Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12376 del 15/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 15/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 15/06/2016), n.12376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3523-2014 proposto da:

P.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

MARIA CESARO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BRUNO CANTONE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, 11210661002, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 293/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI del 13/05/2013, depositata il 03/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Napoli ha accolto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 53/05/2012 della CTP di Napoli che aveva accolto il ricorso di P.S. – ed ha così confermato l’avviso di accertamento concernente IRPEF per l’anno 2006 avviso consequenziale a quello (con il quale si era accertata l’omessa contabilizzazione di ricavi, corrispondenti ai finanziamenti risultanti come effettuati dai soci; l’appostazione di ammortamenti in eccesso; la detrazione di costi non di competenza perchè relativi all’esercizio 2005) emanato nei confronti della società “SIM-Edil sas” (di cui il contribuente risultava socio) ai fini della tassazione (“per trasparenza”) dei maggiori redditi imputabili ai fini IRPEF anche ai soci dei maggiori ricavi accertati in capo alla menzionata società.

La predetta CTR – premesso che la eccezione di non integrità del contraddittorio non poteva essere accolta, attesa la “sostanziale riunione dei procedimenti instaurati dalla società e dai tre soci”, tutti chiamati per la discussione avanti al medesimo collegio – ha ritenuto che il reddito imputato al P. dipendeva da quello accertato in capo alla società e che – avendo il medesimo collegio già confermato l’accertamento relativo alla società – doveva restare confermato anche l’accertamento concernente il reddito da partecipazione.

Il contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia si è costituita con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Con il primo motivo di ricorso (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e dell’art. 101 c.p.c. insieme con l’art. 111 Cost., comma 11) la parte ricorrente si duole che vi sia stata violazione della regola del necessario contraddittorio (correlata all’unitarietà dell’accertamento che concerne i redditi della società di persona e quello da partecipazione dei soci), violazione non sanata per effetto della “sostanziale riunione” che la CTR riteneva di avere fatto nel secondo grado di giudizio, nel mentre in primo grado le controversie erano rimaste separate.

Il motivo è infondato e deve essere disatteso.

Va anzitutto evidenziato che il processo può ritenersi ritualmente espletato (nonostante la separata trattazione, davanti ai medesimi organi giudiziari, delle questioni concernenti parti da considerarsi necessari contraddittori) per il fatto che le pronunce riguardanti soci e società sono state adottate dai medesimi collegi (nella identica composizione) nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria (come dimostra il numero immediatamente consecutivo delle pronunce emesse in primo ed in secondo grado), così realizzandosi quella vicenda esonerativa del formale litisconsorzio di cui è fatta analitica definizione da parte di Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3830 del 18/02/2010.

Perlomeno, la presunzione di cui si è detto, con riferimento al primo grado, non è stata smentita dal contenuto della censura di parte ricorrente che – sul punto, a fronte di una contraria pronuncia del giudice di appello – avrebbe dovuto conformarsi al canone di autosufficienza e descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso del primo grado di giudizio.

Non vi è dubbio, perciò, che si sia realizzato quel sostanziale contraddittorio tra le parti necessarie (con la connessa unitaria trattazione dei processi, nel quadro di una omogenea applicazione delle regole di trattazione e decisione) che è la conseguenza dell’unitarietà dell’accertamento che riguarda l’ente società di persona, per effetto del sistema di accertamento “per trasparenza” configurato nell’art. 5 del T.U. per le imposte sui redditi.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d; del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2; del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3 e degli artt. 2727 e 2729 c.c.) la parte ricorrente –

riferendosi a quanto dal medesimo collegio della CTR ritenuto a proposito dell’impugnazione del provvedimento relativo alla società “SIM-Edil”- si duole della impugnata pronuncia per avere il giudicante ritenuto (in virtù del riferimento giudicato richiamato) determinante ai fini dell’adozione della modalità induttiva dell’accertamento il solo fatto del difetto dell’inventario analitico. Viceversa, solo allorquando la società contribuente si fosse resa responsabile di gravi inadempienze contabili e dichiarative (secondo le tassative fattispecie enumerate dalla legge) ovvero di irregolarità formali numerose e ripetute, tali da rendere inattendibili le scritture contabili, sarebbe stato lecito il ricorso al metodo induttivo. D’altronde, la società svolgeva attività avente ad oggetto materiali edili, tanto minuti da non prestarsi ad una inventariazione analitica, sicchè avrebbe dovuto considerarsi adeguato l’inventario concretamente redatto ed esibito. Del pari illegittimo era stato il riferimento all’incongruenza con gli studi di settore e al finanziamento dei soci, i quali ultimi avevano provato di avere altre partecipazioni societarie.

Il motivo appare infondato e da rigettarsi.

Senza bisogno di evidenziare che il giudicante – nella pronuncia richiamata da quella qui impugnata – ha correttamente tenuto conto dell’elevato valore induttivo di una pluralità di indici certamente idonei – nel loro complesso – a generare la valutazione di incompiutezza ed inadeguatezza delle scritture contabili concretamente redatte dalla parte contribuente, basti qui evidenziare che già il solo fatto della mancata tenuta di un inventario analitico giustifica – nell’indirizzo interpretativo del Supremo Collegio – la legittimità del ricorso al metodo induttivo di accertamento. Si veda Cass Sez. 1, Sentenza n. 1511 del 11/02/2000:”In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza dell’art. 2729 c.c. e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno, restando escluso che possa ritenersi sufficiente, al fine di ritenere osservato il dovere di tenuta di scritture analitiche ausiliarie, la registrazione di sintesi del libro degli inventari” (in termini analoghi Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13672 del 19/12/1991 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2613 del 08/03/2000).

Non resta che concludere che anche il secondo motivo non ha dignità di condivisione ed accoglimento.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma, 10 marzo 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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