Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12387 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 17/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.17/05/2017),  n. 12387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20655/2012 proposto da:

D.G., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma,

via Cipro n. 77, presso l’avvocato Russillo Gerardo, rappresentato e

difeso dall’avvocato Mallardo Gianfranco, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Intesa S. Paolo S.p.a., (denominazione a seguito di fusione per

incorporazione del Sanpaolo Imi S.p.a. in Banca Intesa S.p.a.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, via Simone De Saint Bon n.89, presso l’avvocato

Genovesi Federico, rappresentata e difesa dall’avvocato Apuzzo

Paolo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1518/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato PAOLO APUZZO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.G. ricorre per cassazione nei confronti di Intesa San Paolo s.p.a., articolando tre motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli, 8 maggio 2012, n. 1518, che ha confermato la decisione resa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Napoli in data 2 settembre 2008, n. 9049.

Con detta pronuncia la Corte territoriale ha in particolare respinto la domanda, formulata dall’attuale ricorrente, di accertamento della nullità del contratto di apertura di credito e di conto corrente in relazione all’applicazione dell’interesse anatocistico trimestrale, degli interessi ultralegali e della “pratica del massimo scoperto”, con connessa condanna della Banca alla corresponsione della somma di Euro 36.000,00 a titolo di indebito. In proposito la Corte ha rilevato la “genericità della richiesta avanzata” da D. “e, ancor più, il fatto che il correntista avrebbe potuto di propria iniziativa acquisire la documentazione relativa al rapporto intercorso con l’istituto di credito convenuto, secondo quanto disposto dall’art. 119″ dell’attuale testo unico bancario.

Nei confronti del ricorso presentato da D.G. resiste la Banca Intesa San Paolo, la quale, nel depositare un apposito controricorso, ha pure insistito nella proposizione dell'”eccezione di propria carenza di interesse e di legittimazione”, già avanzata nel corso del precedenti grado del giudizio. Intesa San Paolo ha pure depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I motivi di ricorso per cassazione, proposti da D.G., denunziano i vizi qui di seguito richiamati.

Il primo motivo dichiara: “vi è omessa o insufficiente motivazione della sentenza 1518/2012 emessa dalla Corte di Appello di Napoli, per mancata o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove viene asserito che “nella specie il primo giudice ha fatto corretta applicazione dei principi in materia probatoria”; “l’attore avrebbe dovuto dare la prova di aver pagato le somme non dovute… ed avrebbe, comunque, dovuto depositare la documentazione necessaria alla ricostruzione del rapporto”; “tale parziale documentazione non consente di ricostruire, come preliminare ad ogni domanda proposta, l’effettiva situazione di dare e avere all’epoca della presentazione della domanda, nè di accertare che la banca abbia effettivamente addebitato al correntista somme non dovute”.

Il secondo motivo rileva: “vi è omessa o insufficiente motivazione della sentenza 1518/2012 emessa dalla Corte di Appello di Napoli, per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie, su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione degli artt. 191 e 198 c.p.c. e art. 2711 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., laddove viene asserito che “infondato è anche il motivo con il quale il D. si duole della mancata pronunzia dell’ordine di esibizione richiesto ai sensi dell’art. 210 c.p.c. e della mancata nomina di C.T.U. al quale fare anche acquisire tale documentazione. La genericità della richiesta avanzata e, ancor più, il fatto che il correntista avrebbe potuto di propria iniziativa acquisire la documentazione relativa al rapporto intercorso con l’istituto di credito convenuto, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 e succ. mod. rendono evidente l’insussistenza dei presupposti per la pronuncia dei citati provvedimenti. Sia l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. che la nomina del di un CTU non possono supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante””.

Il terzo motivo assume: “vi è omessa, illogica motivazione della sentenza 1518/2012 emessa dalla Corte di Appello di Napoli su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove si asserisce che “… l’appellante, proponendo una domanda di condanna al pagamento di Euro 36.000,00, non ha nemmeno specificato in virtù di quali parametri ha determinato la suindicata somma””.

2.- Prima di procedere all’esamine dei motivi testè richiamati, va presa in considerazione l’eccezione di “propria carenza di interesse e di legittimazione”, che la Banca ha inteso formulare nell’avvio dello svolto controricorso. Secondo la prospettazione della resistente, in specie, trattasi di eccezione che fa perno sulla circostanza che “il credito già vantato dalla convenuta nei confronti dell’odierno attore fu oggetto di cessione in favore della Cofactor s.p.a.,… circostanza pacifica” e che è stata “inopinatamente disattesa dal Tribunale, in quanto ritenuta tardivamente proposta solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, vecchia formulazione, e in ordine alla quale la Corte di Appello non si è nemmeno pronunziata, sebbene formalmente riproposta”.

L’eccezione, che viene peraltro viene a confondere la cessione del credito col ben diverso istituto della cessione del contratto, è inammissibile.

In effetti, la questione sottesa all’eccezione avrebbe potuto essere sollevata solo a mezzo di proposizione di apposito ricorso incidentale, posto che nel giudizio di cassazione non viene in ogni caso a trovare applicazione la disposizione dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass., 14 aprile 2015, n. 7523).

Del resto, nel concreto della vicenda processuale qui in esame già la statuizione del giudice di primo grado – che tale eccezione ha ritenuto “tardiva” – avrebbe dovuto essere fatta oggetto di apposita impugnazione (e non già di mera riproposizione, come invece avvenuto); secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, il convenuto vittorioso nel merito in primo grado, che intenda devolvere al giudice d’appello una questione pregiudiziale di rito, affrontata e decisa nella sentenza in senso a lui sfavorevole, ha l’onere di formulare un’impugnazione incidentale, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass., SS.UU., 16 ottobre 2008, n. 25246).

3.- Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso, come sopra richiamati, possono essere esaminati in modo congiunto, in ragione della loro sostanziale complementarietà.

Gli stessi si manifestano infondati, in relazione al denunziato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e inammissibili rispetto a quello richiamato nel n. 5 della predetta disposizione.

4.- In proposito è da fare riferimento, prima di tutto, alla norma dell’art. 119 vigente testo unico bancario, che il ricorrente evoca con ripetuti richiami. Senza peraltro venire a dare un corpo e una veste precisa agli stessi: come pure sarebbe all’evidenza necessario; tanto più che, nel contesto del ricorso concretamente svolto, il richiamo alla disciplina dettata dall’art. 119 risulta limitato ai primi tre commi del relativo articolato (cfr., in specie, la quarta pagina di svolgimento del primo motivo).

Ciò posto, appare opportuno ad ogni modo rilevare che la norma dell’art. 119, ove anche considerata nel suo intero complesso – e quindi come pure includente il disposto del comma 4, che della stessa costituisce anzi il fulcro centrale -, non comporta alcun esonero, ovvero assolvimento a priori, del correntista dall’onere della prova; nè tanto meno statuisce dei criteri di valutazione legale del materiale probatorio a favore del correntista. La stessa si sostanzia piuttosto nel consentire a quest’ultimo un approccio “agevole” al materiale probatorio del rapporto di conto, secondo i termini e modi che sono peraltro esplicitati nel dettaglio dai suoi commi 1, 2 e 4.

5.- Quanto poi all’ordine di esibizione, su cui pure insistono i motivi in esame, è da ricordare che, secondo l’orientamento di questa Corte, l'”emanazione di un ordine di esibizione (nella specie di documenti) è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa” (cfr., per tutte, Cass., 25 ottobre 2013, n. 24188).

E lo stesso ordine di rilievi ben può essere ripetuto, nella sostanza, per il tema della consulenza tecnica, sollecitata dall’attuale ricorrente. Cfr., ad esempio, l’ordinanza di Cass., 8 febbraio 2011, n. 3130.

6.- I motivi in esame in modo espresso si richiamano, d’altra parte, a una pretesa “mancata o erronea valutazione delle risultanze istruttorie”, che addebitano ai giudici del merito. Nei fatti, gli stessi sembrerebbero volere denunziare – pur nel mancato riferimento alle relative disposizioni di legge – vizio di violazione e falsa applicazione dei detti artt. 115 e 116, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice. Vizio che, in sede di ricorso per cassazione, risulta apprezzabile nei soli limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr., da ultimo, la sentenza di Cass., 30 novembre 2016, n. 24434).

Ora, in proposito è principio acquisito di questa Corte quello per cui una “questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (così l’ordinanza resa adesso da Cass., 27 dicembre 2016, 27000).

7.- Resta ancora da rilevare che la statuizione resa dalla Corte territoriale in materia si fonda, altresì, sulla effettuata rilevazione espressa che “la mancanza di allegazioni relative all’esito della transazione intercorsa con la Confactor, alla quale il credito fu ceduto, contribuisce ulteriormente a impedire una ricostruzione dei rapporti tra dare e avere”.

Tale rilevazione esprime una ratio decidendi che risulta autonoma e, per sè, pure autosufficiente. Non consta, tuttavia, che il ricorrente abbia impugnato, o in qualche modo censurato, la ragione in discorso.

8.- Il terzo motivo di ricorso censura la decisione della Corte territoriale là dove questa è venuta ad affermare che la domanda di condanna, a suo tempo svolta dall’attuale ricorrente, “non ha nemmeno specificato in virtù di quali parametri ha determinato la… somma” di Euro 36.000,00.

Il motivo si manifesta inammissibile e comunque infondato.

Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, il “motivo del ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, deve specificatamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., e cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo, od anche un fatto secondario, e cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, purchè controverso e decisivo” (cfr. Cass. 29 gennaio 2013, n. 2133).

D’altra parte, lo svolgimento, che il ricorso dà al motivo in esame, non indica, ovvero riporta, il percorso che l’attuale ricorrente avrebbe adottato per giungere alla determinazione dell’anzidetta somma, che pure viene pretesa in ripetizione. Sì che la stessa affermazione, relativa alla misura di quanto si pretende dovuto in ripetizione, risulta in definitiva sottrarsi a un qualunque possibile apprezzamento.

9.- In conclusione, il ricorso va rigettato, essendo in parte inammissibili e in parte infondati i primi due motivi, inammissibile e comunque infondato il terzo.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.G. al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.400,00 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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