stesso del cavallo durante il suo incedere su un terreno accidentato e ghiacciato. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che proprio lo scivolamento del cavallo sul terreno, in quelle pericolose condizioni morfologiche, costituiva non un evento inusuale, bensì prevedibile e prevenibile;

evento che la P., in quanto esperta cavallerizza, avrebbe potuto e dovuto “dominare in ragione della sua esperienza e… padronanza della disciplina equestre”.

Di qui, la conclusione – coerente con le premesse in diritto e in linea con la struttura della fattispecie legale di riferimento – che la condotta della cavallerizza rappresentava la causa esclusiva dell’evento dannoso alla medesima occorso, come tale idonea ad integrare il caso fortuito di cui all’art. 2052 c.c..

6.2. – La decisione così assunta dal giudice di appello non contrasta, del resto, con i principi in materia di prova presuntiva.

Va osservato, anzitutto, che l’evocazione della norma di cui all’art. 2728 c.c. non è pertinente nella specie, attenendo alla disciplina delle presunzioni legali, che non riguarda affatto la prova del “fortuito” di cui all’art. 2052 c.c., la quale, alla stregua del principio di insussistenza di una gerarchia delle fonti di prova (salvo, per l’appunto, le eccezioni specificamente previste dalla legge), può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche tramite presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2729 c.c..

Quanto, poi, a quest’ultima fonte di prova, a carattere inferenziale, le doglianze sono assolutamente generiche, limitandosi a dedurre un supposto ricorso, da parte del giudice di appello, ad una “semplice considerazione personale”, senza argomentare su una eventuale violazione di legge, ma impingendo direttamente (in modo inammissibile, perchè si sostituisce alla valutazione probatoria riservata al giudice del merito) sulla portata del fatto ignoto (il dominio del cavallo in base all’esperienza della cavallerizza) al fine di deprivarlo di consistenza probatoria, tacendo, però, sulla portata del fatto noto (ossia che la P. era “pacificamente” una “cavallerizza esperta”), idoneo, invece, a fondare plausibilmente la relazione inferenziale dedotta dalla stessa Corte territoriale.

6.3. – Nè, per altro verso, il giudice di secondo grado, fondando il proprio convincimento sul complessivo materiale probatorio acquisito in giudizio, ha violato i principi giuridici in tema di onere probatorio.

Invero, la censura della ricorrente non coglie che le conseguenze derivanti dal riparto dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., trovano rilievo soltanto in via sussidiaria, ossia nell’evenienza in cui, in base ai fatti allegati e alle rituali acquisizioni probatorie nel corso del giudizio, da qualunque parte provengano, la dimostrazione dei fatti di cui la parte era onerata (in base, per l’appunto, alla ripartizione che ne fa la norma sopra indicata) non sia raggiunta.

Difatti, il principio dell’onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei fatti debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poichè nel vigente ordinamento processuale opera il principio di acquisizione (che trova fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo), secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte (tra le tante, Cass., 25 settembre 1998, n. 9592; Cass., 25 settembre 2013, n. 21909).

E, nella specie, non è affatto posto in discussione che la decisione della Corte di appello sia stata assunta in base ad allegazioni e prove (anche presuntive) acquisite ritualmente in giudizio.

7. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza.

La Corte territoriale, riferendosi alla specifica esperienza di cavallerizza di essa P., sarebbe incorsa nel vizio di ultra petizione, non avendo i convenuti eccepito tempestivamente (ma per la prima volta soltanto in comparsa conclusionale di primo grado) che il sinistro fosse da addebitarsi alla colpa esclusiva dell’attrice.

7.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente (facendo leva su un error in procedendo del giudice di merito, per violazione dell’art. 112 c.p.c.), il limite del caso fortuito, che esime da responsabilità civile il proprietario dell’animale ai sensi dell’art. 2052 c.c., ha attinenza – come affermato da questa Corte (Cass., 19 maggio 2011, n. 11015) in caso analogo (art. 2051 c.c., che costruisce la fattispecie legale in modo identico a quella dell’art. 2052 c.c., gravando il danneggiato della prova liberatoria del fortuito) – meramente probatoria e “non costituisce materia per eccezioni in senso proprio, sottratto al rilievo d’ufficio”.

E nella specie la sentenza impugnata in questa sede non solo dà per pacifico il fatto (su cui si impernia la decisione) che la P. fosse “cavallerizza esperta” (e a tal riguardo valgono anche le considerazioni già svolte sub 6.2. e 6.3), ma trascrive anche il contenuto della sentenza del Tribunale di Lodi, da cui si evince l’acquisizione già in sede di giudizio di primo grado della “circostanza di fatto” per cui “l’attrice è una cavallerizza esperta ed iscritta alla Federazione Italiana Sport/Equestri”, che, come tale, non è stata contestata neppure con il motivo in esame, le cui doglianze si appuntano unicamente sulla asserita carenza di tempestiva “eccezione” da parte dei convenuti in ordine al fatto “che l’incidente fosse da addebitarsi alla colpa della dott.ssa P. e in particolare alla “sua ingiustificabile (specie data la sua esperienza) capacità di stare in sella”; dunque, rispetto a deduzione che presuppone già acquisita al giudizio la predetta “circostanza di fatto”.

8. – Con il sesto mezzo è denunciato “omesso esame” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte territoriale non avrebbe esaminato il fatto decisivo, e incontestato, “che il cavallo è scivolato… all’indietro sul ghiaccio, facendosi invece riferimento ad un preteso (e inesistente) semplice scarto del cavallo stesso”.

9. Con il settimo mezzo è dedotto “omesso esame” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’appello non avrebbe esaminato i fatti relativi alle misure minime di sicurezza del servizio offerto, alla scelta del percorso, alla scelta del cavallo e alle “maldestre e pericolose modalità di soccorso”.

10. – I motivi sesto e settimo, da scrutinarsi congiuntamente, non possono trovare accoglimento.

Nel presente giudizio, essendo la sentenza di appello impugnata in questa sede stata pubblicata il 13 aprile 2013, trova applicazione la disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), che, come previsto dal cit. art. 54, comma 3, si applica alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012 (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione di detto D.L.).

Sicchè, occorre rammentare, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (anzitutto Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), che il vizio veicolabile in base alla predetta norma processuale è “relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Con l’ulteriore puntualizzazione per cui “la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili” (tra le altre, Cass., 9 giugno 2014, n. 12928), esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione o di contraddittorietà della stessa (Casa. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., sez. un., 23 gennaio 2015, n. 1241; Cass., 6 luglio 2015, n. 13928).

Ne consegue che le doglianze mosse dalla ricorrente si palesano inconsistenti a fronte della motivazione, tutt’altro che “apparente” o “manifestamente” incomprensibile, resa dalla Corte territoriale, la quale ha vagliato l’intera vicenda relativa al sinistro e ciò con particolare riferimento non solo all’esperienza e all’abilità della “cavallerizza”, ma anche alle altre modalità di accadimento dell’evento lesivo, in relazione alle caratteristiche del luogo, alla condotta dell’animale e alle stesse presunte modalità di soccorso (cfr. sintesi al 2.1. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui si rinvia).

6. – Il ricorso deve, dunque, essere rigettato e la ricorrente condannata, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento, in favore delle parti resistenti (stante la discussione in pubblica udienza del loro difensore munito di procura speciale), delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (e tenuto conto che la discussione in udienza presuppone lo studio della controversia).

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di M.S. e M.M., in solido tra loro, in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Al sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit.

D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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