Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12386 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 17/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.17/05/2017),  n. 12386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22007/2012 proposto da:

T.E., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

Roma, Viale G. Mazzini n.88, presso l’avvocato Amiconi Mauro,

rappresentato e difeso dall’avvocato Di Vita Giuseppe, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

di San Valentino n. 21, presso l’avvocato Carbonetti Francesco, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 506/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE DI VITA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la contro ricorrente, l’Avvocato FABRIZIO CARBONETTI, con

delega orale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso e

per l’accoglimento dei restanti motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con citazione notificata in data 2 aprile 2004, T.E. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Catania, Banca 121 s.p.a. Promozione Finanziaria, poi Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., esponendo che il (OMISSIS) aveva stipulato un piano di finanziamento denominato “(OMISSIS)” che prevedeva l’accensione di un finanziamento, l’investimento in titoli (OMISSIS), la sottoscrizione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare e una polizza assicurativa. Lamentava l’attore di non aver potuto comprendere il rischio economico dell’operazione, che si era rivelata altamente speculativa. Domandava pertanto dichiararsi nullo o annullabile il contratto di intermediazione, condannandosi la banca convenuta al rimborso del capitale versato, oltre che alla restituzione delle rate pagate a far data dal (OMISSIS).

Nella resistenza della banca, il Tribunale di Catania accoglieva la domanda attrice.

2. – La pronuncia era riformata dalla Corte di appello di Catania, la quale, con sentenza del 4 aprile 2012, rigettava la domanda attrice. In sintesi, Il giudice del gravame riteneva fondata la deduzione dell’appellante, secondo la quale la sanzione della nullità contrattuale non colpirebbe la violazione di obblighi di comportamento previsti dalla legge, tra cui quello richiamato dall’art. 28 reg. Consob n. 11522/1998. Facendo riferimento alle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte nn. 26724 e 26725 del 2007, il giudice distrettuale osservava come in nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che fanno capo all’intermediario possa determinare la nullità del contratto di intermediazione e dei singoli atti negoziali conseguenti.

3. – Contro la sentenza della Corte di appello di Catania ricorre T.E., che affida la propria impugnazione a cinque motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena. Nella propria memoria ex art. 378 c.p.c. il ricorrente ha sollevato la questione della nullità del contratto concluso per la non meritevolezza dell’interesse che lo stesso dovrebbe soddisfare.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è lamentata “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Rileva l’istante che la Corte di appello era rimasta silente sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., da lui proposta, e che tale lacuna della sentenza integrava un vizio motivazionale. Il giudice distrettuale aveva inoltre omesso di esaminare la domanda di annullamento del contratto dedotta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e “continuamente reiterata”. Ancora, la Corte di Catania aveva ignorato la circostanza, incontestata, per cui il contratto era stato sottoscritto dallo stesso ricorrente fuori dai locali della banca, su formulari privi della previsione della facoltà di recesso del cliente.

1.1. – Il secondo motivo contiene una censura di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30 (t.u.f.). Viene ribadito dal ricorrente che, secondo quanto da lui dedotto, il contratto era stato sottoscritto nella propria abitazione, circostanza, questa, mai contestata o smentita da controparte, e che il contratto stesso non prevedeva la facoltà di recesso dall’intera operazione finanziaria, pur essendo stato stipulato al di fuori dei locali della banca.

1.2. – Il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1324, 1427 e 1428 c.c., oltre che dell’art. 1, comma 2 e artt. 9 t.u.f., “in combinato disposto con il reg. Consob n. 11522/98”. Ricorda il ricorrente che, giusta l’art. 21 t.u.f., nella prestazione di servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza e che la banca non aveva osservato tale regola di condotta. Le violazioni poste in atto dalla controricorrente, con particolare riguardo alla inosservanza degli obblighi informativi e al dovere di astensione dell’intermediario con riferimento a operazioni non adeguate al profilo di rischio e agli obiettivi di investimento del cliente, avrebbero dovuto indurre la Corte del merito a rigettare l’appello accogliendo la domanda di annullamento del contratto stante il vizio della volontà di esso istante al momento di sottoscrizione del contratto.

1.3. – Con il quarto motivo la sentenza è impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 quater c.c., oltre che per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio. Assume l’istante di aver lamentato, sin dall’atto di citazione, la violazione della richiamata norma codicistica e che l’art. 8 del contratto prevedeva per il cliente il diritto di esercitare, in qualsiasi momento, la facoltà di estinguere anticipatamente il finanziamento, restando inteso che, nel caso di esercizio di tale facoltà, la banca avrebbe provveduto alla chiusura di tutte le operazioni disposte dal cliente con l’adesione al piano finanziario. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto, stante l’equivoca formulazione della clausola contrattuale, siccome riferita al contenuto dell’intero contratto di finanziamento, “dichiarare l’annullamento del contratto per effetto del recesso unilaterale” esercitato con lettera raccomandata del 13 gennaio 2004, “per avere la banca predisposto il formulario sottoposto all’adesione del cliente in modo ambiguo, in palese violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, tale che la clausola recante il numero 8 del contratto deve essere applicata nel senso più favorevole per il risparmiatore”.

1.4. – Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Assume il ricorrente che la riforma della prima decisione era stata determinata da un overruling, conseguente alle sentenze pronuciate da questa Corte a Sezioni Unite nel 2007 (nn. 26724 e 26725).

2. – Il primo motivo pone una questione processuale che rivendica precedenza di trattazione per ragioni logico-giuridiche. Esso contiene inoltre censure che si sovrappongono a quelle oggetto del secondo e del terzo motivo, sicchè pare opportuno procedere ad una trattazione congiunta dei tre mezzi di censura.

Essi risultano inammissibili.

Va osservato, anzitutto, che in tema di errores in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto; nè il mancato esame, da parte di quel giudice, di una questione puramente processuale può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 10 novembre 2015, n. 22952).

La censura vertente sull’omesso esame della domanda di annullamento del contratto è, del resto, carente di autosufficienza, in quanto il ricorrente non chiarisce come tale domanda, su cui non si è pronunciata la sentenza di appello, sia stata reiterata in fase di gravame.

L’assunto, poi, secondo cui la Corte del merito avrebbe ignorato la circostanza, che si assume incontestata, secondo cui il contratto era stato sottoscritto da T. fuori dai locali della banca, mediante la firma di formulari privi della previsione della facoltà di recesso si scontra col giudicato interno che risulta essersi formato su detta questione, la quale è stata decisa dal Tribunale (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza di prime cure) con statuizione che non risulta essere stata specificamente impugnata.

Per mera completezza può inoltre osservarsi che quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorrente ha l’onere di indicare, in osservanza del principio di autosufficienza, con quale atto e in quale sede sia stata fatta quella deduzione in fatto e in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica (Cass. 18 luglio 2007, n. 15961; in tema cfr. pure di recente Cass. 9 agosto 2016, n. 16655, secondo cui il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi).

2.1. – Il quarto motivo è anch’esso inammissibile.

Nella sua articolazione, la censura, che è connotata da un difetto di autosufficienza (basti pensare alla comunicazione di recesso, non trascritta nel corpo del motivo), è ben poco comprensibile. E’ il caso di ricordare che i motivi del ricorso per cassazione devono presentare i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata (per tutte: Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952).

Mette conto di aggiungere, poi, che della questione oggetto del motivo la sentenza impugnata, ancora una volta, non parla.

2.2. – Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Assume il ricorrente che la riforma della prima decisione era stata determinata da un overruling, conseguente alle sentenze assunte da questa Corte a Sezioni Unite nel 2007 (nn. 26724 e 26725).

Il motivo è inammissibile, tendendo esso a sindacare apprezzamenti rimessi alla discrezionalità del giudice del merito.

In tema di spese processuali, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa), o liquidazioni, che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (ex plurimis: Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 14 aprile 2000, n. 4818; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1485; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542). In particolare, poichè il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti commessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317).

3. – Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. – La pronuncia di inammissibilità, definendo il rito il presente giudizio di legittimità, preclude l’esame della questione, che attiene indubbiamente al merito, circa la non tutelabilità ex art. 1322 c.c., comma 2, del contratto concluso inter partes: questione che la difesa di parte ricorrente ha sollevato nella propria memoria ex art. 378 c.p.c..

L’esame di un tema siffatto risulta del resto inaccessibile a questa Corte per un secondo rilievo. Va osservato, in proposito, che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali rientra la nullità della sentenza, purchè il vizio infici direttamente il provvedimento e non sia effetto di altra nullità relativa al procedimento (Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319). Il principio vale anche per la nullità contrattuale, essendo consolidato l’insegnamento per cui la questione della nullità di un contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante ulteriori accertamenti, è inammissibile, perchè la sua rilevabilità d’ufficio, anche in sede di legittimità, postula che non vi sia necessità di nuove indagini di fatto (per tutte: Cass. 14 ottobre 2013, n. 23235; Cass. 15 luglio 2009, n. 16541). Ora, è indubitabile che lo scrutinio della questione proposta dal ricorrente postulerebbe una indagine sul contenuto del contratto: ma una puntuale ricognizione del programma negoziale non risulta essere stata svolta dalla Corte di merito nella precedente fase del giudizio (e ciò ben si comprende, visto che alla Corte non era stato richiesto di pronunciarsi sul profilo relativo alla meritevolezza di tutela del contratto concluso) e lo stesso ricorso – col quale si sono fatte valere, come si è detto, questioni diverse da quella sollevata con la memoria – non contiene alcuna evidenziazione di tali elementi di fatto. Si capisce, allora, come la questione sollevata riversi sulla Corte regolatrice un compito che è del tutto estraneo alle funzioni del giudice di legittimità.

5. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oneri accessori e rimborso spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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