Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1239 del 22/01/2014
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1239 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MELONI MARINA
SENTENZA
sul ricorso 956-2008 proposto da:
BELLA ITALIA TRADING SRL in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 29, presso lo studio
dell’avvocato PASQUALE BOREA, rappresentato e difeso
dall’avvocato PINTO MARIA CRISTINA con procura speciale
notarile del Not. Dr. ALESSIO PALLADINI in VERONA rep.
n. 1027 del 02/01/2012;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO DOGANE DI VERONA in
persona del Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE DOGANE
Data pubblicazione: 22/01/2014
DIREZIONE REGIONE DOGANE VENETO in persona del
, Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
avverso
la
sentenza
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.
di
n.
VERONA,
98/2006
depositata
della
il
20/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/09/2013 dal Consigliere Dott. MARINA
MELONI;
udito per il ricorrente l’Avvocato PINTO che si riporta
agli scritti e chiede l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che
si riporta agli scritti e chiede il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
– controrlcorrenti –
Svolgimento del processo
A seguito di notifica di due atti di accertamento
Dogane di Verona nei confronti della società Bella
Italia Trading srl, relativi ad una operazione di
importazione a dazio zero di due distinte partite
di merci, consistenti in tessuti di lino,
acquistate da due ditte con sede in Lettonia,
(Lintekstils e Tekspo) scortate da certificato EUR
l attestante l’origine e la provenienza Lettone,
veniva disposto il recupero dei dazi doganale in
quanto risultava da un controllo a posteriori che
il certificato EUR l non era valido, come
dichiarato dalla stessa autorità Lettone a seguito
di indagine da parte di una delegazione comunitaria
presso lo Stato di Lettonia.
Avverso i suddetti avvisi di accertamento si
instauravano due distinte controversie doganali
concluse con provvedimenti di rigetto del Direttore
regionale della Agenzia delle Dogane di Venezia,
impugnati dalla società davanti alla Commissione
Tributaria provinciale di Verona.
suppletivo e di rettifica emessi dall’Agenzia delle
La
società
Bella
Italia
Trading
srl presentava altresì davanti alla Commissione
Tributaria provinciale di Verona, due distinti
ricorsi avverso i suddetti avvisi di rettifica nei
quali lamentava l’illegittimità degli atti
giustificava, a suo dire, l’applicazione dell’art.
220 codice doganale comunitario.
La Commissione tributaria provinciale di Verona,
riuniti tutti i procedimenti, con sentenza
nr.64/03/04 rigettava i ricorsi. Su ricorso in
appello proposto dalla società, la Commissione
tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia con
sentenza nr.98/15/06 depositata in data 20/11/2006,
confermava la sentenza di primo grado. Avverso la
sentenza della Commissione Tributaria regionale ha
proposto ricorso per cassazione Bella Italia
Trading srl con tre motivi e successivamente si è
costituito con memoria il nuovo difensore.
L’Agenzia
delle
Dogane
ha
resistito
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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con
impugnati nonché l’errore commesso dall’Ufficio che
Con il primo
motivo
di
ricorso
la
ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art.20 D.L.gs 374/90 ed art.14 D.L.gs 546/92
in relazione agli artt. 360 nr.3 cpc in relazione
alla dichiarata carenza di legittimazione
Venezia.
Secondo la ricorrente infatti, al termine dei
procedimenti di controversia doganale, il Direttore
regionale dell’Agenzia delle Dogane di Venezia, in
difformità dal parere espresso dal Collegio
Regionale dei Periti doganali di Venezia che aveva
riconosciuto “non regolari” i certificati EUR l
rilasciati dalle Autorità Doganali lettoni, aveva
affermato che i certificati EUR 1 erano da
considerare “falsi” senza fornire motivazioni al
riguardo e pertanto i provvedimenti direttoriali
erano affetti da vizi e per questo erano stati
impugnati davanti alla CTP di Verona che si era
dichiarata incompetente. La CTR aveva confermato la
pronuncia rilevando erroneamente il difetto di
legittimazione processuale dell’Ufficio regionale
delle Agenzia delle Dogane di Venezia nonostante la
ricorrente avesse impugnati gli atti per vizi
propri.
3
dell’Agenzia delle Dogane Direzione Regionale di
Il motivo proposto è
essere respinto.
infondato e deve
Infatti l’art. 23 D.L.vo 31
dicembre 1992 nr. 546 individua la parte resistente
del
procedimento
davanti
alla
commissione
LO:e,'”
tributaria provinciale nell'”ebtta locale” e,
per
(P)
il combinato disposto degli artt. (19 e 23,
locale” deve intendersi l’Ufficio
che ha
emesso l’atto e quindi nella fattispecie l’Ufficio
provinciale dell’Agenzia delle Dogane,e Quindi non
può che essere confermata la sentenza di appello
che ha ritenuto, conformemente a quella di primo
grado, la carenza di legittimazione processuale
della Direzione regionale dell’Agenzia delle
Dogane.In ogni caso il motivo di ricorso è
inammissibile per difetto d’interesse in quanto è
pacifica ed incontestata la unitarietà
organizzativa delle agenzie fiscali Cc.
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e. ,P;LY(((z
Con il secondo e terzo motivo di ricorso, la
ricorrente
lamenta
contraddittoria
omessa,
motivazione
insufficiente
su
un
e
fatto
controverso e decisivo per il giudizio in relazione
all’art. 360 nr.5 cpc in quanto la CTR non ha
motivato in ordine alla falsità del certificato EUR
l; all’errore dell’Autorità Doganale non
riconoscibile da parte dell’importatore; alla
condanna alle spese della società.
4
Ar
per
Il secondo motivo di
ricorso
è
inammissibile, non avendo la società contribuente
provveduto a predisporre, accanto all’esposizione
del motivo, il c.d. momento di sintesi relativo
all’individuazione della questione di fatto
la stessa limitata a sostenere un deficit
contenutistico della motivazione.
Infatti, per costante orientamento della Corte, è
inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod.
proc. civ., per le cause ancora ad esso soggette,
il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione qualora non sia stato
formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la
conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi,
anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della
formulata censura, attesa la “ratio” che sottende
la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla S.C., la
quale deve essere posta in condizione di
comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale
sia l’errore commesso dal giudice di merito. (Sez.
5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011).
Inoltre
la
espone
ricorrente
nella
censura
questioni giuridiche e non fattuali contravvenendo
5
controversa e decisiva per il giudizio, essendosi
così all’orientamento
secondo il quale
(Sez. 5, Sentenza n. 16655 del 29/07/2011
Presidente: D’Alonzo M. Estensore: Di Iasi C.) “In
tema di ricorso per cassazione, per effetto della
modifica dell’art. 366-bis cod. proc. civ.,
n. 40, il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione di cui all’art. 360,
comma l, n. 5 cod. proc. civ., deve essere dedotto
mediante esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle
ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea
la motivazione a giustificare la decisione,
fornendo elementi in ordine al carattere decisivo
di tali fatti, che non devono attenere a mere
questioni o punti, dovendosi configurare in senso
storico o normativo, e potendo rilevare solo come
fatto principale ex art. 2697 cod. civ.
(costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo)
o anche fatto secondario (dedotto in funzione di
prova determinante di una circostanza principale).”
Il secondo motivo è altresì infondato e deve essere
respinto. Infatti occorre rilevare che la CTR ha
esaustivamente motivato, sulla base del materiale
probatorio agli atti, in ordine alla falsità dei
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introdotta dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006,
certificati EUR l che
accompagnavano la
merce e ciò in quanto i giudici hanno chiarito con
esauriente motivazione che “la contraffazione di un
certificato può anche avvenire con l’impiego di
timbri originali” e pertanto la genuinità dei
necessariamente genuinità dei certificati medesimi.
In ordine poi alla violazione e falsa applicazione
dell’art. 220, i giudici di secondo grado hanno
ritenuto l’insussistenza delle condizioni di
operatività della esimente di cui all’art. 220
comma 2 del regolamento CE 2913/92, a causa della
falsificazione del certificato di accompagnamento
(sebbene con timbri originali) che esclude la
sussistenza di un errore dell’autorità doganale.
A tale proposito, infatti, occorre premettere che
in tema di imposizione fiscale delle importazioni,
l’esenzione prevista dall’art. 220, secondo comma,
lett. b), del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto
Codice doganale comunitario), che preclude la
contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione
doganale in presenza di un errore dell’autorità
doganale e della buona fede dell’operatore, intende
tutelare il legittimo affidamento del debitore
circa la fondatezza degli elementi che intervengono
nella decisione di recuperare o meno i dazi. Per
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timbri apposti sui certificati non implica
essere applicata, essa
richiede
un
compiuto esame da parte del giudice sulla
ricorrenza della buona fede che deve essere
dimostrata dal soggetto che intende avvalersi
dell’agevolazione, attraverso la prova della
indicati dalla norma perchè resti impedito il
recupero daziario, ed in particolare: a) un errore
imputabile alle autorità competenti; b) un errore
di natura tale da non poter essere riconosciuto dal
debitore in buona fede, nonostante la sua
esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato
da un comportamento attivo delle autorità medesime,
non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni
inesatte dell’operatore; c) l’osservanza da parte
del debitore di tutte le disposizioni previste per
la sua dichiarazione in dogana dalla normativa
vigente. (Sez. 5, Sentenza n. 15297 del 10/06/2008).
Invero il debitore è il dichiarante della merce
importata, per cui anche se questa sia accompagnata
da certificati inesatti o falsificati a sua
insaputa, la Comunità Europea non è tenuta a subire
le conseguenze di comportamenti scorretti dei
fornitori dei suoi cittadini, che rientrano invece
nel rischio dell’attività commerciale, contro il
quale gli operatori economici possono premunirsi
8
sussistenza cumulativa di tutti i presupposti
nell’ambito dei loro
(
rapporti negoziali
sez.5 nr. 15758 del 19/9/2012; nr. 4022 del
14/3/2012; nr. 1583 del 3/2/2012). Lo stato
soggettivo di buona fede dell’importatore non ha
valenza esimente “in re ipsa” ma solo se
individuate dalla normativa comunitaria, tra le
quali l’errore incolpevole non rilevabile dal
debitore di buona fede, nonostante la sua
esperienza e diligenza, imputabile a comportamento
attivo dell’Autorità doganale (sez.V nr. 7674 del
16/5/2012).
In particolare, l’ errore non può consistere nella
mera
ricezione
dichiarazioni
di
inesatte
dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non
deve verificarne o valutarne la veridicità, ma
richiede un comportamento attivo, perché il
legittimo affidamento del debitore è protetto solo
se le autorità competenti hanno determinato
presupposti su cui si basa la sua fiducia. (Cass.
2012/4022). Inoltre l’esenzione prevista dall’art.
220, secondo comma, lett. b), del Codice doganale
comunitario, che preclude la contabilizzazione a
posteriori dell’obbligazione doganale in presenza
di un errore dell’autorità doganale e della buona
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riconducibile ad una delle situazioni fattuali
fede
dell’operatore,
presuppone
la
genuinità del certificato di origine, cioè la sua
regolarità formale e sostanziale. Di conseguenza
spetta all’importatore che intende usufruire
dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che
buona fede, mediante la prova della sussistenza
cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla
citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe
esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle
irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti
inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza
necessità di alcun procedimento intermedio che
convalidi la non autenticità, provvedendo gli
stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire
tramite le disposte commissioni di inchiesta le
conclusioni cui debbono attenersi le Autorità
nazionali (Cass. 2009/13680).
A tale proposito correttamente la sentenza di
secondo grado non ha ravvisato nella fattispecie un
errore attivo commesso in via autonoma dalle
Autorità Doganali locali in quanto, nel caso in
esame, l’errore delle Autorità Doganali che ha
10
importa e, in ogni caso, il suo stato soggettivo di
’
.
••
_
.
N. lu lj.i>LL. – N.5
MATERIA TRJBUTARIA
impedito
l’immediata
riscossione
del
tributo non era di natura tale da non poter essere
ragionevolmente scoperto dal debitore in buona fede
e ciò per la sua natura di operatore
Il terzo motivo di ricorso è ugualmente infondato e
deve essere respinto in quanto la CTR ha
esaustivamente motivato in ordine alla condanna
alle spese della società richiamandosi
espressamente e correttamente al criterio della
soccombenza.
Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere
respinto con condanna alle spese del giudizio di
legittimità stante la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto e condanna Bella Italia
Trading srl al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità che si liquidano in C 13.500,00
oltre spese prenotate a debito .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della
V sezione civile il 23/9/2013
Il consigliere estensore
residente
professionale.