Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12390 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28468-2018 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE

GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato NICOLA RIVELLESE,

rappresentato e difeso dall’avvocato NOEMI ENRICO;

– ricorrente –

contro

GI.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY

1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MALDONATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 787/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 28/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a quattro motivi, G.G. ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Salerno, resa pubblica in data 28 agosto 2017, che (per quanto rileva in questa sede) ne rigettava il gravame principale avverso la decisione del Tribunale di Sala Consilina, Sezione distaccata di Sapri, il quale, a sua volta, ne aveva respinto la domanda volta ad ottenere la condanna del conduttore Gi.An. al pagamento dei non corrisposti canoni di locazione di un immobile ad uso commerciale (nonchè respinto la domanda riconvenzionale del conduttore diretta ad ottenere un ristoro per i miglioramenti apportati all’immobile);

che la Corte d’appello di Salerno osservava che: 1) era infondato il primo motivo di gravame in quanto la censura dell’appellante non coglieva la ratio decidendi della decisione del giudice di primo grado, basata sul comportamento della parte che si presumeva inadempiente (conduttore) e valorizzando al riguardo anche la pregressa situazione fattuale; 2) era infondato anche secondo motivo di gravame con il quale non era appieno colta la ratio decidendi della decisione del Tribunale, fondata sulla mancata tempestiva comparizione dell’attore a rendere interrogatorio formale, sull’assenza di una giustificazione e sulla valutazione ai fini probatori della condotta processuale attorea; 3) era infondato anche l’appello incidentale in quanto, pur assumendosi l’effettuazione di modifiche all’impianto per metterlo a norma, nulla si diceva sul suo stato pregresso, oltre al fatto che i miglioramenti o le addizioni da apportare all’immobile, ai sensi della clausola contrattuale n. 9, necessitavano del consenso scritto del locatore;

che resiste con controricorso Gi.An.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata l’omessa e/o insufficiente motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non consente di comprendere le ragioni poste a fondamento, non evidenzia gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione ed impedisce ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del giudicante;

b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per aver erroneamente entrambi i giudici di merito fondato la propria decisione sulla base di un fatto – pregressa vicenda processuale tra le medesime parti e riguardanti il medesimo rapporto contrattuale assolutamente estraneo all’odierna causa;

c) con il terzo motivo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c., per aver erroneamente entrambi i giudici di merito ritenuto come ammessi i fatti dedotti nei capitoli dell’interrogatorio formale in virtù della mancata comparizione dell’attore a rendere il mezzo istruttorio, pur in assenza dell’emersione nel corso di giudizio di altri elementi istruttori necessari;

d) con il quarto mezzo è denunciata, in subordine al secondo e al terzo motivo ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per aver erroneamente entrambi i giudici valutato in maniera imprudente le risultanze istruttorie;

a.b.c.d.1.) i motivi, e quindi, il ricorso sono inammissibili per mancato rispetto del requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in assenza di una esposizione chiara ed esauriente dei fatti (sostanziali e processuali) di causa e, tra questi, segnatamente delle domande svolte dalle parti e, segnatamente, del contenuto della sentenza di primo grado, oltre che delle argomentazioni essenziali su cui si fonda la sentenza impugnata (tra le tante, Cass. n. 1926/2015; Cass. n. 19060/2016), che non si evincono neppure dall’intero contesto dell’atto di impugnazione (Cass. n. 15478/2014).

Del resto (e ulteriormente rispetto al rilievo assorbente che precede), la motivazione della Corte d’appello si presenta tutt’altro che incomprensibile o intrinsecamente contraddittoria, disattendendo le censure del G. proprio sul presupposto di non aver compreso la ratio decidendi del giudice di primo grado, là dove parte ricorrente, in violazione anche dei principi di specificità e di localizzazione processuale (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6), omette del tutto (come detto) di riferire i contenuti della decisione assunta dal giudice di primo grado, rendendo affatto non intelligibili le doglianze prospettate con il ricorso.

Ciò senza trascurare che i restanti motivi veicolano doglianze non pertinenti rispetto ai parametri normativi evocati (art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 5), criticando (in contrasto con l’insegnamento di Cass. n. 11892/2016) la valutazione di merito compiuta dal giudice di appello, senza denunciare l’omesso esame di fatto storico decisivo e discusso, alla stregua del vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (Cass., S.U., n. 8053/2014), ovvero, anche in violazione del principio di localizzazione processuale (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), dolendosi dell’accertamento del fatto processuale compiuto dal giudice di appello in riferimento alla mancata risposta all’interrogatorio formale, la cui valutazione in termini di argomento di prova da essa desumibile non è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 10099/2013).

La memoria di parte ricorrente, là dove non inammissibile per non essere soltanto illustrativa delle originarie ragioni di censura, non fornisce argomenti idonei a scalfire i rilievi che precedono.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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